Scrollai di nuovo le spalle. L’influenza della Chiesa era stata una costante per tutta la mia vita. Non ci vedevo niente d’insolito.
— Ma tu non sei un cristiano che desidera rinascere, vero, signor Endymion?
Allora guardai il vecchio poeta e mi venne un orribile sospetto. In qualche modo, pensai, aveva manovrato la mia finta esecuzione e mi aveva fatto trasportare lì, mentre le autorità avrebbero dovuto seppellirmi in mare. Aveva molta influenza sulle autorità di Port Romance. E se avesse organizzato lui il mio arresto e la sentenza? Se avesse voluto mettermi alla prova?
— La domanda è un’altra — proseguì Sileno, senza badare al mio sguardo da basilisco. — Perché tu non sei cristiano? Perché non vuoi rinascere? Non ti piace la vita, Raul Endymion?
— Mi piace — risposi, conciso.
— Ma non hai accettato la croce. Non hai accettato il dono di una vita prolungata.
Posai la forchetta. Un androide lo interpretò come segno che avevo finito e mi tolse il piatto con l’anatra ancora intatta. — Non ho accettato il crucimorfo! — precisai, brusco. Come spiegare il sospetto cresciuto nel mio clan di nomadi durante generazioni in cui eravamo considerati gli esuli, gli estranei, gli indigeni privi di dimora? Come spiegare il fiero spirito d’indipendenza di persone come Nonna e come mia madre? Come spiegare il retaggio di rigore filosofico e di scetticismo innato trasmessomi da chi mi aveva allevato e istruito? Non ci provai nemmeno.
Martin Sileno annuì, come se avessi spiegato tutto. — E tu consideri il crucimorfo qualcosa di diverso dal miracolo offerto ai fedeli tramite la sorprendente intercessione della Chiesa cattolica?
— Considero il crucimorfo un parassita — replicai. Rimasi sorpreso io stesso per la veemenza del tono.
— Forse hai paura di perdere… ah… la virilità — commentò con voce rauca il poeta.
Gli androidi misero in tavola due cigni scolpiti nel cioccolato moka e farciti di tartufi arborei delle terre alte. Trascurai il mio. Nei Canti, il pellegrino prete, Paul Duré, racconta la scoperta della tribù perduta, i Bikura, e il motivo della sua sopravvivenza nei secoli, grazie a un simbionte a forma di croce offerto dal leggendario Shrike. Il crucimorfo risuscitava i Bikura come oggi risuscita la gente nell’era della Pax; solo, nel racconto del prete, gli effetti secondari comprendevano danni cerebrali irreversibili dopo parecchie risurrezioni e la scomparsa degli organi e degli impulsi sessuali. I Bikura erano eunuchi mentalmente ritardati… tutti quanti.
— No — dissi. — So che la Chiesa ha risolto il problema.
Sileno sorrise: quando sorrideva, pareva la mummia di un satiro. — Se si accetta la Comunione e se si risuscita sotto gli auspici della Chiesa — precisò. — Altrimenti, chi per caso è riuscito a venire in possesso di un crucimorfo fa la stessa fine dei Bikura.
Annuii. Intere generazioni avevano tentato di rubare l’immortalità. Prima che la Pax isolasse l’altopiano, gli avventurieri contrabbandavano crucimorfi. Altri simbionti erano stati rubati alla Chiesa stessa. Il risultato era stato sempre uguale: idiozia e asessualità. Solo la Chiesa possedeva il segreto della risurrezione ben riuscita.
— E allora? — dissi.
— E allora perché la devozione alla Chiesa e il pagamento di una tassa ogni decimo anno di servizio sono stati per te, ragazzo mio, un prezzo troppo alto? Miliardi di persone hanno scelto la vita.
Rimasi in silenzio per qualche istante. Alla fine dissi: — Miliardi di persone possono fare ciò che vogliono. La mia vita è importante per me. Voglio mantenerla… mia!
Perfino io non trovavo molto sensata questa affermazione, ma il poeta annuì di nuovo, come se avessi dato una spiegazione soddisfacente. Mangiò il cigno di cioccolata. Gli androidi portarono via i piatti e servirono il caffè.
— Bene — disse il poeta — hai riflettuto sulla mia proposta?
La domanda era così assurda che fui obbligato a soffocare una risata. — Sì — risposi — ho riflettuto.
— E allora?
— E allora ho alcune domande.
Martin Sileno attese in silenzio.
— Cosa c’è, per me, in questa storia? Lei parla della difficoltà di tornare alla solita vita qui su Hyperion… mancanza di documenti e tutto il resto… ma sa che mi trovo a mio agio in queste zone desolate. Per me sarebbe molto più facile andare nelle paludi e tenermi alla larga dalle autorità della Pax, anziché correre nello spazio, con la sua amica ragazzina a rimorchio. Inoltre, per la Pax sono morto. Potrei tornare a casa nelle brughiere e restare col mio clan senza difficoltà.
Martin Sileno annuì.
Dopo un altro momento di silenzio, dissi: — Allora perché dovrei anche solo prendere in considerazione questa assurdità?
Il vecchio poeta sorrise. — Tu vuoi essere un eroe, Raul Endymion.
Sbuffai, sprezzante e appoggiai le mani sulla tovaglia. Le dita parevano tozze e impacciate, fuori posto su quel raffinato tessuto di lino.
— Tu vuoi essere un eroe — ripeté. — Vuoi essere uno di quei rari esseri umani che fanno la storia, anziché limitarsi a guardarla scorrere come acqua intorno a uno scoglio.
— Non so di cosa parla — replicai. Lo sapevo benissimo, naturalmente, ma non credevo che potesse conoscermi bene fino a quel punto.
— Ti conosco benissimo — disse Martin Sileno. Parve rispondere al mio pensiero, non alle mie parole.
Neppure per un secondo, devo dirlo, pensai che il vecchio fosse telepatico. Per prima cosa, non credo nella telepatia (almeno, a quel tempo non ci credevo) e in secondo luogo ero più incuriosito dal potenziale di un essere umano vissuto quasi mille anni. Diamine, pensai, anche se è pazzo, forse ha imparato a leggere l’espressione facciale e le sfumature fisiche: il risultato non sarebbe molto diverso dalla telepatia.
O forse aveva tirato a indovinare e fatto centro.
— Non voglio essere un eroe — dichiarai in tono piatto. — Ho già visto cosa accade agli eroi, quando inviarono la mia brigata contro i ribelli nel continente meridionale.
— Ah, Ursa — borbottò lui. — L’orso del polo sud. La più inutile massa di ghiaccio e di fango che ci sia su Hyperion. Ricordo alcune voci di disordini da quelle parti.
La guerra laggiù era durata otto anni di Hyperion e aveva ucciso migliaia di ragazzi come me tanto stupidi da arruolarsi nella Guardia Nazionale. Forse il vecchio poeta non era poi così sagace come cominciavo a ritenerlo.
— Non intendo eroe come gli idioti che si buttano sulle granate al plasma per fare scudo ad altri — continuò Sileno, umettandosi le labbra, con un guizzo della lingua, come una lucertola. — Intendo eroe come quelli il cui valore e la cui bravura sono tanto leggendari da fare in modo che siano onorati come divinità. Intendo eroe nel senso letterale, come protagonista centrale predestinato a gesta importanti. Intendo eroe come colui i cui tragici difetti saranno la sua rovina. — Il poeta esitò e mi guardò: pareva aspettare una reazione. Ma io lo fissai in silenzio.
— Niente tragici difetti? — disse lui infine. — Né predisposizione a gesta importanti?
— Non voglio essere un eroe — ripetei.
Il vecchio poeta s’ingobbì sulla tazza di caffè. Quando rialzò il viso, aveva negli occhi una luce maliziosa. — Dove ti fai tagliare i capelli, ragazzo?
— Prego?
Si umettò di nuovo le labbra. — Mi hai sentito. Hai i capelli lunghi, ma non incolti. Dove te li fai tagliare?
Sospirai. — A volte, quando stavo nelle paludi per lungo tempo, me li tagliavo da solo; ma quando sono a Port Romance, vado in un negozietto di via Datoo.
— Ahhh — disse Sileno, appoggiandosi alla spalliera. — Conosco via Datoo. Si trova nel Distretto Notte. Un vicolo, più che una via. C’era un mercato all’aperto che vendeva furetti in gabbie dorate. C’erano barbieri ambulanti, ma il miglior salone apparteneva a un vecchio, Palani Woo. Aveva sei figli e, man mano che crescevano, aggiungeva una poltrona nel negozio. — Alzò gli occhi e ancora una volta fui colpito dall’energia della sua personalità. — Parlo di un secolo fa — disse.