Starò bene, lo rassicurò Saphira. Una caverna di marmo è più sicura di qualunque altro posto in cui siamo stati.
Può darsi... Credi che anche Murtagh starà bene?
Ajihad mi sembra un uomo d’onore. A meno che Murtagh non tenti di fuggire, nessuno gli farà del male.
Eragon incrociò le braccia, stanco di parlare. Era ancora scosso dal cambiamento delle circostanze rispetto al giorno prima. La loro folle fuga da Gil’ead era ormai conclusa, ma il suo corpo si aspettava ancora di correre e cavalcare. «Dove sono i nostri cavalli?»
«Nelle stalle vicino ai cancelli. Li potremo vedere prima di lasciare Tronjheim.»
Uscirono da Tronjheim passando per lo stesso cancello da cui erano entrati. I grifoni d’oro sfavillavano di mille riflessi variopinti grazie alle decine di lanterne accese intorno. Il sole si era spostato, durante il lungo colloquio di Eragon con Ajihad; la sua luce non entrava più nel Farthen Dùr attraverso la bocca del cratere. Senza quei raggi turbinosi di polvere, l’interno della montagna cava era di un nero vellutato. L’unica fonte di luce era Tronjheim, che scintillava nell’oscurità irradiando il suo splendore a centinaia di piedi di distanza.
Orik indicò il bianco pinnacolo di Tronjheim. «Carne fresca e acqua pura di montagna ti attendono lassù» disse a Saphira. «Quando avrai scelto in quale caverna riposare, ti verrà preparato un comodo giaciglio e nessuno ti disturberà.»
«Pensavo che saremmo rimasti insieme. Non voglio separarmi da lei» protestò Eragon.
Orik si rivolse a lui. «Cavaliere Eragon, farò qualunque cosa per soddisfarti, ma sarebbe meglio che Saphira aspettasse sulla rocca mentre tu mangi. I tunnel che portano nelle sale dei banchetti non sono abbastanza larghi da farla passare.»
«Allora perché non mi portate il cibo alla rocca?»
«Perché» rispose Orik con un brevissimo sospiro di esasperazione «il cibo viene preparato qui, ed è una lunga strada fino alla rocca. Ma se desideri, possiamo mandare un servo a portarti il pasto lassù. Ci vorrà un po’ di tempo, ma in questo modo potrai mangiare con Saphira.»
Dice sul serio, pensò Eragon, colpito da tanta premura nei suoi confronti. Eppure il modo in cui Orik aveva parlato gli faceva sospettare che in qualche modo il nano lo stesse mettendo alla prova.
Sono stanca,disse Saphira. E questa roccaforte mi piacerà, credo. Vai a mangiare, e poi sali da me.
Sarà bello riposare insieme senza temere animali selvaggi o soldati. Abbiamo patito gli stenti del viaggio troppo a lungo.
Eragon la guardò, pensoso, poi disse a Orik: «Mangerò qui.» Il nano sorrise compiaciuto. Eragon slegò la sella di Saphira perché potesse distendersi senza intralci. Porteresti Zar’roc con te?
Sì,rispose lei, e raccolse la spada e la sella con gli artigli. Ma tieni l’arco. Dobbiamo mostrare fiducia verso questa gente, ma non idiozia.
Lo so,disse lui, inquieto.
Con un balzo poderoso, Saphira si staccò dal suolo e prese il volo nell’aria immota. Il fruscio costante delle sue ali era l’unico rumore nell’oscurità. Quando scomparve oltre il picco di Tronjheim. Orik si lasciò sfuggire un lungo respiro. «Ah, ragazzo, quanto sei fortunato. All’improvviso ho una gran voglia di cieli aperti, di volare, di cacciare come un falco. Ma i miei piedi stanno meglio per terra,,, anzi, preferibilmente sotto.»
Battè le mani con un sonoro schiocco. «Dimentico i miei doveri di ospite. So che non hai toccato cibo da quando i Gemelli ti hanno fatto servire quel misero pasto, perciò vieni, andiamo a chiedere ai cuochi qualcosa di sostanzioso!»
Eragon seguì di nuovo il nano a Tronjheim. Percorsero un labirinto di corridoi finché non giunsero in un’ampia sala piena di tavoli di pietra, adatti però soltanto ai nani. Le fiamme ardevano in una fila di forni di steatite dietro un lungo bancone.
Orik si rivolse in una lingua sconosciuta a un tarchiato nano dal volto rubizzo, che subito portò loro piatti di pietra colmi di funghi e pesce fumanti. Poi Orik accompagnò Eragon lungo una serie di scale tortuose, finché non arrivarono in una piccola alcova ricavata nelle mura esterne di Tronjheim. Si sedettero a terra a gambe incrociate, ed Eragon si gettò sul cibo con avidità, senza dire una parola.
Quando ebbero svuotato i piatti. Orik emise un sospiro soddisfatto è prese una lunga pipa. L’accese e disse: «Uno spuntino niente male, ma adesso ci vorrebbe un bel sorso di idromele per mandarlo giù.»
Eragon osservò il terreno di sotto. «Qui nel Farthen Dùr praticate l’agricoltura?»
«No, la luce del sole basta soltanto per muschio, muffa e funghi. Tronjheim non potrebbe sopravvivere senza le provviste fornite dalle valli attorno: è una delle ragioni per cui molti di noi hanno scelto di vivere altrove, fra i Monti Beor.»
«Quindi ci sono altre città di nani?»
«Non tante quante vorremmo. E Tronjheim è la più grande.» Appoggiato su un gomito. Orik trasse una lunga boccata di fumo. «Tu hai visto soltanto i livelli più bassi, e quindi non te ne sei accorto, ma gran parte di Tronjheim è disabitata. Più in alto si sale, meno gente si trova. Interi piani sono deserti da secoli. La maggioranza di noi preferisce abitare sotto Tronjheim e il Farthen Dùr, nelle grotte e nei cunicoli scavati dentro la roccia. Nel corso dei secoli abbiamo scavato moltissimo sotto i Monti Beor, tanto che è possibile camminare da un’estremità all’altra della catena senza mai uscire.»
«Mi sembra uno spreco, tutto questo spazio inutilizzato qui a Tronjheim» commentò Eragon.
Orik annuì. «Alcuni sostengono che sarebbe meglio abbandondare questo posto perché consuma troppe risorse, ma Tronjheim ha un ruolo insostituibile.»
«Ossia?»
«Nei tempi di sventura può ospitare la nostra intera nazione. Ci sono stati soltanto tre casi nella nostra storia in cui siamo stati costretti a questo passo estremo, ma ogni volta ci ha salvati dalla distruzione certa e totale. Ecco perché la teniamo sempre presidiata, pronta a qualsiasi evenienza.»
«Non ho mai visto niente di così magnifico» disse Eragon.
Orik sorrise, stringendo la pipa fra i denti. «Mi fa piacere. Ci sono volute intere generazioni per costruire Tronjheim...e la nostra vita dura molto più a lungo di quella umana. Purtroppo. causa del maledetto Impero, pochi estranei hanno avuto accesso alla sua gloria.»
«Quanti Varden ci sono?»
«Nani o umani?»
«Umani. Vorrei sapere quanti hanno lasciato l’Impero.»
Orik esalò un lungo sbuffo di fumo, che si allargò lentamente intorno alla sua testa. «Ci sono circa quattromila individui della tua specie. Ma questo non risponde alla tua domanda. Soltanto chi vuole combattere viene qui. Gli altri si trovano nel Surda, sotto la protezione di re Orrin.»
Così pochi?pensò Eragon, deluso. Soltanto l’esercito reale era formato da circa sedicimila uomini, senza contare gli Urgali. «Perché Orrin non combatte contro l’Impero?» domandò.
«Se mostrasse un’ostilità aperta» rispose Orile. «Galbatorix lo annienterebbe. In verità. Galbatorix lascia in pace il Surda perché lo considera una minaccia minore, ma è un grosso errore, È grazie al sostegno di Orrin che i Varden ricevono gran parte delle armi e delle provviste. Senza di lui, non ci sarebbe modo di resistere all’Impero.
«Non ti far scoraggiare dal numero di umani presenti a Tronjheim. Ci sono molti nani, molti di più di quanti ne hai visti, e tutti combatteranno, quando verrà il momento. Anche Orrin ci ha promesso delle truppe, quando scenderemo in guerra contro Galbatorix. E perfino gli elfi si sono impegnati ad aiutarci.»
Eragon vagò distrattamente col pensiero fino a toccare quello di Saphira, e la trovò intenta a sbranare con passione un sanguinolento quarto di bue. Si riscosse e notò ancora una volta il martello e le stelle incisi sull’elmo di Orik. «Che cosa significa quel simbolo? L’ho visto anche sul pavimento di Tronjheim.»