«Già» disse una donna. «se vogliamo definire piccoli i Varden.»
Il grassone sospirò. «Vi abbiamo già spiegato che i Varden non hanno alcun interesse ad aiutarvi. È soltanto una falsa speranza, alimentata dai traditori nel tentativo di minare l’Impero e convincerci che la vera minaccia si trova all’interno, e non all’esterno dei nostri confini. Il loro scopo è solo quello di detronizzare il re e impossessarsi delle nostre terre. Hanno spie dappertutto e si preparano a invaderci. Non si può mai sapere chi è al loro servizio.»
Eragon.non era d’accordo, ma le parole del mercante erano insinuanti, e qualcuno annuì. Si fece avanti e disse: «Come fate a sapere queste, cose? Io potrei dire che le nuvole sono verdi, ma questo non vuoi dire che sia vero. Dateci una prova che non state mentendo.» I due uomini lo guardarono minacciosi, mentre gli abitanti del villaggio aspettavano una risposta, in silenzio.
Il mercante magro parlò per primo, evitando lo sguardo di Eragon. «Non insegnate forse il rispetto ai vostri figli? O lasciate che i ragazzi s’intromettano nelle questioni dei grandi quando vogliono?»
I presenti esitarono, scrutando Eragon. Poi un uomo disse: «Rispondete alla domanda.»
«Si tratta solo di buonsenso» disse il grassone, il labbro superiore imperlato di sudore. La sua risposta irritò la platea, e la discussione riprese.
Eragon tornò al bancone con l’amaro in bocca. Non aveva mai conosciuto nessuno che amasse l’Impero e disprezzasse i suoi nemici. Carvahall covava un odio profondo per l’Impero, un odio che si tramandava di generazione in generazione. L’Impero non aveva alzato un dito per aiutarli durante i terribili anni di carestia, e i suoi esattori delle tasse erano spietati. Si sentiva giustificato a dissentire dai mercanti sulla magnanimità del re, ma non sapeva che cosa pensare dei Varden. I Varden erano un gruppo di ribelli che attaccavano e razziavano l’Impero di continuo, Era un mistero chi li guidasse o chi li avesse riuniti negli anni seguiti all’ascesa al trono di Galbatorix, più di un secolo prima. Il gruppo si era conquistato sempre più simpatie via via che eludeva gli sforzi di Galbatorix per distruggerlo. Poco si sapeva dei Varden: ma se eri un fuggiasco e dovevi nasconderti, o se odiavi l’Impero, ti avrebbero accolto a braccia aperte. L’unico problema era trovarli.
Morn si sporse sul bancone e disse: «Incredibile, vero? Sono peggio degli avvoltoi che volano intorno a un animale moribondo. Se restano ancora un po’, prevedo guai.»
«Per noi o per loro?»
«Per loro» disse Morn, mentre voci concitate si levavano dai tavoli, Eragon se ne andò quando la discussione minacciava di degenerare. La porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo, smorzando le grida. Il sole si stava tuffando dietro l’orizzonte; le case stampavano lunghe ombre sul terreno. Mentre camminava per la via principale, Eragon scorse Roran e Katrina in un vicolo.
Roran disse qualcosa che Eragon non riuscì a sentire, Katrina abbassò lo sguardo e rispose in un sussurro, poi si alzò in punta di piedi e lo baciò, prima di allontanarsi in tutta fretta, Eragon si avvicinò a Roran e lo canzonò: «Hai passato un bel pomeriggio?» Roran borbottò vago e s’incamminò.
«Hai sentito cosa dicono gli erranti?» gli domandò Eragon, seguendolo. La maggior parte degli abitanti del villaggio era in casa, a trattare con i mercanti o ad aspettare la sera per l’esibizione dei trovatori.
«Sì.» Roran pareva distratto. «Cosa ne pensi di Sloan?»
«Credevo che fosse evidente.»
«Si scatenerà un pandemonio quando saprà di me e Katrina» disse Roran. Un fiocco di neve atterrò sul naso di Eragon, che alzò lo sguardo. Il cielo era diventato grigio. Non gli venne in. mente niente da dire. Roran aveva ragione. Gli posò una mano sulla spalla e continuò a camminare con lui lungo la stradina.
La cena a casa di Horst fu molto piacevole. Tutti conversarono e risero amabilmente; liquori dolci e birra forte, bevuti in dosi massicce, contribuirono a riscaldare l’atmosfera. Svuotati i piatti, gli ospiti di Horst uscirono, diretti all’accampamento degli erranti. Un anello di pali conficcati nel terreno, sormontati da candele, delimitava un ampio cerchio. I falò ardevano tutt’intorno, creando ombre danzanti. Gli abitanti del villaggio si radunarono nello spiazzo e attesero al freddo.
I trovatori uscirono schiamazzando dalle loro tende, nei loro vestiti ricchi di nappe, seguiti da menestrelli più anziani, vestiti in modo più sobrio. I menestrelli suonarono e raccontarono le storie, mentre i giovani recitavano nei ruoli diversi. Le prime rappresentazioni furono puro spettacolo: licenziose, umoristiche, una serie di scenette ridicole e personaggi grotteschi. Ma quando le candele cominciarono a sfrigolare e tutti si strinsero in un cerchio più piccolo, si fece avanti Brom, il vecchio cantastorie. Una folta barba bianca gli copriva il torace, e sulle spalle curve portava un mantello che gli nascondeva il corpo. Allargò le braccia, le mani tese come artigli, e così recitò:
«Le sabbie del tempo non si fermano. Gli anni passano, volenti o nolenti... ma noi possiamo ricordare. Quel che è perduto rivive nelle nostre memorie. Ciò che ascolterete sarà imperfetto e lacunoso, ma serbatelo come un tesoro, poiché senza di voi non esisterebbe. Vi narrerò una storia a lungo dimenticata, celata nella nebbia incantata dei tempi.»
I suoi occhi penetranti scrutarono i volti attenti; per qualche istante si soffermarono su Eragon.
«Prima della nascita dei padri dei vostri nonni, e sì, prima ancora dei loro padri, sorsero i Cavalieri dei Draghi. Per migliaia di anni svolsero con successo la nobile missione di proteggere e difendere il popolo. La loro abilità in battaglia era ineguagliabile, poiché ciascuno possedeva la forza di dieci uomini. Erano immortali, pur essendo vulnerabili alla spada o al veleno. Usavano i loro poteri solo a fin di bene, e sotto la loro tutela vennero costruite grandi città e innalzate torri di roccia viva. Grazie alla pace che essi mantenevano, la terra prosperava. Fu un’epoca d’oro. Gli elfi erano nostri alleati, i nani nostri amici. Le città traboccavano di opulenza, e gli uomini godevano di grande prosperità. Ma piangete, amici... poiché tutto questo era destinato a non durare.»
Brom abbassò lo sguardo e la sua voce s’incrinò, velata da una grande tristezza.
«Sebbene nessun nemico potesse distruggerli, non seppero guardarsi da se stessi. E venne il giorno in cui, al culmine della loro potenza, nacque un maschio di nome Galbatorix nella provincia di Inzilbèth, che non esiste più.. All’età di dieci anni venne messo alla prova, com’era usanza, e si scoprì che possedeva un grande potere. I Cavalieri lo accolsero come uno di loro.
«Lo istruirono e lo addestrarono, e il giovane si dimostrò superiore a tutti gli altri allievi. Di mente acuta e fisico gagliardo, in breve tempo conquistò il suo posto fra i ranghi dei Cavalieri. Qualcuno considerò pericolosa quella sua rapida ascesa e ammonì gli altri, ma i Cavalieri ignorarono la cautela, poiché il potere li aveva resi arroganti. Ahimè, quel giorno fu concepita la sventura.
«Poco dopo aver completato l’addestramento. Galbatorix intraprese un viaggio insieme a due amici. Volarono a nord, notte e giorno, ed entrarono nel territorio degli Urgali, pensando, stolti, che i loro nuovi poteri li avrebbero protetti. Su una spessa coltre di ghiaccio, che nemmeno il sole d’estate aveva sciolto, furono colti nel sonno da un’imboscata. I suoi amici e i loro draghi vennero massacrati, e anche Galbatorix subì gravi ferite, ma riuscì lo stesso a uccidere i suoi aggressori. Purtroppo, durante la battaglia, una freccia vagante colpì il cuore del suo drago. Egli non conosceva le arti per salvarla, e la povera creatura spirò fra le sue braccia, Ecco come venne piantato il seme della follia.»