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Un uomo dalle spalle larghe accorse nella cella, la spada in pugno. «Che cosa succede, signore?» domandò allarmato.

«Metti via quel giocattolo, capitano» gli intimò lo Spettro. Annuì verso Eragon e disse, con voce mortalmente calma: «Il ragazzo non ha bevuto l’acqua. Perché?»

«Ho parlato con il sorvegliante prima. Ogni piatto è stato ripulito fino in fondo.»

«Molto bene» disse lo Spettro, tranquillizzato. «Ma assicurati che ricominci a bere.» Si protese verso il capitano e gli mormorò qualcosa nell’orecchio. Eragon colse le ultime parole. «... una dose in più, per non sbagliare.» Il capitano annuì. Lo Spettro riportò la sua attenzione su Eragon.

«Parleremo di nuovo domani quando non avrò così fretta. Sai, coltivo un interesse particolare per i nomi. Mi farà un enorme piacere discutere del tuo in maggiori dettagli.»

Il modo in cui lo disse suscitò in Eragon una sensazione di scoraggiamento.

Una volta che se ne furono andati, si distese sul tavolaccio e chiuse gli occhi. Le lezioni di Brom si stavano rivelando molto, utili in quel frangente; si affidò a loro per allontanare il panico e tranquillizzarsi. Mi è stato insegnato; devo solo metterlo a frutto. I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore di passi in avvicinamento.

Teso, andò alla porta e vide due soldati trascinare l’elfa lungo il corridoio. Quando non riuscì più a vederla, Eragon si accovacciò a terra e tentò di usare di nuovo la magia. Imprecò quando non ci riuscì.

Allora si affacciò a guardare la città e digrignò i denti. Era appena pomeriggio. Inspirò a fondo e cercò di aspettare, paziente.

41

I prigionieri prendono il volo

Era buio nella cella quando Eragon si alzò a sedere di scatto, elettrizzato. La nebbia mentale si era dissolta! Da ore ormai avvertiva la magia ai margini della coscienza, ma ogni volta che aveva provato a usarla, non era successo niente. Gli occhi raggianti di energia nervosa, strinse i pugni e disse: «Nagz reisa!» Con uno svolazzo, la coperta del suo giaciglio si sollevò e si appallottolò formando un fagotto, che cadde a terra con un soffice tonfo.

Eragon si alzò, al colmo dell’eccitazione. Si sentiva debole a causa del digiuno forzato, ma l’euforia superava la fame. Adesso proviamo sul serio. Dilatò la mente e tastò la serratura della porta. Invece di provare a romperla, si limitò ad azionarne i meccanismi interni. La porta si schiuse con uno scatto metallico.

Quando aveva usato la magia per uccidere gli Urgali a Yazuac, era arrivato al punto di consumare quasi tutte le energie, ma da allora era diventato molto più forte. Quello che un tempo lo stremava, ora gli procurava soltanto un lieve senso di spossatezza.

Fece un timido passo nel corridoio. Devo trovare Zar’roc e l’elfa. Dev’essere in una di queste celle, via non c’è il tempo di controllarle tutte, E Zar’roc, lo Spettro deve averla con sé. Si accorse di avere ancora la mente piuttosto confusa. Perché sono qui? Potrei fuggire subito, se tornassi dentro la cella e aprissi la finestra con la magia. Ma poi non sarei in grado di salvare l’elfa... Saphira, dove sei? Ho bisogno del tuo aiuto. Si rimproverà in silenzio per non averla chiamata prima. Avrebbe dovuto farlo non appena era rientrato in possesso del suo potere.

La sua risposta arrivò con sorprendente prontezza, Eragon! Sono su Gil’ead. Non fare niente.

Murtagh sta arrivando,

Cosa... Un pesante scalpiccio lo interruppe. Si volse e si acquattò nell’ombra, mentre una squadra di sei soldati marciava nel corridoio. Si fermarono di colpo, gli occhi che guizzavano da Eragon alla porta della cella aperta. Impallidirono. Bene, sanno chi sono. Forse riuscirò a spaventarli così da non dover combattere.

«Carica!» gridò uno dei soldati, lanciandosi all’attacco. Gli altri sguainarono le spade e lo seguirono di corsa.

Era pura follia combattere contro sei uomini disarmato e debole, ma il pensiero dell’elfa lo fece restare al suo posto. Non poteva abbandonarla. Senza sapere se lo sforzo lo avrebbe lasciato in piedi, evocò il potere e alzò la mano, con il gedwey ignasia che riluceva. Gli occhi dei soldati tradirono la paura, ma erano guerrieri incalliti e non rallentarono. Mentre Eragon apriva la bocca per pronunciare le parole fatali, si udì un fruscio, un lampo di movimento. Uno degli uomini crollò a terra, la schiena trafitta da una freccia. Altri due vennero colpiti prima che qualcuno capisse che cosa stava succedendo.

In fondo al corridoio, da dove erano entrati i soldati, c’era un uomo barbuto, vestito di stracci, con un arco in pugno. Sul pavimento ai suoi piedi c’era una stampella, che evidentemente non serviva più, dato che l’uomo se ne stava ben piantato sulle gambe, in perfetto equilibrio.

I tre soldati rimasti si volsero per affrontare la nuova minaccia. Eragon approfittò della confusione.

«Thrysta!» esclamò. Uno degli uomini si portò le mani al petto e cadde, Eragon barcollò quando la magia reclamò il suo pegno. Un altro soldato cadde, colpito al collo da una freccia. «Non ucciderlo!» gridò Eragon, vedendo che il suo soccorritore stava prendendo la mira contro l’ultimo soldato. L’uomo barbuto abbassò l’arco.

Eragon si concentrò sul soldato davanti a sé. L’uomo aveva l’affanno, e gli occhi spalancati. Aveva capito che gli veniva risparmiata la vita.

«Hai visto che cosa posso fare» disse Eragon in tono aspro.. «Se non rispondi alle mie domande, il resto della tua vita passerà fra atroci tormenti. Dov’è la mia spada? Il fodero e la lama sono rossi. E qual è la cella dell’elfa?»

L’uomo strinse le labbra.

Il palmo di Eragon rosseggiò minaccioso mentre il ragazzo evocava la magia. «Risposta errata» commentò severo. «Lo sai quanto dolore provoca un granello di sabbia incandescente affondato nello stomaco? Specie quando non si raffredda per almeno una ventina di anni e nel frattempo si scava la strada fino ai piedi? Quando alla fine uscirà dal tuo corpo, sarai vecchio.» Fece una pausa a effetto. «A meno che tu non mi dica quello che voglio.»

Il soldato sgranò gli occhi, ma rimase in silenzio. Eragon grattò una manciata di terra dal pavimento e osservò in tono piatto: «È un po’ più di un granello di sabbia, ma consolati: brucerà più in fretta. Certo, lascerà un bel buco.» A queste parole, il terriccio cominciò a rosseggiare incandescente, senza però scottargli la mano.

«D’accordo, ma non mettermelo nello stomaco!» strillò il soldato. «L’elfa è rinchiusa nell’ultima cella a sinistra! Non so niente della tua spada, ma probabilmente si trova nell’armeria di sopra. È lì che tengono tutte le armi.»

Eragon annuì, poi mormorò: «Slytha.» Il soldato rovesciò gli occhi all’indietro e cadde come un sacco vuoto.

«L’hai ucciso?»

Eragon guardò lo straniero che era a pochi passi da lui.

Strinse gli occhi nel tentativo di vedere oltre la. Barba. «Murtagh! Sei tu?» esclamò.

«Sì» rispose Murtagh, scostando per un istante la barba finta dal volto rasato. « non voglio che mi vedano in volto. L’hai ucciso?»

«No, sta dormendo, Come sei riuscito a entrare?»

«Non c’è tempo per le spiegazioni, Dobbiamo salire prima che qualcuno ci scopra, Fra pochi minuti ci verrà offerta una via di fuga che sarà meglio non mancare.»

«Non hai sentito quello che ho detto?» chiese Eragon, indicando il soldato svenuto. «C’è un’elfa prigioniera in una delle celle, L’ho vista! Dobbiamo salvarla. Mi serve il tuo aiuto.»

«Un’elfa...!» Murtagh si affrettò lungo il corridoio, borbottando: «È un errore. Dovremmo fuggire finché siamo in tempo.» Si fermò davanti alla cella che il soldato aveva indicato ed estrasse un anello di chiavi da sotto il mantello lacero. «L’ho preso a una delle guardie» disse.