Eragon accarezzò le ruvide squame del fianco di Saphira. «Questo se diamo per scontato che riescano a seguire le nostre tracce. Per prenderci, però, dovranno lasciare indietro ì soldati, il che torna a nostro favore. Se si arriva a uno scontro, credo che noi tre potremo sconfiggerli... purché non ci tendano un agguato come è successo a me e a Brom.»
«Poniamo di arrivare sani e salvi dall’altra parte del deserto» disse Murtagh. «E poi dove andremo? Quelle terre sono fuori dal raggio di azione dell’Impero, è vero, ma quante città credi di trovare? E poi c’è il deserto. Ne sai qualcosa?»
«Solo che è caldo, secco e pieno di sabbia» confessò Eragon.
«Appunto» replicò Murtagh. «Per non parlare di piante velenose e non commestibili, serpenti, scorpioni, e un sole cocente. Hai visto la grande pianura mentre andavamo verso Gil’ead?»
La domanda era retorica, ma Eragon rispose ugualmente: «Sì, e anche un’altra volta prima.»
«Allora sai che cosa significa la vastità. E quella pianura si trova nel cuore dell’Impero. Ora, immagina qualcosa che sia due o tre volte più grande, e comprenderai la vastità del Deserto di Hadarac. Quello che stai proponendo di attraversare.»
Eragon cercò di figurarsi un territorio che rispondesse alla descrizione, ma non riuscì a coglierne le distanze. Prese la mappa di Alagasëia dalle bisacce. La pergamena sprigionò odore di muffa mentre lui la srotolava a terra. «Non mi sorprende che l’Impero finisca ai confini del deserto. Tutto ciò che esiste dall’altra parte è troppo lontano perché Galbatorix lo possa controllare.»
Murtagh passò il dorso della mano sul lato destro della pergamena. «Tutto il territorio al di là del deserto, quello che ora è indicato da uno spazio vuoto, al tempo dei Cavalieri era sotto un unico dominio. Se il re ha intenzione di creare nuovi Cavalieri al suo comando, ciò gli consentirebbe di espandere l’Impero oltre misura. Ma non è questo il punto. Il Deserto di Hadarac è tanto vasto e contiene tanti pericoli che le probabilità di attraversarlo indenni sono minime. È un percorso disperato.»
«Noi siamo disperati» disse Eragon, risoluto. Studiò la mappa con attenzione. «Se tagliassimo dritti al cuore del deserto, ci vorrebbe un mese, forse anche due, per attraversarlo. Ma se puntiamo verso sud-est, verso i Monti Beor, potremmo farcela molto prima. Così potremo scegliere se costeggiare i Beor puntando ancora più a est, oppure deviare a ovest per raggiungere il Surda. Se questa mappa è precisa, la distanza fra qui e i Beor è più o meno la stessa che abbiamo coperto fino a Gil’ead.»
«Ma ci vorrà quasi un mese!»
Eragon scosse il capo in un moto d’impazienza. «Il nostro viaggio fino a Gil’ead è stato lento perché ero ferito. Se ci impegniamo al massimo, ci vorrà molto meno per raggiungere i Monti Beor.»
«Basta, mi hai convinto» disse Murtagh. «Ma c’è un grosso problema da risolvere. Come avrai notato, ho comprato viveri a sufficienza per noi e i cavalli mentre giravo per Gil’ead. Ma come facciamo per l’acqua? Le tribù nomadi che vivono nell’Hadarac di solito nascondono i pozzi e le oasi perché nessuno rubi loro l’acqua. E trasportarne una quantità che basti per più di una giornata è impossibile. Pensa solo a quanto beve Saphira! Lei e i cavalli consumano più acqua in una sola volta di quanta ne beviamo noi in una settimana. A meno che tu non sia capace di far piovere quando ci serve, non vedo come possiamo affrontare l’impresa che proponi.»
Eragon si dondolò sui talloni. Far piovere andava ben oltre le sue capacità, e sospettava che nemmeno il più forte dei Cavalieri l’avesse mai fatto. Spostare una tale massa d’aria equivaleva a muovere una montagna. Aveva bisogno di una soluzione che non gli esaurisse tutte le energie.
Chissà se è possibile trasformare la sabbia in acqua. Questo risolverebbe i nostri problemi, purché non richieda troppa fatica.
«Ho un’idea» disse. «Lasciami fare un esperimento, e poi ti darò una risposta.» Eragon si allontanò dal campo, e Saphira lo seguì.
Che cos’hai in mente? gli chiese.
«Non lo so» borbottò lui. Saphira, tu saresti in grado di trasportare acqua per tutti noi? La dragonessa fece di no con l’enorme testa. Non potrei mai sollevare tutto quel peso, men che meno volare trasportandolo.
Peccato. Eragon s’inginocchiò e raccolse una pietra con un incavo abbastanza grande da contenere qualche sorso d’acqua. Compresse una manciata di terra nell’incavo e lo studiò, pensoso.Ecco che veniva il difficile. In qualche modo doveva trasformare la terra in acqua. Ma quali parole devo usare? Riflette per qualche istante, poi ne scelse due, con la speranza che funzionassero. La magia del ghiaccio gli riverberò in tutto il corpo mentre infrangeva la familiare barriera e ordinava: «Deloi moi!»
La terra cominciò all’istante ad assorbire la sua energia a un ritmo vertiginoso. La mente di Eragon tornò agli ammonimenti di Brom: c’erano imprese che gli avrebbero consumato tutta l’energia fino a portarlo alla morte. Si sentì afferrare lo stomaco dalla morsa del panico. Cercò di annullare la magia, ma non ci riuscì. Era legata a lui finché non avesse portato a termine il compito o non fosse morto. Non potè far altro che restare immobile, diventando sempre più debole, di minuto in minuto. Proprio mentre era ormai convinto che sarebbe morto lì inginocchiato, il terriccio tremolò e si trasformò in una quantità d’acqua tanto piccola da entrare in un ditale. Sollevato, Eragon si sedette, respirando a fatica. Il cuore gli batteva furioso, e aveva le viscere dilaniate dalla fame.
Che cosa è successo? gli chiese Saphira.
Eragon scosse il capo, ancora sconvolto per la rapida e violenta diminuzione delle forze. Era lieto di non aver provato a trasformare qualcosa di più grande. Questo... questo non funziona, disse. Non sono riuscito nemmeno a procurarmi da bere.
Dovresti essere più cauto, lo rimproverò Saphira. La magìa può produrre risultati inattesi quando si combinano le antiche parole in nuovi modi.
Lui la fulminò con un’occhiata. Lo so, ma era l’unico modo per mettere alla prova la mia idea. Non volevo aspettare di scoprirlo quando eravamo già nel deserto! Ma poi si rese conto che lei voleva soltanto aiutarlo. Come hai fatto a trasformare la tomba di Brom in diamante senza restare uccisa?
Io ho rischiato dì morire solo per aver trasformato un mucchietto di terra.
Non so come ho fatto, replicò lei, serafica. È successo e basta.
Potresti farlo di nuovo, questa volta con l’acqua?
Eragon, disse lei guardandolo dritto negli occhi. Io non ho più controllo sui miei poteri di quanto ne abbia un ragno. Cose come quella succedono che io lo voglia o meno. Brom ti ha detto che succedono cose strane intorno ai draghi. Ha detto la verità. Ma non ti ha dato spiegazioni, e nemmeno io le possiedo. A volte posso provocare dei cambiamenti d’istinto, senza quasi pensarci.
Ma quasi sempre, come adesso, sono impotente come Fiammabianca.
Tu non sei mai impotente, disse lui con dolcezza, accarezzandole il collo,.Per lunghi minuti rimasero in silenzio. Eragon ricordò la tomba che aveva fatto, e Brom che vi giaceva. Poteva ancora vedere l’arenaria che si richiudeva sul volto del vecchio. «Almeno gli abbiamo dato una degna sepoltura» mormorò.
Prese a giocherellare distrattamente con le dita nella terra, disegnando dei solchi. Due solchi formavano una valle in miniatura, e così aggiunse delle montagne intorno. Con l’unghia grattò un fiume che scorreva nella valle, e poi scavò ancora perché non gli parve abbastanza profondo. Aggiunse qualche altro dettaglio finché non si ritrovò a contemplare una discreta riproduzione della Valle Palancar. Un nodo di nostalgia gli si formò in gola, e cancellò la valle con un gesto.