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Mi alzai, scoprii d’essere nudo, andai alla finestra. La brezza autunnale era pungente, ma il sole mi scaldò. Mi trovavo in una torre di pietra. I gialli chalma e il fitto intrico di bassi weir intrecciavano un solido baldacchino di cime d’albero su per le montagne fino all’orizzonte. Semprazzurri crescevano sulle scarpate di granito. Scorgevo altre mura, bastioni, una torre circolare che scompariva lungo la cresta dove si alzava quella in cui mi trovavo. I muri parevano antichi. Il tipo di costruzione e lo stile architettonico appartenevano a un’epoca ricca d’abilità e di gusto, che risaliva a molto prima della Caduta.

Indovinai subito dove mi trovavo: i chalma e i weir indicavano che ero sempre nel continente meridionale, Aquila; l’eleganza degli edifici in rovina parlava della città abbandonata di Endymion.

Non ero mai stato nella città da cui la mia famiglia aveva preso il cognome, ma l’avevo sentita descrivere molte volte da Nonna, quella che nel clan raccontava le storie. Endymion era stata una delle prime città fondate su Hyperion dopo il disastroso atterraggio della navetta, circa sette secoli fa. Fino alla Caduta, era stata famosa per la sua elegante università, un gigantesco edificio a forma di castello che sovrastava la città vecchia, più in basso. Il bisnonno del bisnonno di Nonna era stato professore in quella università, finché l’esercito della Pax non aveva requisito l’intera regione centrale di Aquila, costringendo migliaia di persone a fare fagotto.

E adesso ero lì.

Un uomo calvo, dalla pelle azzurra e dagli occhi blu cobalto, entrò nella stanza, posò sul letto due capi di biancheria e un semplice vestito che pareva di cotone fatto in casa, e mi disse: — Prego, si vesta.

Mentre usciva, rimasi a fissarlo in silenzio. Pelle azzurra. Occhi blu cobalto. Totale assenza di peli. Lo sconosciuto era di sicuro un androide, il primo che avessi mai visto. Se me l’avessero domandato, avrei risposto che su Hyperion non erano rimasti androidi. Anche prima della Caduta era illegale bioprodurli; secoli fa erano stati importati dal leggendario re Billy il Triste per costruire la maggior parte delle città del continente settentrionale, ma non avevo mai sentito dire che nel nostro mondo ne esistessero ancora. Scossi la testa e mi vestii. L’abito, malgrado io abbia spalle insolitamente larghe e gambe più lunghe della media, pareva fatto su misura per me.

Quando l’androide tornò, ero di nuovo alla finestra. Lui si fermò sulla soglia e mi rivolse un gesto. — Da questa parte, prego, signor Endymion.

Dominai l’impulso di fare domande e lo seguii su per la scala interna della torre. La stanza in cima occupava l’intero piano. La luce del tardo pomeriggio entrava dalle vetrate dipinte di giallo e di rosso. Almeno una finestra era aperta, perché dal basso proveniva il fruscio delle fronde mosse dal vento che soffiava dalla valle.

La stanza era intonacata di bianco e spoglia come la mia cella, a parte un gruppo di attrezzature mediche e di banchi di comando per ricetrasmittenti posto al centro. L’androide uscì e si chiuse alle spalle la pesante porta; impiegai qualche istante per accorgermi che fra tutte quelle apparecchiature c’era un essere umano.

Almeno, pensai che fosse un essere umano.

L’uomo si trovava su un lettino di flussoschiuma sospeso a mezz’aria e regolato per fungere da poltrona. Cannule, fleboclisi, cavetti di monitoraggio e tubicini che parevano di sostanza organica andavano dalle apparecchiature all’essere avvizzito seduto sul lettino. Ho detto avvizzito, ma in realtà quell’uomo pareva quasi mummificato, con la pelle rugosa come il cuoio d’un vecchio giaccone, il cranio calvo e cosparso di macchie, braccia e gambe tanto emaciate da parere un residuo degli arti. Tutto, nella posizione di quell’uomo, mi faceva pensare a un grinzoso e implume pulcino caduto dal nido. La sua pelle, simile a pergamena, aveva una sfumatura azzurrina che per un attimo mi ricordò gli androidi; poi notai la diversa tonalità d’azzurro, la debole luminosità dei palmi, delle costole e della fronte; capii allora di trovarmi davanti a un uomo in carne e ossa, che aveva goduto… o patito… secoli di trattamento Poulsen.

Ormai più nessuno si sottopone al trattamento Poulsen. La relativa tecnologia scomparve con la Caduta, al pari degli indispensabili materiali grezzi provenienti da pianeti perduti nel tempo e nello spazio. Almeno, così credevo. Eppure avevo sotto gli occhi una creatura con un’età di parecchi secoli, alla quale l’ultimo trattamento Poulsen era stato somministrato da non più di qualche decennio.

Il vecchio aprì gli occhi.

Da allora ho visto altri occhi dallo sguardo altrettanto intenso, ma niente in vita mia m’aveva preparato all’impressione che provai in quel momento. Credo d’essere arretrato d’un passo.

— Vieni più vicino, Raul Endymion. — La voce pareva il rumore di una lama spuntata che sfregasse su pergamena. Le labbra si muovevano come il becco d’una tartaruga.

Mi avvicinai e mi fermai quando un quadro di comando si frappose tra me e quella creatura mummificata. Il vecchio batté le palpebre e sollevò la mano ossuta che pareva troppo pesante per quel polso ridotto a fuscello. — Sai chi sono? — domandò, con voce debole come bisbiglio.

Scossi la testa.

— Sai dove ti trovi?

Trassi un respiro. — A Endymion — risposi. — Nell’università abbandonata, credo.

Le rughe intorno alla bocca sdentata si allargarono in un sorriso. — Ottimo — disse il vecchio. — Hai riconosciuto il cumulo di pietre che diede il nome alla tua famiglia. Ma non sai chi potrei essere?

— No.

— E non vuoi sapere come sei sopravvissuto all’esecuzione?

Rimasi fermo come un soldato sul riposo e aspettai.

Il vecchio sorrise di nuovo. — Ottimo, davvero. Tutto arriva a colui che aspetta. E poi i particolari non spiegherebbero molto… bustarelle ai livelli più alti, uno storditore al posto della neuroverga, altre bustarelle a chi avrebbe certificato la morte ed eliminato il cadavere. Non siamo interessati al "come", vero, Raul Endymion?

— No — dissi infine. — Perché?

Il becco di tartaruga ebbe una contrazione, la grossa testa si mosse in un cenno d’assenso. Notai ora che il viso del vecchio, malgrado i danni provocati dai secoli, aveva ancora tratti netti e spigolosi… un’aria da satiro.

— Precisamente — disse il vecchio. — Perché? Perché prendersi la briga di falsificare la tua esecuzione e di trasportare la tua fottuta carcassa per mezzo fottuto continente? Già, perché?

Le parolacce non parvero particolarmente crude sulle labbra del vecchio, come se avessero costellato il suo modo d’esprimersi per tanto di quel tempo da perdere un’enfasi particolare. Aspettai che proseguisse.

— Voglio affidarti un incarico, Raul Endymion — disse il vecchio, con respiro sibilante. Un liquido chiaro scorreva nelle cannule endovenose.

— Ho scelta?

Il vecchio sorrise di nuovo, ma i suoi occhi erano immutabili come la pietra delle pareti. — Abbiamo sempre una scelta, caro ragazzo. Nel caso specifico, puoi ignorare l’eventuale debito che potresti sentire nei miei confronti perché ti ho salvato la vita e lasciar perdere tutto… puoi andartene, semplicemente. I miei servitori non ti fermeranno. Con un po’ di fortuna potrai uscire da questa zona vietata, trovare la strada per regioni più civili ed evitare le pattuglie della Pax, con le quali la tua identità e la mancanza di documenti potrebbero rivelarsi… ah… imbarazzanti.