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Non voglio parlarne, borbottò arrabbiato, anticipando le domande di Saphira. Incrociò le braccia, lo sguardo furente fisso a terra. Controvoglia, con la coda dell’occhio tornò a guardare dove aveva scavato la terra. Raddrizzò la schiena di colpo, sorpreso. Sebbene il terreno fosse asciutto, il solco che aveva tracciato era ricoperto di umidità. Incuriosito, scavò altra terra e trovò uno strato umido a pochi pollici dalla superficie. «Guarda!» esclamò, eccitato.

Saphira abbassò il muso per osservare la sua scoperta. E questo ci aiuta? L’acqua nel deserto sarà a una tale profondità che dovremo scavare per settimane prima di trovarla.

Già, disse Eragon con passione, ma l’importante è che ci sia. Guarda! Scavò ancora, poi evocò la magia. Invece di trasformare la terra in acqua, si limitò a chiamare a raccolta l’umidità già presente nel suolo. Con un debole mormorio, l’acqua si riversò nel buco. Eragon sorrise e ne bevve un sorso dalle mani chiuse a coppa. Il liquido era fresco e puro, perfetto da bere. Capisci? Possiamo averne quanta ne vogliamo.

Saphira annusò la pozza d’acqua. Qui sì. Ma nel deserto? Può darsi che non ce ne sia abbastanza da farla affiorare.

Funzionerà, la rassicurò lui. Mi basta chiamare l’acqua, un compito non troppo diffìcile. Purché lo faccia piano, le mie forze reggeranno. Anche se dovessi attirare l’acqua da cinquanta passi dì profondità, non sarà un problema. Ci sarai tu ad aiutarmi.

Saphira lo guardò dubbiosa. Sei sicuro? Pensaci bene, perché se ti sbagli, ci costerà la vita.

Eragon esitò, poi dichiarò risoluto: Sono sicuro.

Allora dillo a Murtagh. Resterò io di guardia mentre voi dormite.

Ma anche tu sei rimasta sveglia tutta la notte come noi, protestò il ragazzo. Dovresti riposare.

Starò bene... sono più forte di quanto pensi, disse lei. Le sue squame crepitarono quando si rannicchiò, lo sguardo vigile rivolto a nord, verso i loro inseguitori. Eragon l’abbracciò, e lei rispose con un mormorio profondo che le fece vibrare i fianchi. Vai.

Lui indugiò ancora qualche istante, poi tornò da Murtagh, che gli chiese: «Allora? Si va a fare questa gita nel deserto?»

«Sì» rispose Eragon. Si abbandonò sulle coperte e gli spiegò quello che aveva scoperto. Quando ebbe finito, si voltò verso l’elfa. Il suo viso fu l’ultima cosa che vide prima di addormentarsi.

44

Il fiume Ramr

Si alzarono a malincuore prima dell’alba, sotto un cielo ancora grigio, Eragon rabbrividì nell’aria fredda. «Come facciamo a trasportare l’elfa? Non può continuare a cavalcare Saphira, perché alla lunga le verrebbero le piaghe, per via delle squame, Saphira non può reggerla fra le zampe: si stanca troppo e rende difficile l’atterraggio. Una slitta non va bene: finirebbe in pezzi a furia di sbatacchiare dietro i cavalli, e poi il peso di un’altra persona li rallenterebbe.»

Murtagh riflette mentre sellava Tornac. «Se montassi tu Saphira, potremmo legare l’elfa su Fiammabianca.. ma ci sarebbe lo stesso il problema delle piaghe.»

Ho la soluzione, intervenne Saphira. Perché non mi legate l’elfa alla pancia? Così potrò muovermi liberamente, e lei sarà più al sicuro che in qualunque altro posto. L’unico pericolo è se i soldati mi scagliano contro le frecce, ma posso prendere quota facilmente per evitarle.

A nessuno dei due venne un’idea migliore: perciò si affrettarono a mettere in atto quella della dragonessa. Eragon piegò a metà una coperta per la lunghezza, la legò intorno all’esile corpo dell’elfa e poi la portò da Saphira. Altre coperte e abiti di ricambio vennero sacrificati per fabbricare funi abbastanza lunghe da circondare tutto il corpo di Saphira. Con quelle funi, l’elfa venne legata di schiena al ventre della dragonessa, con la testa sorretta dalle zampe davanti di Saphira. Eragon gettò un’occhiata critica al lavoro. «Temo che a furia di strofinarvi contro, le squame spezzeranno le funi.»

«Allora di tanto in tanto le controlleremo» commentò Murtagh.

Possiamo andare, adesso? disse Saphira, ed Eragon ripeté ad alta voce la domanda.

Gli occhi di Murtagh s’illuminarono di una luce maliziosa, e un sorriso pericoloso gli affiorò sulle labbra. Scoccò un’occhiata nella direzione da cui erano venuti, dove si vedeva chiaramente il fumo dei soldati accampati, e disse: «Mi sono sempre piaciute le gare.»

«E in questa è in palio la nostra stessa vita!»

Murtagh montò in sella a Tornac e si avviò. Eragon lo seguì in groppa a Fiammabianca. Saphira prese il volo con l’elfa, tenendosi bassa per evitare di farsi scorgere dai soldati. Così schierati, i tre puntarono a sud-est, verso il remoto Deserto di Hadarac.

Eragon continuava a gettarsi occhiate alle spalle, per paura degli inseguitori. La sua mente correva spesso all’elfa. Un’elfa! Non solo ne aveva vista una, ma lei era con loro! Si chiese che cosa ne avrebbe pensato Roran. Gli venne in mente che se mai fosse tornato a Carvahall, avrebbe avuto il suo daffare per convincere chiunque che le sue avventure erano successe davvero.

Per il resto della giornata, Eragon e Murtagh galopparono a rotta di collo, ignorando il disagio e la fatica. Spronarono i cavalli quanto potevano senza arrivare a ucciderli. A volte smontavano e facevano un tratto a piedi, per dare modo a Tornac e Fiammabianca di riposare. Si fermarono soltanto due volte, per far mangiare e bere gli animali.

Anche se i soldati di Gil’ead erano lontani, Eragon e Murtagh si trovarono costretti a evitare nuove truppe ogni volta che superavano una città o un villaggio. In qualche modo l’allarme era stato diffuso in tutto il territorio. Per ben due volte rischiarono di cadere in un agguato lungo la pista e riuscirono a cavarsela solo perché Saphira aveva fiutato i soldati appostati. Dopo il secondo incidente, decisero di abbandonare la pista tracciata.

La luce del crepuscolo ammorbidì i contorni del paesaggio, mentre la sera avanzava nel cielo col suo nero mantello. Viaggiarono per tutta la notte, guadagnando miglio dopo miglio senza un attimo di tregua. A notte fonda, il terreno prese a incresparsi per formare una serie di basse colline punteggiate di cactus.

Murtagh indicò in lontananza. «A qualche miglio di distanza c’è una città. Taurida, che dobbiamo aggirare. Sono sicuro che i soldati ci aspettano anche lì. Dovremmo cercare di passare ora che è buio.»

Dopo tre ore avvistarono le luci gialle di Taurida. La città era circondata dai fuochi di bivacco dei soldati.di sorveglianza. Eragon e Murtagh avvolsero i foderi delle spade in un paio di stracci per attutirne il rumore e smontarono di sella con cautela. Condussero i cavalli a mano per un lungo e tortuoso percorso intorno a Taurida, le orecchie tese a cogliere il minimo rumore che potesse tradire la presenza di soldati.

Quando si furono lasciati, la città alle spalle, Eragon si tranquillizzò un poco. L’alba era vicina, finalmente: il cielo assumeva una tinta rosata e il freddo non era più cosi intenso. Si fermarono in cima a una collina per scrutare i dintorni. Il fiume Ramr era alla loro sinistra, ma anche cinque miglia alla loro destra. Proseguiva verso sud per parecchie leghe, poi curvava su se stesso formando una stretta ansa prima di scorrere di nuovo verso ovest. Avevano percorso oltre sedici leghe in un giorno solo.

Eragon si abbandonò sul collo di Fiammabianca, soddisfatto dei progressi. «Troviamo una gola o una forra dove poter dormire tranquilli» propose. Si fermarono vicino a un boschetto di ginepri e distesero le coperte sotto gli alberi. Saphira attese paziente che slegassero l’elfa dalla sua pancia.