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Quelle che avevano scambiato per colline erano le pendici più basse di gigantesche montagne, vaste miglia e miglia. Tranne che per le fitte foreste che ne coprivano la base, le montagne erano interamente coperte di neve e ghiaccio. Era stato questo a far credere a Eragon che il cielo fosse bianco. Cercò di scorgerne i picchi, ma non erano visibili. Le montagne si stagliavano verso il cielo fino a scomparire alla vista. Valli strette e frastagliate, con le pareti che quasi si sfioravano, fendevano i loro fianchi come profonde ferite. Sembrava di essere davanti a una muraglia scabra e dentellata che collegava Alagasëia ai cieli.

Non hanno fine! pensò, stupefatto. Le storie che parlavano dei Monti Beor esaltavano sempre le loro dimensioni, ma lui aveva pensato che si trattasse di esagerazioni allo scopo di impreziosire i racconti. Ora, tuttavia, era costretto a riconoscerne l’autenticità. Saphira avvertì il suo stupore e seguì il suo sguardo. Non le ci vollero che pochi secondi per riconoscere le montagne per quello che erano. Mi sento di nuovo un cucciolo, qui. In confronto a loro, perfino io sono minuscola!

Dobbiamo essere vicini ai margini del deserto, disse Eragon. Ci sono voluti solo due giorni e già vediamo dall’altra parte!

Saphira volò in cerchio sopra le dune. Già, ma considerando la mole di quelle vette, potrebbero essere distanti ancora una cinquantina di leghe. È difficile calcolare le distanze davanti a qualcosa di così immenso. Non credi anche tu che sarebbero un nascondiglio perfetto per gli elfì o i Varden?

Ci si potrebbe nascondere ben altro che gli elfì o i Varden, sentenziò Eragon. Intere nazioni potrebbero esistere in segreto lassù, nascoste all’Impero. Immagina di vivere con quei colossi che incombono su di te! Fece avvicinare Fiammabianca a Murtagh e indicò in lontananza, con un sogghigno.

«Cosa?» grugnì Murtagh, scrutando il territorio.

«Guarda meglio» lo esortò Eragon.

Murtagh osservò con attenzione l’orizzonte. Scrollò le spalle. «Cosa? Io non...» Le parole gli morirono sulle labbra, e la mascella minacciò di staccarglisi per lo stupore. Scosse la testa, mormorando: «È impossibile!» Strinse tanto gli occhi da ridurli a fessure. «Sapevo che i Monti Beor erano grandi, ma non mi aspettavo questi mostri!»

«Speriamo che gli animali che li abitano non siano proporzionati alle montagne» scherzò Eragon. Murtagh sorrise. «Perché non ci troviamo un bel posticino comodo e ci prendiamo qualche settimana di vacanza? Ne ho abbastanza di questa marcia forzata.»

«Anch’io non ce la faccio più» ammise Eragon. «ma non voglio fermarmi finché l’elfa non si riprende... o muore.»

«Non vedo come continuare il viaggio possa aiutarla» disse Murtagh, pensieroso. «Un buon letto le farà meglio che restarsene appesa tutto il giorno alla pancia di Saphira.»

Eragon si strinse nelle spalle. «Può darsi... Quando raggiungiamo le montagne, potrei portarla nel Surda: non è lontano. Lì troveremo sicuramente un guaritore che possa curarla; noi non possiamo.»

Murtagh si schermò gli occhi con la mano e guardò le montagne. «Ne riparleremo in seguito. Per adesso il nostro obiettivo è raggiungere i Beor. Lì, se non altro, i Ra’zac avranno non pochi problemi a scovarci, e saremo al sicuro dall’Impero.»

Le ore passavano, ma i Monti Beor non sembravano avvicinarsi, anche se il paesaggio mostrava drastici cambiamenti. La sabbia si trasformò lentamente da una distesa di granelli rossicci a un terreno compatto, color crema. Al posto delle dune c’erano macchie irregolari di vegetazione e profondi solchi lasciati dalle alluvioni. Accolsero con sollievo una brezza fresca che dissipò il caldo torrido. I cavalli sentirono il cambiamento di clima e si lanciarono al galoppo.

Quando la sera oscurò il sole, le colline ai piedi dei monti erano a solo un miglio di distanza. Branchi di gazzèlle saltellavano fra prati folti d’erba alta. Eragon colse Saphira che le adocchiava famelica. Si accamparono vicino a un corso d’acqua, lieti di essere usciti dalle grinfie del Deserto di Hadarac.

46

Il percorso svelato

Sfiniti e smunti, ma pronti ad aprirsi in grandi sorrisi di trionfo, si sedettero intorno al fuoco congratulandosi a vicenda. Saphira ruggì di gioia, spaventando i cavalli. Eragon fissava le fiamme. Era orgoglioso di aver coperto sessanta leghe in cinque giorni. Era un’impresa notevole, perfino per un cavaliere in grado di cambiare cavalcatura regolarmente.

Sono fuori dall’Impero. Era un pensiero strano. Era nato nell’Impero, era sempre vissuto sotto il regno di Galbatorix, aveva perso la famiglia e i suoi migliori amici per colpa dei suoi servi, ed era stato più volte sul punto di morire nel suo dominio. Adesso era libero. Lui e Saphira non sarebbero più stati costretti a seminare soldati, evitare le città o nascondere la loro identità. Era una constatazione dal sapore agrodolce, perché gli costava la perdita del suo mondo.

Alzò gli occhi alle stelle che luccicavano nel firmamento. E anche se il pensiero di costruirsi una casa nella sicurezza dell’isolamento lo attirava, era stato testimone di troppe atrocità commesse in nome di Galbatorix, dall’omicidio alla schiavitù, per volgere le spalle all’Impero. Non era più soltanto una questione di vendetta per la morte di Garrow e di Brom: da Cavaliere, era suo dovere difendere coloro che non avevano la forza di resistere alla tirannia di Galbatorix.

Con un sospiro abbandonò le sue meditazioni e guardò l’elfa distesa accanto a Saphira. La luce arancione del falò dava al suo volto una calda morbidezza. Piccole ombre le danzavano sotto gli zigomi. Piano piano nella sua mente andò formandosi un’idea.

Eragon poteva sentire i pensieri delle persone e degli animali - e comunicare con loro in quella maniera, se voleva - ma era una cosa che aveva fatto di rado, tranne che con Saphira. Ricordava sempre rammonimento di Brom: non violare la mente di una persona se non è assolutamente necessario. Salvo quell’unica volta in cui aveva tentato di sondare la coscienza di Murtagh, Eragon si era trattenuto dal farlo.

Ora, tuttavia, cominciava a chiedersi se fosse possibile parlare all’elfa immersa in quel sonno indefinito. Potrei riuscire a capire dai suoi ricordi perché rimane così remota. Ma se poi si riprende, mi perdonerà per questa intrusione? Comunque finisca, devo tentare. È in queste condizioni da quasi una settimana. Senza parlare delle sue intenzioni né con Murtagh né con Saphira, s’inginocchiò al fianco dell’elfa e le posò il palmo sulla fronte.

Eragon chiuse gli occhi ed estese un filamento di pensiero, come per saggiare il terreno, verso la mente dell’elfa. La trovò senza difficoltà. Non era confusa o piena di dolore cóme si era aspettato, ma lucida e cristallina, come una nota emessa da una campana di vetro. All’improvviso un pugnale di ghiaccio gli trapassò il cervello. Un dolore lancinante gli esplose dietro gli occhi, schizzando spruzzi di colore. Provò a sottrarsi all’attacco, ma si ritrovò prigioniero in una morsa di ferro.. Eragon lottò come un disperato, facendo ricorso a ogni difesa che riusciva a immaginare. Il pugnale lo colpì di nuovo. Allora innalzò freneticamente le proprie barriere per attutire l’impatto. Il dolore fu meno lacerante della prima volta, ma gli fece perdere la concentrazione. L’elfa ne approfittò per schiacciare le sue difese.

Una coltre soffocante lo avvolse, spegnendogli i pensieri. La forza soverchiante lentamente si contrasse, spremendo da lui la vita goccia a goccia, anche se tentava di resistere, perché non voleva arrendersi.