Se arriva lo Spettro, chi potrà sconfiggerlo se non io? E chi ne ha il diritto più di me?»
Eragon la guardò ammtitolito, riconoscendo suo malgrado che aveva ragione. «Allora bada a te stessa» disse. Poi, per disperazione, aggiunse nell’antica lingua; «Wiol pòmnuria ilian.» Per la mia felicità.
Arya distolse lo sguardo inquieta; la folta frangia le celava il volto. Fece scorrere la mano sul lucido arco e mormorò: «È il mio wyrda, trovarmi qui. Devo ripagare il mio debito.»
Eragon si volse di scatto e tornò a grandi passi da Saphira. Murtagh lo guardò incuriosito. «Che cos’ha detto?»
«Niente.»
Immersi nei propri pensieri, col passare delle ore i difensori sprofondarono in un silenzio sempre più cupo. Il cratere del Farthen Dùr piombò ancora una volta nelle tenebre, rischiarate soltanto dal bagliore sanguigno delle lanterne e dei fuochi su cui ribolliva la pece, Eragon studiava l’intreccio della propria cotta di maglia, poi scoccava rapide occhiate all’indirizzo di Arya. Orik strofinava una pietra da cote sulla lama della sua ascia, esaminando il taglio fra una passata e l’altra; il raspare del metallo era irritante. Lo sguardo di Murtagh era perso nel vuoto.
Di tanto in tanto, qualche messaggero correva per l’accampamento, facendo scattare in piedi i guerrieri; ma era sempre un falso allarme. Gli uomini e i nani erano sempre più tesi; spesso si udivano esplosioni di collera. La cosa peggiore del Farthen Dùr era l’assenza del vento: l’aria era immobile, morta. A peggiorare le cose, il fumo dei falò e delle lanterne si addensava rendendo l’aria calda e soffocante.
Mentre la notte invecchiava, il campo di battaglia divenne mortalmente silenzioso. I muscoli di tutti dolevano per la tensione dell’attesa, Eragon fissava il buio con occhi vacui e palpebre pesanti. Ogni tanto si scuoteva, nel tentativo di riprendersi dal torpore. Alla fine Orik disse: «È tardi. Dovremmo dormire. Se succede qualcosa, gli altri ci sveglieranno.» Murtagh borbottò, ma Eragon era troppo stanco per lamentarsi. Si rannicchiò accanto a Saphira, usando lo scudo come cuscino. Mentre chiudeva gli occhi, vide Arya ancora sveglia, che li guardava.
I suoi sogni furono confusi e inquietanti, popolati da bestie cornute e minacce invisibili. Più volte sentì una voce chiedere: “Sei pronto?” Ma non c’era mai risposta. Tormentato da simili visioni, il suo sonno fu agitato e snervante, finché qualcosa non gli toccò il braccio. Si svegliò di soprassalto.
58
La battaglia di Farthen Dûr
«È cominciata» gli annunciò Arya con espressione dolente. Le truppe nell’accampamento erano già deste e vigili, le armi in pugno. Orik roteò la scure per sciogliere i muscoli del braccio. Arya incoccò una freccia, pronta a scagliarla.
«Qualche minuto fa è arrivato un esploratore da uno dei tunnel» disse Murtagh a Eragon. «Gli Urgali stanno arrivando.»
Insieme guardarono il nero ingresso della galleria attraverso le schiere di guerrieri e le file di pali appuntiti. Passò un lungo minuto, poi un altro, e un altro. Senza distogliere gli occhi dal tunnel, Eragon salì in groppa a Saphira, reggendo il peso rassicurante di Zar’roc. Al suo fianco, Murtagh montò su Tornac. Poi un uomo gridò: «Li sento!»
I guerrieri s’irrigidirono; le mani si strinsero intorno alle armi. Nessuno si muoveva; nessuno respirava. Da qualche parte, un cavallo nitrì.
Roche grida di Urgali squarciarono l’aria mentre sagome nere eruttavano dall’apertura del tunnel. Al comando stabilito, i calderoni di pece bollente vennero inclinati verso la fenditura, riversando fiumi di liquido ustionante nella bocca famelica della galleria. I mostri ulularono di dolore, agitando le braccia. Una torcia venne scagliata sulla pece ribollente, intrappolando gli Urgali in un inferno. Nauseato, Eragon guardò oltre la piana del Farthen Dùr e vide gli altri due battaglioni impegnati nella stessa carneficina. Rinfoderò Zar’roc e incordò l’arco.
Altri Urgali presto spensero i fuochi di pece e si. arrampicarono dai tunnel, calpestando i corpi bruciati dei compagni. Si ammassarono, compatti come un solido muro davanti agli uomini e ai nani. Dietro la palizzata che Orik aveva aiutato a costruire, la prima linea di arcieri liberò una pioggia di frecce. Eragon e Arya aggiunsero i loro dardi allo sciame fatale e li videro falciare i ranghi degli Urgali.
La linea dei mostri vacillò, minacciando di spezzarsi, ma i nemici si ripararono con gli scudi e sostennero l’attacco. Di nuovo gli arcieri tirarono, ma gli Urgali continuavano ad affiorare a un ritmo spaventoso.
Eragon era sconvolto dalla loro quantità. Dovevano ucciderli uno per uno? Gli parve un compito impossibile. L’unica nota incoraggiante era il fatto di non vedere soldati di Galbatorix con gli Urgali. Non ancora, almeno.
L’esercito avversario formava una solida massa di corpi che sembrava estendersi all’infinito. Vessilli logori e macchiati furono innalzati dal folto dei mostri. Lugubri note echeggiarono nel Farthen Dùr quando i corni di guerra risuonarono. L’intero gruppo di Urgali caricò con selvagge grida di guerra. Si lanciarono contro le file di pali appuntiti, coprendoli di sangue viscido e corpi inerti, mentre i ranghi dell’avanguardia venivano schiacciati contro le difese. Una nube di frecce nere volò oltre la barriera, ricadendo sui difensori accovacciati. Eragon si nascose dietro lo scudo, e Saphira si coprì la testa. Le frecce tintinnarono innocue contro la sua armatura.
Respinta dai picchetti, l’orda degli Urgali esitò, confusa. I Varden si raggrupparono in attesa del nuovo assalto. Dopo una breve pausa, le grida di guerra risuonarono ancora, mentre gli Urgali riprendevano le forze. L’attacco fu feroce. L’impeto portò gli Urgali attraverso la foresta di paletti, dove ima linea di picchieri scagliò freneticamente le armi contro i mostri, nel tentativo di arrestare la marea. I picchieri opposero resistenza, ma l’orrida massa di Urgali era inarrestabile, e furono sopraffatti.
Con la prima linea di difesa spezzata, i corpi principali delle due forze si scontrarono per la prima volta. Un ruggito assordante si levò dagli uomini e dai nani mentre si lanciavano nella mischia. Saphira levò un cupo bramito e si scagliò nel cuore della battaglia, immergendosi in un turbine di rumori e azioni confuse.
Con le zanne e gli artigli, la dragonessa dilaniò un Urgali. I suoi denti erano letali quando una spada, la sua coda un maglio gigantesco. In sella, Eragon parò il colpo di mazza di un capo Urgali, proteggendole le ali vulnerabili. Zar’roc sembrava lieta che tanto sangue scorresse lungo la sua lama cremisi.
Con la coda dell’occhio, Eragon vide Orik mozzare teste di Urgali con precisi fendenti della sua ascia. A fianco del nano c’era Murtagh su Tornac, il volto distorto da un ghigno malevolo: furente, roteava la spada, sbaragliando ogni avversario. Poi Saphira si volse, ed Eragon vide Arya scavalcare con un agile balzo il corpo senza vita di un avversario.
Un Urgali investì con furia cieca un nano ferito e si scagliò contro la zampa destra di Saphira, quella davanti. La sua spada slittò sull’armatura in.una pioggia di scintille. Eragon lo colpì alla testa, ma Zar’roc rimase impigliata nelle sue corna e gli fu strappata di mano. Eragon imprecò, e da Saphira si tuffò sull’Urgali, schiacciandogli il muso con lo scudo. Liberò Zar’roc dalle corna e fece appena in tempo a evitare la carica di un altro Urgali.
Saphira, ho bisogno di te! gridò, ma la confusione della battaglia li aveva separati. All’improvviso un Kull si avventò su di lui, con la mazza pronta a colpire. Sapendo che non avrebbe avuto il tempo di levare lo scudo per proteggersi, Eragon urlò; «Jierda!» La testa del Kull scattò all’indietro con uno schianto secco: gli si era spezzato il collo. Altri quattro Urgali placarono la sete di sangue di Zar’roc, poi Murtagh piombò con Tornac fra gli assalitori.