Orik indicò il Farthen Dùr. «I campi di addestramento si trovano a mezzo miglio da Tronjheim, anche se da qui non li puoi vedere perché sono alle spalle della città-montagna. È una vasta area dove si allenano sia i nani che gli umani.»
Vengo anch’io, disse Saphira.
Eragon lo riferì a Orik, che si lisciò la barba con aria perplessa. «Forse non è una buona idea. Ci sarà parecchia gente ai campi; potreste attirare troppa attenzione.» Saphira ringhiò. Io vengo! E la questione finì lì.
Il frastuono dei combattimenti li raggiunse ancora prima che arrivassero ai campi: il clangore dell’acciaio contro l’acciaio, i sibili e i tonfi sordi delle frecce scagliate su bersagli imbottiti, i crepitii e gli schiocchi delle aste di legno, e le grida degli uomini impegnati nei duelli di allenamento. Il rumore era confuso, ma ogni gruppo seguiva il proprio ritmo e il proprio schema. La maggior parte del terreno era occupata da un folto gruppo di fanti che lottavano con scudi e alabarde alte quanto un uomo, schierati in formazione. Poco lontano si addestravano centinaia di guerrieri armati di spade, mazze, picche, bastoni, mazzafruste, scudi di ogni forma e dimensione; ce n’era uno che brandiva un forcone. Quasi tutti i combattenti indossavano cotte di maglia ed elmetti rotondi; le armature complete non erano comuni. C’erano tanti nani quanti umani, anche se i due gruppi si tenevano separati. Alle spalle dei guerrieri, una lunga fila di arcieri si allenava a scoccare frecce contro grigi pupazzi imbottiti.
Prima che Eragon avesse il tempo di chiedersi che cosa fare, un uomo barbuto, la testa e le spalle massicce coperte da un lungo cappuccio di maglia, si avvicinò a grandi passi. Il resto del suo corpo era protetto da rozzi indumenti di pelle di bue ancora coperti di peli. Una spada enorme - lunga quasi quanto quella di Eragon - gli pendeva a tracolla. L’uomo scoccò una rapida occhiata a Saphira ed Eragon, come per valutare quanto fossero pericolosi, poi borbottò: «Knurla Orik. Sei stato via un sacco. Non mi è rimasto nessuno per allenarmi.»
Orik sorrise. «Forse perché massacri tutti con quel tuo spadone mostruoso.»
«Tutti tranne te» lo corresse l’altro.
«Questo perché sono più veloce di quel gigante che sei.»
L’uomo guardò di nuovo Eragon. «Mi chiamo Fredric. Ho ricevuto l’ordine di scoprire che cosa sai fare. Quanto sei forte?»
«Forte abbastanza» rispose Eragon. «Devo esserlo, per. poter combattere con la magia.»
Fredric scosse il capo; il suo cappuccio tintinnò come un sacchetto di monete. «Qui non c’è posto per la magia. A meno che tu non abbia prestato servizio in un esercito, dubito che tu abbia combattuto per più di qualche minuto. Qui dobbiamo scoprire se sarai in grado di resistere per una battaglia lunga ore, o anche settimane, se ci sarà un assedio. Quali altre armi sai usare, oltre alla spada e all’arco?»
Eragon ci pensò. «Soltanto i pugni.»
«Bella risposta!» rise Fredric. «Bene, cominciamo con il tiro con l’arco. Quando si sarà fatto un po’ di spazio nel campo, passeremo...» S’interruppe all’improvviso, il volto corrucciato, lo sguardo fisso oltre le spalle di Eragon.
I Gemelli avanzavano impettiti verso di loro; le teste calve spiccavano pallide sopra i manti purpurei. Orik bofonchiò qualcosa nella propria lingua, mettendo mano all’ascia che teneva infilata nella cintura. «Vi ho detto di stare alla larga dai campi di addestramento» esclamò Fredric, muovendo qualche passo con aria minacciosa. In confronto al suo corpo massiccio, i Gemelli avevano l’aria di fragili fuscelli.
Lo guardarono con arroganza. «Ajihad ci ha ordinato di esaminare le capacità magiche di Eragon... prima che tu lo sfinisca a furia di roteare pezzi di metallo.»
Gli occhi di Fredric lampeggiarono di collera. «Perché non può esaminarlo qualcun altro?»
«Nessuno è abbastanza potente» sbuffarono sdegnosi i Gemelli, Saphira emise un cupo brontolio, e dalle narici le salirono spirali di fumo che i Gemelli ignorarono a bella posta. «Seguici» ordinarono a Eragon, e si diressero verso una zona deserta del campo.
Eragon si strinse nelle spalle e obbedì, seguito da Saphira. Dietro di sé, udì Fredric rivolgersi a Orik. «Dobbiamo impedire a quei due di spingersi troppo oltre.»
«Lo so» rispose Orik a bassa voce. «ma non posso ancora intervenire. Rothgar è stato chiaro: non potrà più proteggermi se succede di nuovo.»
Eragon si sforzò di tenere a bada l’apprensione. I Gemelli potevano anche conoscere più parole e tecniche, ma lui ricordava bene quello che gli aveva detto Brom: i Cavalieri sono più forti degli stregoni comuni. Sarebbe bastato questo a contrastare il potere congiunto dei Gemelli?
Non preoccuparti; ti aiuterò io, disse Saphira. Anche noi siamo in due. Eragon le sfiorò un fianco, confortato dalle sue parole.
I Gemelli lo guardarono e chiesero: «Qual è la tua risposta, Eragon?» . Senza badare alle espressioni sconcertate dei suoi compagni, Eragon si limitò a rispondere un secco no.
Rughe profonde si disegnarono agli angoli della bocca dei Gemelli. Si volsero in modo da controllare Eragon con la coda dell’occhio e si chinarono per tracciare un pentacolo sul terreno. Si misero al centro del simbolo magico e dissero, perentorii «Cominciamo subito. Dovrai compiere le azioni che ti indicheremo. Ecco tutto.»
Uno dei Gemelli frugò sotto il manto, estrasse una pietra levigata grande quanto un pugno e la posò a terra. «Sollevala all’altezza degli occhi»
Questo è facile, commentò Eragon con Saphira. «Stern reisa!» La pietra ondeggiò, poi cominciò a sollevarsi lentamente da terra; ad appena un piede di altezza, un’inaspettata resistenza la bloccò a mezz’aria. Sulle labbra dei Gemelli affiorò un sorriso beffardo. Eragon li guardò infuriato: stavano cercando di ostacolarlo! Se si fosse stancato subito, poi non sarebbe riuscito a compiere azioni più impegnative. I Gemelli erano sicuri che le loro forze combinate lo avrebbero stancato.
Ma nemmeno io sono solo, ruggì Eragon tra sé. Saphira, ora! La dragonessa unì la propria mente alla sua, e la pietra balzò in alto, fermandosi tremolante all’altezza dei loro occhi. Lo sguardo dei Gemelli trasudava veleno.
«Molto... bene» sibilarono. Fredric seguiva nervoso la dimostrazione di magia. «Ora fai muovere la pietra in circolo.» Di nuovo Eragon si trovò a combattere contro i loro sforzi di fermarlo, e di nuovo – con grande rabbia dei due - prevalse. Gli esercizi crebbero per complessità e difficoltà finché Eragon non fu costretto a scegliere con cautela le parole da usare. E ogni volta i Gemelli lo ostacolavano con tenacia, pur senza mostrare la minima traccia di tensione.
Fu solo grazie all’aiuto di Saphira che Eragon riuscì a resistere. In una brevissima pausa tra un esercizio e l’altro, le chiese: Perché insistono tanto? Avrebbero dovuto capire di che cosa siamo capaci fin da quando mi hanno scrutato la mente. La dragonessa inclinò la testa da un lato, pensierosa. Sai una cosa? disse lui in un lampo di comprensione. Credo che stiano sfruttando questa occasione per scoprire quali parole antiche conosco, e magari impararne di nuove.
Allora parla sottovoce, in modo da non farti sentire, e usa le parole più elementari.
Da quel momento in poi, Eragon pronunciò soltanto le parole più comuni per compiere gli esercizi. Ma trovare modi per farle funzionare allo stesso modo di una lunga frase richiese il suo massimo impegno. La ricompensa furono le smorfie deluse che facevano i Gemelli ogni volta che lui riusciva nel compito. Per quanto si sforzassero, non riuscirono mai a fargli usare nuove parole nell’antica lingua.
Era passata più di un’ora, ma i Gemelli non davano cenno di voler smettere, Eragon aveva caldo e una gran sete, ma non avrebbe mai dato loro la soddisfazione di chiedere una tregua. Lo sottoposero a parecchie prove: manipolazione dell’acqua, creazione e lancio di globi infuocati, cristallomanzia, giochi di destrezza con le pietre, indurimento del cuoio, congelamento di oggetti, controllo della direzione di una freccia, cura di lievi ferite. Eragon prese a domandarsi quando ancora ci voleva perché si trovassero a corto di idee.