Выбрать главу

Murtagh prese un’altra cucchiaiata dalla scodella. «Niente di straordinario, ma proprio per questo una cosa mortalmente pericolosa: qualcuno che mi conosce mi ha visto per la strada. L’unica cosa che potevo fare era fuggire, Ma era già troppo tardi: mi ha riconosciuto.»

Un evento increscioso, ma Eragon non riusciva a capire fino a che punto pericoloso. «Dato che non conosco questa persona, ti chiedo; lo dirà a qualcuno?»

Murtagh rise amaro. «Se lo conoscessi, non mi faresti questa domanda. Ha la bocca grande quanto un forno, e sempre aperta per vomitare qualunque cosa gli passi per la testa. La domanda non è se lo dirà a qualcuno, ma a chi lo dirà. Se la notizia raggiunge le orecchie sbagliate, saremo nei guai.»

«Dubito che i soldati vengano a cercarti di notte» osservò Eragon. «Almeno possiamo contare sul fatto che saremo al sicuro fino a domattina, e a quel punto, se tutto va bene, saremo già in. viaggio con Dormand.»

Murtagh scosse il capo. «No, andrete solo voi. Come ho già detto, io dai Varden non vengo.»

Eragon lo guardò, addolorato. Voleva che Murtagh restasse; erano diventati amici durante il viaggio, e non sopportava l’idea di separarsi da lui. Fece per protestare, ma Saphira gli diede un corpetto col muso e disse: Aspetta domattina. Adesso non è il momento.

D’accordo, disse lui, incupito. Parlarono finché le stelle furono alte nel cielo, poi si addormentarono mentre Saphira faceva il primo turno di guardia.

Eragon si destò due ore prima dell’alba, col palmo che gli formicolava. Tutto era tranquillo e silenzioso, ma qualcosa lo turbava, come un prurito della mente. Si legò Zar’roc alla cintura e si alzò. Attento a non fare nessun rumore. Saphira lo guardò curiosa, i grandi occhi splendenti.

Cosa c’è? chiese.

Non lo so, rispose lui. Non vedeva niente di strano.

Saphira fiutò l’aria, sibilò e alzò di poco la testa. Sento odore di cavalli nelle vicinanze, ma non si muovono. Emanano un puzzo disgustoso che non riconosco.

Eragon strisciò accanto a Murtagh e lo chiamò posandogli una mano sulla spalla. Murtagh si svegliò di soprassalto, sfilò un pugnale da sotto le coperte, poi guardò Eragon con aria interrogativa. Eragon gli fece cenno di restare in silenzio e bisbigliò; «Ci sono dei cavalli qui intorno.»

Murtagh sguainò la spada senza dire una parola. Si disposero ciascuno su un lato di Saphira, pronti a difendersi. Mentre aspettavano, la stella del mattino sorse a est. Uno scoiattolo squittì. Poi un improvviso ringhio alle spalle fece voltare Eragon di scatto, con la spada alta. Un grosso Urgali era comparso ai bordi del campo, impugnando un piccone dalla punta malevola. Da dove sono sbucati? Non abbiamo visto le loro tracce da nessuna parte! Pensò Eragon. L’Urgali ruggì e agitò la sua arma, ma non si slanciò all’attacco.

«Brisingr!» ululò Eragon, e lo colpì con la magia. Il muso del mostro si trasformò in una maschera di terrore mentre esplodeva in un lampo di luce azzurra. Il sangue schizzò addosso a Eragon, e una massa scura volò in aria. Alle sue spalle, Saphira lanciò un ululato di allarme e s’impennò, Eragon si voltò. Mentre era occupato con il primo Urgali, un gruppo di mostri gli si era avvicinato di lato. Ci sono cascato come uno sciocco!

L’acciaio cozzò con violenza mentre Murtagh attaccava gli Urgali. Eragon cercò di unirsi a lui, ma venne bloccato da altri quattro mostri. Il primo tentò un affondo di spada contro la sua spalla. Eragon schivò il colpo e uccise l’Urgali con la magia. Ne sgozzò un altro con Zar’roc, piroettò su se stesso e ne uccise un terzo colpendolo al cuore. Il quarto gli si avventò contro roteando una pesante mazza.

Eragon lo vide arrivare e cercò di alzare la spada per parare la mazza, ma fu di un secondo troppo lento. Mentre l’arma si abbatteva sulla sua testa, gridò: «Vola, Saphira!» Un lampo accecante, e perse i sensi.

40

Du Sùndavar Freohr

La prima cosa che Eragon notò fu che si trovava al caldo e all’asciutto, le guance premute contro una stoffa ruvida, e che non aveva le mani legate. Si mosse con cautela, ma passò qualche minuto prima che fosse in grado di alzarsi e studiare il luogo che lo ospitava.

Era seduto in una cella, su un tavolaccio di legno, stretto e gibboso. In una delle pareti, in alto, era incassata una finestrella chiusa da una grata. La porta di ferro aveva anch’essa una piccola grata nella metà più alta.

Quando si mosse, Eragon sentì strisce di sangue rappreso crepitargli sul volto. Gli ci volle un istante per ricordare che non era suo. La testa gli faceva un male terribile, come c’era da aspettarsi visto il colpo ricevuto, e la mente era stranamente annebbiata. Provò a usare la magia, ma non riusciva a concentrarsi abbastanza da ricordare qualche antica parola. Devono avermi drogato, decise infine. Si alzò con un gemito, avvertendo la mancanza del peso familiare di Zar’roc al suo fianco, e arrancò verso la finestrella. Se stava in punta di piedi, riusciva a vedere fuori. I suoi occhi impiegarono qualche secondo per abituarsi all’intensa luce esterna. La finestra era al livello del suolo. Una strada piena di gente indaffarata correva lungo la parete della sua cella, oltre la quale c’erano file di identiche costruzioni di legno.

Sentendosi debole, Eragon si lasciò scivolare a terra e fissò il pavimento con occhi vuoti. Quello che aveva visto fuori lo turbava, ma non sapeva perché. Maledicendo la scarsa lucidità mentale, reclinò indietro la testa e cercò di schiarirsi la mente. Un uomo entrò nella cella e appoggiò sul tavolaccio un vassoio con del cibo e una brocca d’acqua. Gentile da parte sua! pensò, sorridendo.

Assaggiò un paio di cucchiaiate dell’insipida zuppa di cavoli e pane secco, ma riuscì a stento a trattenerla nello stomaco. Avrei voluto qualcosa di meglio, si lamentò, abbandonando il cucchiaio. All’improvviso capì. che cosa non andava. Sono stato catturato da un branco di Urgali, non da uomini! Come sono finito qui? La sua mente stordita si arrovellò senza venire a capo di niente. Archiviò la scoperta in attesa di quando avrebbe saputo che cosa farne.

Si sedette sullo scomodo giaciglio, lo sguardo perso nel vuoto. Qualche ora più tardi gli portarono di nuovo da mangiare. Proprio quando stavo cominciando ad avere fame, pensò a fatica. Questa volta riuscì a ingoiare il cibo senza farsi venire la nausea. Quando ebbe finito, ritenne opportuno concedersi un sonnellino. In fondo, lì c’era soltanto un letto: che cos’altro poteva fare? La sua mente prese ad andare alla deriva, mentre il sonno lo accoglieva nel suo abbraccio. Poi si udì il clangore metallico di un cancello che si apriva da qualche parte, seguito da uno scalpiccio pesante di stivali sul pavimento di pietra, Il rumore divenne sempre più forte finché non gli parve di avere in testa qualcuno che picchiava contro una pentola. Perché non mi lasciano in pace? borbottò fra sé. Una torpida curiosità prese il sopravvento sulla stanchezza, e si costrinse ad andare alla porta per spiare dalla finestrella, battendo le palpebre come un gufo.

Vide un ampio corridoio largo una decina di metri. Sulla parete opposta si aprivano celle identiche alla sua. Una colonna di soldati marciava nel corridoio, le spade sguainate. Indossavano armature identiche; i volti avevano la stessa espressione arcigna, e i piedi calpestavano il pavimento con la stessa meccanica precisione, senza mai perdere il ritmo. Il suono era ipnotico. Un’impressionante dimostrazione di potenza.

Eragon osservò i soldati finché non cominciò ad annoiarsi. Proprio allora notò un’interruzione nella colonna. Portata a braccia da due massicci individui c’era una donna priva di sensi.

I lunghi capelli corvini le coprivano il viso, malgrado una fascia di pelle le cingesse la testa per tenere indietro le ciocche ondulate. Indossava un paio di pantaloni e una casacca di pelle. Intorno alla vita snella portava una cintura lucente, da cui pendeva sul fianco destro un fodero vuoto. Stivali alti al ginocchio le avvolgevano i polpacci e i piccoli piedi.