Saphira ruggì di dolore e barcollò, proprio mentre le sue zampe si staccavano da terra. Dispiegò le ali con uno schiocco sonoro per riprendere l’equilibrio ed evitare di schiantarsi al suolo, poi virò bruscamente da un lato, sfiorando il terreno con la punta dell’ala destra. Sotto di loro, l’Urgali ritrasse il braccio, pronto a scagliare l’ascia. In quell’istante. Arya gridò e alzo il palmo, e un globo di energia color smeraldo guizzò dalla sua mano contro l’Urgali, uccidendolo sul colpo. Con uno sforzo colossale, Saphira recuperò l’assetto di volo e si alzò, sfiorando le teste dei guerrieri. Si allontanò dal campo di battaglia con potenti colpi d’ala. Respirava con affanno.
Stai bene? le domandò Eragon, preoccupato. Non riusciva a vedere dov’era stata colpita.
Sopravviverò, rispose lei, ma la parte davanti della mia armatura è schiacciata verso l’interno. Mi fa male e mi impedisce di muovermi.
Ce la fai ad arrivare sulla rocca?
... vedremo.
Eragon riferì ad Arya le condizioni di Saphira. «Resterò io con Saphira quando atterreremo» si offrì l’elfa. «E quando l’avrò liberata dall’armatura, ti raggiungerò.»
«Grazie» disse lui. Il volo fu faticoso per Saphira, che planava ogni volta che poteva. Quando ebbero raggiunto la rocca, atterrò pesantemente su Isidar Mithrim, dove avrebbero dovuto trovarsi i Gemelli per assistere alla battaglia: ma il luogo era deserto. Eragon balzò a terra e trasalì nel vedere i danni provocati dall’Urgali. Quattro placche metalliche del pettorale di Saphira erano state schiacciate verso l’interno, diminuendo la sua capacità di piegarsi e respirare. «Buona fortuna» le disse, posandole una mano sul fianco; poi corse via sotto l’arco.
Si fermò e lanciò un’imprecazione. Era in cima a Voi Turin, la Scala Infinita. Preoccupato com’era per le condizioni di Saphira, non aveva pensato a come scendere fino alla base di Tronjheim, dove gli Urgali stavano facendo irruzione. Non c’era tempo di usare le scale. Guardò lo stretto canale di scolo che correva al fianco dei gradini, afferrò uno dei cuscinetti di pelle e si gettò.
Lo scivolo di pietra era liscio come legno laccato. Con la pelle sotto di sé, accelerò quasi all’istante a una velocità spaventosa, mentre le pareti scorrevano indistinte ai lati e la curva dello scivolo lo premeva contro il muro. Eragon si distese per andare ancora più veloce. L’aria ruggiva intorno all’elmo, facendolo vibrare come un segnavento in una bufera. Lo scivolo era troppo stretto per lui, e più di una volta fu pericolosamente vicino a essere sbalzato fuori, ma se teneva le braccia e le gambe aderenti al corpo, tutto sarebbe filato liscio.
Fu una discesa rapidissima, ma gli ci vollero comunque una decina di minuti per raggiungere il fondo. Il canale terminava bruscamente ed Eragon continuò a scivolare sul pavimento di corniola ancora per diverse iarde.
Quando finalmente si fermò, era troppo stordito per camminare. Al primo tentativo di alzarsi gli venne il voltastomaco, così si accovacciò, la testa tra le mani, e aspettò che il mondo smettesse di vorticare. Quando si sentì meglio, si alzò e si guardò intorno, circospetto.
La grande sala era deserta, il silenzio irreale. Da Isidar Mithrim filtrava la consueta luce rosata, Esitò - dove doveva andare? - poi espanse la mente in cerca dei Gemelli. Niente. S’impietrì nel sentire un forte rimbombo risuonare per tutta Tronjheim.
Un’esplosione squarciò l’aria. Una lunga lastra del pavimento si deformò e saltò in aria, per oltre trenta piedi. Taglienti schegge di pietra si sparsero ovunque quando la lastra ricadde con uno schianto. Eragon incespicò all’indietro, sgomento, cercando a tentoni l’impugnatura di Zar’roc. Le figure mostruose degli Urgali presero a salire dalla voragine nel pavimento.
Eragon esitò. Doveva fuggire? O restare e chiudere il tunnel? Se anche fosse riuscito a sigillarlo prima che gli Urgali lo attaccassero, probabilmente stavano aprendo altre brecce nel suolo di Tronjheim. Non poteva trovarsi in tutti i posti a un tempo per impedire alla città-montagna di cadere nelle grinfie del nemico. Ma se corro a uno dei cancelli di Tronjheim e lo faccio saltare, i Varden potranno riprendere . Tronjheim senza bisogno di un assedio. Prima che potesse decidere, un soldato alto, con un’armatura completamente nera, emerse dal tunnel e lo guardò dritto negli occhi. Era Durza.
Lo Spettro impugnava la pallida spada graffiata da Ajihad. Al braccio portava uno scudo nero.e rotondo, con un’insegna cremisi. Il suo elmo nero recava ricchi decori, come quello di un generale, e intorno gli svolazzava un lungo manto di pelle di serpente. La follia ardeva nei suoi occhi rossicci, la follia di colui che detiene il potere e si trova nella posizione di usarlo.
Eragon sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza veloce o forte da sfuggire al nemico che aveva di fronte. Avvertì subito Saphira, pur sapendo che era impossibile per lei venire a salvarlo. Tese i muscoli in posizione di guardia e ripassò quanto gli aveva insegnato Brom sul fatto di affrontare un avversario capace di usare la magia. Non era incoraggiante. E Ajihad aveva detto che gli Spettri si potevano uccidere soltanto con un colpo al cuore.
Durza lo guardò con disprezzo e disse: «Kaz jtierl traz-hid! Otrag bagh.» Gli Urgali studiarono Eragon sospettosi e formarono un cerchio intorno al perimetro della sala. Durza si avvicinò lentamente a Eragon, con un’espressione di trionfo. «E così, mio giovane Cavaliere, ci incontriamo ancora. Sei stato sciocco a sfuggirmi, a Gil’ead. Alla fine, non è servito ad altro che a peggiorare le cose.»
«Non mi prenderai mai vivo» ringhiò Eragon.
«Tu credi?» disse lo Spettro, irridente. La luce dello zaffiro stellato conferiva alla sua pelle un colore ancor più cinereo. «Non vedo il tuo amico Murtagh ad aiutarti. Non può fermarmi, ora. Nessuno può!»
Eragon si sentì pervadere dal terrore. Come fa a sapere di Murtagh? Sforzandosi di assumere un tono beffardo, esclamò: «Come ci si sente a essere trapassati da una freccia?»
Il volto di Durza s’irrigidì per un istante. «Sarò ripagato col sangue per quanto mi è stato fatto. Ora dimmi dove si nasconde il tuo drago.»
«Mai.»
Il contegno dello Spettro vacillò. «Allora ti costringerò a dirmelo!» La, sua spada sibilò nell’aria. Nel momento in cui Eragon parava il colpo con lo scudo, un maglio gli penetrò nel cervello. Lottando per proteggere la sua coscienza, respinse Durza e attaccò con la propria mente.
Eragon aggredì con tutte le sue forze le strenue difese erette intorno alla mente di Durza: invano. Fece roteare Zàr’roc, cercando di prendere Durza alla sprovvista. Lo Spettro parò il fendente senza sforzo, poi fece un affondo con uno scatto fulmineo.
La punta della spada colse Eragon fra le costole, forandogli la cotta di maglia e mozzandogli il fiato. La maglia però scivolò e la lama gli mancò il fianco per un soffio. Un attimo di distrazione era quello che occorreva a Durza per entrare nella mente di Eragon e assumerne il controllo.
«No!» gridò Eragon, scagliandosi contro lo Spettro. Afferrò Durza, cercando di bloccargli il braccio che teneva la spada. Durza tentò di tagliargli la mano, ma era protetta dal guanto di maglia, che fece scivolare la lama. Mentre Eragon gli sferrava un calcio su uno stinco. Durza ringhiò e lo colpì da dietro con lo scudo nero, mandandolo a terra. Eragon sentì il sapore del sangue in bocca; il collo gli pulsava. Ignorando le ferite, rotolò su un fianco e scagliò il proprio scudo contro Durza. Malgrado la superiore rapidità dello Spettro, lo scudo pesante lo colpì al fianco. Mentre Durza vacillava, Eragon lo ferì al braccio con Zar’roc. Un rivolo di sangue colò lungo il braccio dello Spettro. Eragon respinse lo Spettro con la mente e penetrò nelle sue difese indebolite. Un fiume di immagini lo avvolse all’improvviso, scorrendogli nella coscienza...