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L’elfa strinse la morsa ancora più forte, per estinguerlo come una candela. Disperato, Eragon gridò nell’antica lingua: «Eka ai fricai un Shur’tugal!» “Sono un Cavaliere e un amico!” L’abbraccio mortale non si allentò, ma la stretta si fermò e da lei emanò sorpresa.

Un secondo dopo seguì il sospetto, ma Eragon sapeva che lei gli avrebbe creduto: non poteva mentire nell’antica lingua. Tuttavia, per quanto avesse detto di essere un amico, questo non significava che non volesse farle del male. Per quanto ne sapeva lei, Eragon si riteneva un amico, e ciò rendeva vera l’affermazione dal suo punto di vista, ma lei poteva non considerarlo tale. L’antica lingua ha i suoi limiti, pensò Eragon, sperando che l’elfa fosse abbastanza curiosa da correre il rischio di lasciarlo libero.

Lo fu. La pressione si allentò, e le barriere intorno alla mente di lei si abbassarono esitanti. L’elfa permise che i loro pensieri si toccassero con circospezione, come due animali selvaggi quando s’incontrano per la prima volta. Un brivido freddo corse lungo la spina dorsale di Eragon. La mente di lei era remota. Era vasta e potente, carica di ricordi di innumerevoli anni. Pensieri oscuri aleggiavano lontani dalla vista e dal contatto; manufatti della sua razza lo fecero rabbrividire quando gli sfiorarono la coscienza: Eppure attraverso tutte le sensazioni scintillava una melodia di selvaggia, ipnotica bellezza, che incarnava la sua identità,

Come ti chiami? gli domandò lei, nell’antica lingua. La sua voce era stanca, incrinata da una quieta disperazione,

Eragon, E tu? La coscienza di lei lo attirò più vicino, invitandolo a immergersi nelle correnti dei suo sangue. Lui si oppose al richiamo con difficoltà, anche se il suo cuore anelava ad accoglierlo. Per la prima volta comprese la malìa degli elfi. Erano creature magiche, libere dalle leggi mortali della terra, diverse dagli esseri umani come i draghi lo erano dagli animali.

... Arya. Perché mi hai chiamata in questo modo? Sono ancora prigioniera dell’Impero?

No, sei libera! disse Eragon. Anche se conosceva poche parole dell’antica lingua, riuscì a formulare il messaggio: Anch’io ero prigioniero a Gil’ead, ma sono fuggito e, ti ho salvata. Da allora sono passati cinque giorni; abbiamo attraversato la regione più stretta del Deserto di Hadarac e ora siamo accampati ai piedi dei Monti Beor, io, il mio amico e la dragonessa Saphira. Per tutto questo tempo tu non ti sei mossa né hai detto una parola.

Ah... e così era Gil’ead. Fece una pausa. So che le mie ferite sono state sanate, ma non capivo perché... per prepararmi a qualche nuovo tipo di tortura, pensavo. Ora capisco che sei stato tu. In tono più dolce aggiunse: Malgrado questo, non mi sono risvegliata, e tu sei perplesso.

Sì.

Durante la prigionia mi hanno dato un raro veleno, lo Skilna Bragh, insieme a una, droga per sopprimere i miei poteri. Ogni mattina mi davano l’antidoto per quel veleno: per forza, se mi rifiutavo. Senza di esso sarei morta nel giro di poche ore. Ecco perché sono in trance... rallenta l’effetto dello Skilna Bragh, anche se non può fermarlo,.. Ho pensato di svegliarmi per porre fine alla mia esistenza e negare a Galbatorix la soddisfazione di, tenermi prigioniera, ma mi sono trattenuta, nella speranza che tu fossi un alleato... La sua voce si spense in un soffio.

Quanto a lungo puoi rimanere in questo stato? chiese Eragon.

Per settimane, ma temo che non mi resti più molto tempo. Questo sonno non può bloccare la morte per sempre. La sento già nelle mie vene. Se non ricevo presto l’antidoto, mi arrenderò al veleno in tre, quattro giorni

Dove si trova l’antidoto?

Esiste soltanto in due luoghi al di fuori dell’Impero: tra la mia gente e dai Varden. Purtroppo la mia casa è ben più lontana di un volo di drago.

E i Varden? Avremmo voluto portarti da loro, ma non sappiamo dove sono.

Te lo dirò... semi dai la tua parola che non rivelerai mai dove si trovano a Galbatorix o a chiunque lo serva, E dovrai giurarmi che non mi hai ingannata in alcun modo e che non hai intenzione di fare del male.agli elfì, ai nani, ai Varden o alla razza dei draghi.

Quello che chiedeva Arya era abbastanza semplice, se non avessero conversato nell’antica lingua. Eragon sapeva che lei pretendeva un giuramento più vincolante della vita stessa. Una volta fatto, non avrebbe mai potuto essere infranto. Ne sentì il peso mentre impegnava solennemente la sua parola.

Giuro di... Una serie di immagini vertiginose gli balenò nella mente all’improvviso. Si ritrovò a cavalcare lungo la catena dei Beor, viaggiando per molte leghe verso oriente. Fece del suo meglio per ricordare il percorso, mentre monti aguzzi e colline gli passavano accanto di corsa. Ecco che puntava a sud, seguendo ancora le montagne. Poi tutto vorticò bruscamente, e il ragazzo entrò in una valle stretta e tortuosa che serpeggiava attraverso le montagne, alla base di una cascata spumeggiante che si riversava in un profondo lago.

L’immagine si fermò. È lontano, disse Arya, ma non farti scoraggiare dalla distanza. Quando arriverai al Lago Kóstha-mérna, alla fine del fiume Zannadorso, raccogli una pietra, battila contro la rupe vicino alla cascata e grida: Ai varden abr du Shur’tugals gata vanta. Verrai ammesso.

Probabilmente ti sfideranno, ma non vacillare, per quanto possa sembrarti pericoloso.

Che cosa dovrebbero darti contro il veleno? chiese lui.

Le tremò la voce, ma poi riprese le forze. Di’ loro... di darmi il Nettare di Tùnivor. Adesso devi lasciarmi... ho consumato già troppe energie. Non provare più a parlarmi, a meno che tu non ce la faccia a raggiungere i Varden. In quel caso, c’è un’informazione che dovrò darti perché i Varden sopravvivano. Addio, Eragon. Cavaliere dei Draghi... la mia vita è nelle tue mani.

Arya si ritrasse dal contatto. Le melodie ultraterrene che erano echeggiate durante rincontro svanirono. Eragon rabbrividì e si costrinse ad aprire gli occhi. Murtagh e Saphira erano al suo fianco e lo osservavano preoccupati. «Stai bene?» gli chiese Murtagh. «Sei rimasto li immobile per quasi un quarto d’ora.»

«Davvero?» disse Eragon, battendo le palpebre.

Sì, e avevi l’espressione di un gargoyle col mal di stomaco, commentò Saphira, asciutta. Eragon si alzò, massaggiandosi le ginocchia indolenzite. «Ho parlato con Arya!» Murtagh inarcò un sopracciglio, come se si stesse chiedendo se era uscito di senno. «L’elfa» spiegò Eragon. «Si chiama così.»

E che cosa può guarirla? domandò Saphira, impaziente.

Eragon raccontò loro tutta la conversazione. «Quanto sono lontani i Varden?» chiese Murtagh.

«Non ne sono sicuro» confessò Eragon. «Da quello che mi ha mostrato, il loro rifugio è più lontano che da qui a Gil’ead.»

«E dovremmo riuscire a farcela in tre o quattro giorni?» esclamò Murtagh, infuriato. «Ma se ci abbiamo messo cinque lunghissimi giorni per arrivare qui! Che intenzioni hai? Di uccidere i cavalli? Sono stremati.».

«Ma se non facciamo niente, lei morirà! Se è troppo per i cavalli, Saphira potrà volare avanti con me e Ayra; almeno arriveremo dai Varden in tempo. Tu potrai raggiungerci con calma.»

Murtagh sbuffò e incrociò le braccia. «Ovvio. Murtagh, la bestia da soma. Murtagh, lo scudiero. Avrei dovuto ricordare che di questi tempi non servo ad altro. Oh, e non dimentichiamoci che ogni soldato dell’Impero mi sta cercando perché, guarda caso, tu non sei stato capace di difenderti e sono dovuto venire io a salvarti. Già, suppongo che seguirò le tue istruzioni e porterò i cavalli, da bravo servo.»