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Si infilò di nuovo la tunica e si avvicinò al piccolo fuoco da campo che avevano acceso. Murtagh era seduto, intento a tagliuzzare un pezzo di legno. Eragon estrasse Zar’roc dal fodero. Murtagh si irrigidì, ma il suo volto rimase calmo. «Adesso che ho ripreso le forze, ti andrebbe di allenarti con me?» gli chiese Eragon.

Murtagh depose il pezzo di legno. «Con le spade? Così ci faremo del male.»

«Dammi la tua arma» disse Eragon. Murtagh esitò, poi gli porse lo spadone. Eragon ne smussò il taglio con la magia, come Brom gli aveva insegnato. Mentre Murtagh esaminava l’arma, Eragon disse: «La farò tornare come prima quando avremo finito.»

Murtagh controllò l’equilibrio della sua lama. Soddisfatto, rispose: «D’accordo.» Eragon gettò lo stesso incantesimo su Zar’roc, assunse la posizione di attacco e si slanciò, mirando alla spalla di Murtagh. Le loro spade s’incrociarono a mezz’aria. Eragon si liberò con grazia e fece un allungo che Murtagh schivò, balzando di lato.

È veloce, pensò Eragon.

Duellarono con impegno, ciascuno nel tentativo di indurre l’altro alla resa. Dopo uno scambio particolarmente accanito, Murtagh scoppiò a ridere. Non solo era evidente che nessuno dei due riusciva ad avere un vantaggio sull’altro, ma erano così uguali da stancarsi allo stesso ritmo. Riconoscendo la destrezza dell’altro con un mutuo sorriso, continuarono a duellare fino ad avere le braccia a pezzi e la schiena striata di sudore.

Alla fine Eragon dichiarò: «Basta così!» Murtagh si fermò di colpo e sedette a terra di schianto, ansante, Eragon lo imitò, stringendosi il petto per l’affanno. Nessuno dei duelli con Brom era stato così feroce.

Mentre riprendeva fiato, Murtagh esclamò: «Mi sorprendi! Ho studiato scherma tutta la vita, ma non ho mai incontrato nessuno come te. Se volessi, potresti diventare maestro di scherma del re.»

«Anche tu non te la cavi male» osservò Eragon, ancora col fiato grosso. «L’uomo che ti ha insegnato. Tornac, potrebbe fare una fortuna se aprisse una scuola di scherma. Verrebbe gente da ogni parte di Alagasëia per imparare da lui.»

«È morto» disse Murtagh asciutto.

«Mi dispiace.»

E così allenarsi tutte le sere divenne un’abitudine per loro, una consuetudine che li aiutava a tenersi in forma come un paio di lame gemelle. Con il recupero della salute, Eragon riprese anche a esercitarci con la magia, Murtagh lo osservava incuriosito e ben presto rivelò una sorprendente conoscenza di come funzionava, anche se gli mancavano i dettagli precisi e non sapeva usarla. Ogni volta che Eragon si esercitava a parlare l’antica lingua, lui ascoltava in silenzio, chiedendo di tanto in tanto il significato di qualche parola.

Alla periferia di Gil’ead fermarono i cavalli fianco a fianco. Avevano impiegato quasi un mese per raggiungerla, durante il quale la primavera aveva cancellato le ultime tracce dell’inverno. Eragon si era sentito cambiare durante il viaggio: era diventato più forte e calmo. Pensava ancora a Brom e ne parlava con Saphira, ma la maggior parte del tempo cercava di non risvegliare dolorosi ricordi. Da lontano videro che la città era un luogo aspro e barbaro, tutto case di legno e cani feroci. Al centro sorgeva una fortezza di pietra costruita in modo approssimativo. L’aria era offuscata da volute di fumo azzurrognolo. Il luogo sembrava più una stazione di posta che una vera città. Cinque miglia dietro di essa si intravvedeva la nebbiosa sagoma del Lago Isenstar.

Decisero di accamparsi a due miglia dalla città, per sicurezza. Mentre la cena cuoceva lentamente sul fuoco, Murtagh disse: «Non ritengo opportuno che vada tu a Gil’ead.»

«Perché no? So travestirmi bene» disse Eragon. «e credo che quel Dormand voglia vedere. il gedwey ignasia per assicurarsi che io sia un vero Cavaliere.»

«Può darsi» disse Murtagh. «ma l’Impero vuole te molto più di quanto non voglia me. Se mi catturano, posso sempre provare a fuggire. Se catturano te, ti porteranno dal re, dove verrai condannato a morte lenta per tortura... a meno che non accetti di servirlo. Per giunta. Gil’ead è una delle più grandi guarnigioni dell’esercito: quelle che vedi non sono abitazioni civili, ma caserme. Entrare in città sarebbe come offrirti al re su un piatto d’argento.»

Eragon chiese a Saphira la sua opinione. La dragonessa gli avvolse la coda intorno alle gambe e si accoccolò accanto a lui. Non devi chiederlo a me; mi pare che il suo ragionamento fili. Ci sono cose che posso dirgli, cose che serviranno a convincere Dormand a dargli la sua fiducia. E poi ha ragione: se qualcuno deve rischiare di essere catturato, quello è Murtagh, perché riuscirebbe a sopravvivere.

Eragon si accigliò. Non mi piace l’idea di metterlo in pericolo a causa nostra. «D’accordo» disse a malincuore. «Ma se qualcosa va storto, ti vengo a cercare.»

Murtagh scoppiò a ridere. «L’ideale per una bella leggenda da tramandare: il Cavaliere solitario che sfidò l’intero esercito del re.» Ridacchiò ancora e si alzò. «C’è niente che dovrei sapere prima di andare?»

«Non possiamo riposare e aspettare domattina?» chiese Eragon, riluttante.

«Perché? Più a lungo restiamo qui, maggiori sono le probabilità che ci scoprano. Se questo Dormand è in grado di portarti dai Varden, allora dobbiamo trovarlo il più presto possibile. Nessuno di noi due dovrebbe restare attorno a Gil’ead per più di un paio di giorni.»

Le sue labbra proferiscono sagge parole, commentò Saphira. Disse a Eragon che cos’era necessario riferire a Dormand, e il ragazzo ripetè l’informazione a Murtagh.

«Bene» disse Murtagh, sistemandosi la spada al fianco. «A meno che non sorgano problemi, sarò di ritorno fra un paio d’ore. Mi raccomando, lasciami qualcosa da mangiare.» E con un cenno di saluto montò in sella a Tornac e si allontanò. Eragon si sedette accanto al fuoco, tamburellando nervosamente sul pomello di Zar’roc.

Le ore passarono, ma Murtagh non tornava. Eragon cominciò a camminare intorno al falò, Zar’roc in pugno, mentre Saphira scoccava continue occhiate a Gil’ead, sempre più ombrosa. Soltanto i suoi occhi si muovevano. Nessuno di loro dava voce alle proprie preoccupazioni, anche se Eragon si era lentamente preparato a partire, nel caso che un drappello di soldati fosse uscito dalla città diretto verso il campo.

Guarda, disse Saphira all’improvviso.

Eragon si volse di scatto verso Gil’ead, in allarme. Vide in lontananza un uomo a cavallo che si allontanava in fretta dalla città, galoppando verso l’accampamento. Non mi piace, disse, montando in groppa a Saphira. Tieniti pronta a volare.

Sono pronta a ben altro.

Mentre il cavaliere si avvicinava, Eragon riconobbe Murtagh, chino sul collo di Tornac. Nessuno pareva inseguirlo, eppure non rallentò l’andatura forsennata. Piombò nel campo e saltò giù dal destriero, sguainando la spada. «Che cosa succede?» chiese Eragon.

Murtagh era sconvolto. «Mi ha seguito qualcuno da Gil’ead?»

«Non abbiamo visto nessuno.»

«Bene. Fammi prima mangiare, poi ti spiego. Sto morendo di fame.» Afferrò una scodella e divorò la cena di gusto. Dopo i primi rapidi bocconi, disse a bocca piena: «Dormand ha accettato di incontrarci domattina all’alba, fuori Gil’ead. Se sarà sicuro che sei davvero un Cavaliere e che non gli abbiamo teso una trappola, vi accompagnerà dai Varden.»

«Dove dovremmo incontrarci?» chiese Eragon. Murtagh indicò a est. «Su una piccola collina al di là della strada.»

«Adesso mi racconti che cosa è successo?»