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«Abbiamo delle sentinelle appostate all’ingresso della valle che avete attraversato, su entrambi i lati dello Zannadorso. Hanno mandato una colomba ad avvertirci» spiegò Ajihad.

Eragon si chiese se fosse lo stesso uccello che Saphira aveva cercato di mangiare. «Quando l’uovo e Arya scomparvero, avete avvertito Brom? Lui mi disse che non aveva ricevuto notizie dai Varden.»

«Cercammo di metterlo in guardia» disse Ajiahd. «ma sospetto che i nostri uomini siano stati intercettati e uccisi dall’Impero. Per quale altro motivo i Ra’zac sarebbero andati a Carvahall? In seguito. Brom si mise in viaggio con te, e fu impossibile raggiungerlo. Puoi immaginare il mio sollievo quando mi diede notizie tramite un messaggero da Teirm. Non mi sorprese che si fosse rivolto a Jeod: erano vecchi amici. E Jeod sapeva come farci arrivare un messaggio, perché da tempo contrabbanda merci per noi attraverso il Surda.

«Tutto questo ha sollevato gravi questioni. Come ha fatto l’Impero a sapere dove tendere l’agguato ad Arya, e poi ai nostri messaggeri diretti a Carvahall? Come ha fatto Galbatorix a sapere quali mercanti aiutano i Varden? Gli affari di Jeod sono andati in fumo da quando sei partito, così come quelli di altri mercanti che collaborano con noi.

Ogni volta che una delle loro navi salpa, sparisce. I nani non possono darci tutto quello che ci serve, così i Varden hanno un disperato bisogno di approvvigionamenti. Temo che tra noi ci sia un traditore, o più traditori, nonostante i nostri sforzi di esaminare la mente delle persone in cerca di complotti.»

Eragon tacque per riflettere su quanto aveva appreso. Ajihad aspettò con calma che parlasse. Per la prima volta da quando aveva trovato l’uovo di Saphira, Eragon aveva la netta sensazione di capire che cosa succedeva intorno a lui. O almeno, sapeva da dove veniva Saphira e quale futuro poteva attenderlo. «Che cosa volete da me?» chiese infine.

«Che cosa vuoi dire?»

«Voglio dire, che cosa ci si aspetta da me qui a Tronjheim? Voi e gli elfi avete dei progetti per me, ma se poi non mi piacciono?» La sua voce prese una sfumatura severa. «Combatterò quando sarà necessario, festeggerò nelle occasioni giuste, piangerò nel momento del dolore, e morirò quando arriverà la mia ora... ma non permetterò a nessuno di usarmi contro la mia volontà.» Fece una pausa perché le sue parole venissero assorbite. «I Cavalieri di una volta erano arbitri di giustizia,. al di sopra e al di là dei capi dei loro tempi. Non pretendo quella posizione, dubito che la gente accetterebbe una simile autorità quando da molto tempo ormai ne fa a meno, specie da uno giovane come me. Ma io ho il potere, e lo userò come riterrò opportuno. Quello che voglio sapere è come tu hai pensato di usarmi. Poi deciderò se acconsentire.»

Ajihad lo guardò, accigliato. «Se tu fossi qualcun altro e ti trovassi davanti a un altro capo, con ogni probabilità saresti stato messo a morte per queste parole insolenti. Che cosa ti fa pensare che ti esporrò i miei piani solo perché tu me lo chiedi?» Eragon arrossì, ma non abbassò lo sguardo.

«Eppure hai ragione. La tua posizione ti da il privilegio di poter dire queste cose. Non puoi sfuggire ai disegni che ti riguardano... tu verrai influenzato, in un modo o nell’altro.

Io voglio vederti diventare una pedina manovrata da questa o quella fazione ancora meno di quanto lo vuoi tu. Devi difendere la tua libertà, perché in. essa risiede il tuo vero potere: la capacità di fare scelte indipendentemente da qualsiasi capo o re. La mia autorità su di te sarà limitata. ma credo che sia per il meglio. La difficoltà consiste nell’assicurarsi che coloro che detengono il potere ti ammettano alle loro decisioni.

«E poi, malgrado le tue proteste, sappi che le persone si aspettano molto da te. Ti verranno a raccontare i loro problemi, anche i più insignificanti, e ti chiederanno di risolverli.» Ajihad si protese verso di lui e aggiunse, con voce mortalmente seria: «Ci saranno momenti in cui il futuro di un individuo sarà nelle tue mani.,. con una sola parola tu potrai innalzarlo alle vette della felicità o scaraventarlo negli abissi dell’angoscia. Giovani donne chiederanno il tuo parere su chi debbano sposare... molte, anzi, ti vorranno per marito... e i vecchi vorranno sapere a quali figli lasciare l’eredità. Tu devi essere gentile e saggio con loro, perché in te riporranno ogni speranza. Non parlare con insolenzà o leggerezza, perché le tue parole avranno un impatto che andrà ben oltre le tue intenzioni.»

Ajihad si riappoggiò allo schienale, incupito. «Il fardello dell’autorità comporta la responsabilità del benessere delle persone che ti sono affidate. Io convivo con questo peso da quando sono stato scelto come capo dei Varden, e adesso tocca a te. Sta’ attento. Non tollererò ingiustizie sotto il mio comando. Non preoccuparti per la tua giovane età e l’inesperienza; supererai presto entrambe.»

Eragon trovava imbarazzante l’idea che la gente si rivolgesse a lui per dei consigli. «Ma non mi hai ancora detto che cosa devo fare qui.»

«Per adesso nulla. Hai percorso più di centotrenta leghe in otto giorni, un’impresa di cui andare fieri. Sono sicuro che apprezzerai un po’ di riposo. Quando ti sarai ripreso, metteremo alla prova la tua competenza in fatto di armi e magia. Dopodiché, be’... ti spiegherò le alternative, e dovrai fare la tua scelta.»

«E che ne sarà di Murtagh?» chiese Eragon in tono aspro.

Il volto di Ajihad si oscurò. Si chinò dietro la scrivania e si rialzò reggendo Zar’roc. Fece scorrere le dita sul fodero lucente, indugiando sul sigillo inciso. «Resterà qui finché non permetterà ai Gemelli di esaminare la sua mente.»

«Non potete imprigionarlo» protestò Eragon. «Non ha commesso alcun crimine!»

«Non possiamo rimetterlo in libertà senza essere sicuri che non si rivolterà contro di noi. Innocente o meno, è potenzialmente pericoloso quanto lo era suo padre» disse Ajihad, non senza una nota di tristezza nella voce.

Eragon capì che non avrebbe mai convinto Ajihad, e che i suoi timori avevano un fondamento.

«Come hai fatto a riconoscere la sua voce?»

«Incontrai suo padre una volta» rispose secco Ajihad. Tamburellò qualche istante sull’elsa di Zar’roc. «Vorrei che Brom mi avesse detto di aver preso la spada di Morzan. Ti suggerisco di non portarla con te all’interno del Farthen Dùr. Molti qui ricordano con odio i tempi di Morzan, specie i nani.»

«Me lo ricorderò» promise Eragon.

Ajihad gli consegnò la spada. «Ora che ci penso, ho anche l’anello di Brom, qui con me. Me lo mandò come prova della sua identità. Lo conservavo in attesa che tornasse a Tronjheim. Ora che è morto, immagino che appartenga a te, e credo che lui avrebbe voluto che lo portassi.» Aprì un cassetto della scrivania e prese l’anello.

Eragon l’accettò con deferenza. Il simbolo inciso sulla superficie dello zaffiro era identico al tatuaggio che Arya aveva sulla spalla. S’infilò l’anello all’indice e ne contemplò i riflessi sfolgoranti.

«Mi sento,... onorato» disse.

Ajihad annuì serio, poi spinse indietro la sedia e si alzò. Si rivolse a Saphira in tono solenne. «Non pensare che mi sia dimenticato di te, o potente drago. Ho detto queste cose non solo per Eragon, ma anche per te. È molto importante che tu le conosca, poiché a te spetta il compito di sorvegliarlo in questi tempi difficili. Non sottovalutare la tua forza e non vacillare al suo fianco, perché senza di te Eragon è destinato al fallimento.»

Saphira chinò la testa fino a portare lo sguardo al livello degli occhi di Ajihad e lo fissò con le nere pupille oblunghe. Si studiarono a vicenda in silenzio, senza battere ciglio. Ajihad fu il primo ad abbassare lo sguardo. «È un vero privilegio conoscerti» disse.

È sincero, disse Saphira con rispetto. Si voltò verso Eragon. Digli che sono rimasta molto impressionata sia da Tronjheim che da lui. L’Impero fa bene a temerlo. Ma fagli anche sapere che se avesse deciso di ucciderti, avrei distrutto Tronjheim e lo avrei dilaniato con i miei denti.