— Mi faccio tagliare i capelli nel salone di Woo — dissi. — Il pronipote di Palani Woo, Kalakaua, è l’attuale proprietario. Ci sono ancora sei poltrone.
— Sì — disse il poeta, annuendo a se stesso. — Ben poco cambia nel nostro amato Hyperion, vero, Raul Endymion?
— Era questo, il suo punto?
— Punto? — Aprì le mani, come per mostrare che non nascondeva niente di così sinistro come un punto. — Niente punti. Conversazione, ragazzo mio. Mi diverte pensare che le Figure Storiche del Mondo, addirittura eroi dei miti futuri, pagano per farsi tagliare i capelli. M’è venuto in mente secoli fa, a proposito… la bizzarra sconnessione fra la sostanza del mito e la sostanza della vita. Sai cosa significa "Datoo"?
Fui sorpreso dall’improvviso cambio d’argomento. — No.
— Un vento che soffiava da Gibilterra. Portava una magnifica fragranza. Alcuni degli artisti e dei poeti che fondarono Port Romance devono avere pensato che le foreste di chalma e di weir, che ricoprivano le montagne sopra la palude, avevano un buon profumo. Sai cos’era Gibilterra, ragazzo?
— No.
— Una grande rocca sulla Terra — gracchiò il vecchio. Mostrò di nuovo i denti. — Bada bene, non ho detto Vecchia Terra.
L’avevo notato.
— La Terra è la Terra, ragazzo. Vissi lì, prima che scomparisse, quindi dovrei saperlo.
Quel pensiero mi dava ancora le vertigini.
— Voglio che tu la trovi — disse con occhi scintillanti il poeta.
— Che trovi… la Vecchia Terra? Pensavo volesse mandarmi in giro con la bambina… Aenea.
Con un movimento delle mani ossute scacciò l’obiezione. — Vai con lei e troverai la Terra, Raul Endymion.
Mossi il capo in un cenno d’assenso e intanto considerai se era saggio spiegare a quel vecchio che la Vecchia Terra era stata inghiottita dal buco nero provocato nelle sue viscere durante il Grande Errore del ’38. D’altra parte il vecchio era fuggito da quel mondo ridotto in frantumi. Non aveva senso contraddire le sue illusioni. Nei Canti aveva accennato a un complotto delle IA del TecnoNucleo, in guerra fra loro, per rubare la Vecchia Terra… per trafugarla e nasconderla nell’Ammasso Ercole o nella Nube di Magellano, i Canti discordavano a questo proposito… ma era una fantasia. La Nube di Magellano era una galassia a parte, distante più di 160 mila anni luce dalla Via Lattea, se ricordavo giusto, e nessuna nave, della Pax o dell’Egemonia, era mai stata inviata più lontano della nostra piccola sfera in un braccio della spirale della nostra galassia… e anche con il motore Hawking e il passaggio a realtà non einsteiniane, un viaggio fino alla Grande Nube di Magellano avrebbe richiesto molti secoli di tempo/nave e decine di migliaia d’anni di debito temporale. Perfino gli Ouster, che avevano la passione per gli spazi bui fra le stelle, non avrebbero intrapreso un simile viaggio.
Inoltre, non si rapiscono i pianeti.
— Voglio che trovi la Terra e la riporti indietro — proseguì il vecchio poeta. — Voglio rivederla, prima di morire. Mi farai questo favore, Raul Endymion?
Lo guardai negli occhi. — Certo — dissi. — Salvare dalle Guardie Svizzere e dalla Pax la bambina, proteggerla finché non sarà Colei Che Insegna, trovare la Vecchia Terra e riportarla indietro in modo che lei la riveda. Facile. Altro?
— Sì — disse Martin Sileno, col tono d’assoluta solennità che accompagna la demenza. — Devi scoprire che cazzo combina il Tecno-Nucleo e impedirgli di attuarlo.
Annuii di nuovo. — Trovare il TecnoNucleo scomparso e impedire che il potere congiunto di migliaia di IA simili a dèi attui qualsiasi cosa abbia in ballo — dissi, stillando sarcasmo. — Ho preso nota. Sarà fatto. Altro?
— Sì. Devi parlare agli Ouster e vedere se possono offrirmi l’immortalità… la vera immortalità, non quella merda di risurrezione cristiana.
Finsi di prendere appunti su di un invisibile blocchetto. — Ouster… immortalità… non merda cristiana. Fattibile. Segnato. Altro?
— Sì, Raul Endymion. Voglio che la Pax sia distrutta e che il potere della Chiesa sia abbattuto.
Annuii. Due o trecento pianeti si erano uniti spontaneamente alla Pax. Trilioni d’esseri umani avevano ricevuto spontaneamente il battesimo della Chiesa. L’esercito della Pax era più potente di quanto la FORCE dell’Egemonia non si fosse mai sognata al massimo del suo splendore. — D’accordo — dissi. — Me ne occuperò io. Altro?
— Sì. Devi impedire allo Shrike di nuocere a Aenea o di spazzare via la razza umana.
Qui esitai. Secondo il poema epico del vecchio, lo Shrike era stato distrutto dal soldato Fedmahn Kassad in un’imprecisata epoca futura. Pur conoscendo la futilità di far entrare la logica nella conversazione con un pazzo, misi in evidenza questo particolare.
— Sì! — sbottò il vecchio poeta. — Ma è una questione di tempo! Devi fermare lo Shrike adesso, non fra vari millenni!
— D’accordo — risposi. A che scopo discutere?
Martin Sileno si lasciò ricadere contro la spalliera, come se tutta la sua energia si fosse dissipata. Vidi di nuovo in lui la mummia animata: nelle pieghe della pelle, negli occhi infossati, nelle dita ossute. Ma nei suoi occhi brillava ancora una luce intensa. Provai a immaginare la forza della personalità di quell’uomo nel pieno del suo vigore: non ci riuscii.
Sileno rivolse un cenno agli androidi. A. Bettik portò due calici e versò lo champagne.
— Allora accetti, Raul Endymion? — domandò il poeta, con voce forte e formale. — Accetti l’incarico di salvare Aenea, di viaggiare con lei e di portare a termine le altre imprese?
— A una sola condizione — dissi.
Sileno corrugò la fronte e aspettò che continuassi.
— Voglio prendere con me A. Bettik. — L’androide era ancora accanto al tavolo. Teneva in mano la bottiglia di champagne. Guardava dritto davanti a sé; non si girò a guardare l’uno o l’altro di noi, né lasciò trasparire una qualsiasi emozione.
Il poeta si mostrò sorpreso. — Il mio androide? Parli sul serio?
— Parlo sul serio.
— A. Bettik è con me da prima che alla tua bis-bis-bisnonna venissero le tette — gracchiò il poeta. Calò sul tavolo la mano, con tanta forza che mi preoccupai per le sue fragili ossa. — A. Bettik — disse, brusco — Vuoi andare con lui?
L’uomo dalla pelle azzurra annuì senza girare la testa.
— Vaffanculo — disse il poeta. — Prendilo pure. Vuoi altro, Raul Endymion? La mia poltrona a cuscino d’aria, forse? Il mio respiratore? I miei denti?
— Nient’altro — risposi.
— E allora, Raul Endymion — disse il poeta, in tono di nuovo formale — accetti l’incarico? Salverai, servirai e proteggerai Aenea, finché il destino della bambina non si sarà compiuto… o morirai nel tentativo?
— Accetto.
Martin Sileno alzò il bicchiere e io lo imitai. Troppo tardi pensai che pure l’androide avrebbe dovuto bere con noi: il vecchio poeta già faceva il brindisi.
— Alla pazzia — disse. — Alla divina follia. Alle insane mete e ai messia che gridano nel deserto. Alla morte dei tiranni. Alla confusione dei nostri nemici.
Cominciai a portare alle labbra il bicchiere, ma il vecchio poeta non aveva terminato.
— Agli eroi. Agli eroi che si fanno tagliare i capelli. — Vuotò il bicchiere in un solo sorso.
Lo imitai.
9
Nato di nuovo, il Padre Capitano Federico de Soya si guarda intorno, con stupore infantile, mentre attraversa piazza S. Pietro fra gli eleganti archi del colonnato del Bernini e si avvicina alla basilica. La giornata è magnifica: sole non troppo caldo, cielo azzurro, aria frizzante (l’unico continente abitabile di Pacem si trova a millecinquecento metri sul livello standard del mare e l’aria è rarefatta, ma fin troppo ricca d’ossigeno) e ogni cosa è bagnata dalla pastosa luce del pomeriggio che crea un’aura intorno alle maestose colonne, attorno alla testa della gente frettolosa; una luce che imbianca le statue di marmo ed evidenzia lo splendore delle tonache rosse dei vescovi e delle strisce rosse, azzurre e arancioni della divisa delle Guardie Svizzere ferme sul riposo; luce che dipinge l’alto obelisco al centro della piazza e i pilastri scanalati della facciata della basilica, che accende di splendore la cupola stessa, alta più di cento metri. Colombi si levano in volo e vengono colpiti da quella luce pastosa, mentre girano sopra la piazza, con ali ora bianche contro il cielo, ora scure contro l’abbagliante cupola della basilica di S. Pietro. Un mucchio di gente si muove ai lati, semplici ecclesiastici in tonaca nera e bottoni rosa, vescovi in bianco con bordo rosso, cardinali in rosso scarlatto e magenta scuro, cittadini del Vaticano in farsetto nero inchiostro, calzoni alla zuava e gorgiera bianca, suore in tonaca frusciante e copricapo bianco ad ala di gabbiano, preti maschi e femmine in semplice nero, ufficiali della Pax in alta uniforme scarlatta e nera come quella che lo stesso de Soya indossa oggi, e un piccolo numero di fortunati turisti e ospiti civili, che godono del privilegio d’assistere alla messa del Papa, abbigliati con i loro abiti più eleganti, per la maggior parte neri, ma tutti di stoffe così sfarzose da far risplendere anche la fibra più scura. La folla si muove verso la sublime basilica di S. Pietro, parlando a bassa voce, con atteggiamento animato ma grave. Una messa del Papa è un evento importante.