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Salirono fino alle nubi: l’aria era satura di umidità gelata. Un’informe coltre grigia li avvolse, limitando la visione a un braccio di distanza, Eragon sperò che non andassero a urtare da qualche parte, in quella massa nebulosa. Provò a tendere una mano e la tese nell’aria. L’acqua si condensò e gli colò lungo il braccio, inzuppandogli la manica.

Una sagoma grigia gli passò accanto alla testa, e lui scorse una colomba, le ali che si agitavano frenetiche. Aveva una fascia bianca intorno a una zampa, Saphira puntò verso il pennuto, la lingua penzoloni, le fauci spalancate. La colomba stridette mentre i denti affilati di Saphira si richiudevano con uno schiocco a un soffio dalle sue penne. La colomba schizzò via e scomparve nella nebbia, il frenetico battito d’ali che calava, via via inghiottito dal silenzio.

Quando emersero dalla sommità delle nuvole, Saphira era coperta da migliaia di goccioline iridescenti, che scintillavano insieme all’azzurro delle sue squame, Eragon si scrollò, spruzzando acqua dai vestiti, e rabbrividì. Non riusciva più a vedere il suolo, soltanto colline di nuvole che serpeggiavano fra le montagne.

Gli alberi avevano lasciato il posto a vasti ghiacciai, azzurri e bianchi sotto il sole. Il riverbero della neve costrinse Eragon a chiudere gli occhi. Provò ad aprirli dopo un minuto, ma la luce lo accecò. Irritato, abbassò lo sguardo. Come fai a sopportarlo? chiese a Saphira.

I miei occhi sono più resistenti dei tuoi, rispose lei.

Faceva freddissimo. L’acqua sui capelli di Eragon gelò, trasformandosi in una sorta di elmo lucente. La camicia e i pantaloni erano gusci durissimi contro la sua pelle. Le squame di Saphira erano scivolose di ghiaccio; merletti di brina le orlavano le ali. Non avevano mai volato così in alto prima, eppure le cime delle montagne erano ancora miglia sopra di loro.

Il ritmo con cui Saphira batteva le ali rallentò piano, e il suo respiro divenne difficoltoso. Eragon ansimava e boccheggiava; gli sembrava che non ci fosse abbastanza aria.

Lottando contro il panico, si aggrappò alle punte del collo di Saphira per sostenersi.

Dobbiamo... scendere, disse. Davanti agli occhi gli danzavano miriadi di puntini rossi. Non riesco a... respirare. Saphira parve non udirlo, e così ripete il messaggio, più forte, questa volta. Ancora nessuna risposta. Non mi può sentire, comprese. Annaspò, sforzandosi di pensare, poi le batte sul fianco e gridò: «Portaci giù!»

Lo sforzo gli fece girare la testa. La vista gli si annebbiò e cadde in un vortice di tenebra. Riprese i sensi mentre uscivano dal fondo dello strato di nubi. La testa gli martellava. Che cosa è successo? domandò, drizzando la schiena e guardandosi intorno.

Sei svenuto, rispose Saphira.

Eragon fece per passarsi una mano fra i capelli, ma si bloccò quando sentì i ghiaccioli. Sì, lo so, ma perché non mi hai risposto?

Avevo la mente confusa. Le tue parole non avevano senso. Quando hai perso conoscenza, ho capito che c’era qualcosa che non andava e sono scesa. Non ho dovuto abbassarmi molto prima di capire che cos’era accaduto.

Meno male che non sei svenuta anche tu, commentò Eragon con una risatina nervosa. Saphira si limitò ad agitare la coda. Lui guardò con struggimento il punto in cui le vette erano nascoste dalle nubi. Che peccato, non siamo riusciti a . sorvolare una di quelle cime... Be’, adesso sappiamo:

possiamo volar via da questa valle solo passando da dove siamo entrati. Perché siamo rimasti a corto d’aria? Com’è possibile che quaggiù ci sia, e invece lassù no?

Non lo so, ma non oserò mai più volare così vicina al sole.Dovremmo fare tesoro di questa esperienza. La conoscenza potrà tornarci utile se dovessimo mai combattere contro un altro Cavaliere.

Spero che non accada mai, disse Eragon. Restiamo a questa altezza, per adesso. Per oggi ne ho avuto abbastanza.

Fluttuarono sulle dolci correnti aeree, rasentando le pareti delle montagne, finché Eragon non vide che la colonna degli Urgali aveva raggiunto l’ingresso della valle. Ma che cosa li fa andare così veloci, e come fanno a sopportare questo ritmo?

Ora che siamo più vicini, disse Saphira, vedo che questi Urgali sono più grossi di quelli che abbiamo incontrato prima. Potrebbero superare di diverse spanne un uomo alto. Non so da quale terra provengano, ma dev’essere un luogo terribile per produrre simili mostri.

Eragon scrutò il territorio sotto di loro: non riusciva a vedere i particolari come lei. Se mantengono quest’andatura, prenderanno Murtagh prima che troviamo i Varden.

Non perdere la speranza. La foresta potrebbe rallentare i loro progressi... Sarebbe possibile fermarli con la magia?

Eragon scosse il capo. Fermarli?... No. Sono in troppi.

Pensò al sottile strato di nebbia nella valle e sorrise. Ma forse potrei farli ritardare un po’. Chiuse gli occhi, scelse le parole che gli servivano, fissò la nebbia e ordinò: «Gath un reisa du rakr!»

Sotto di loro, il panorama prese a cambiare. Dall’alto sembrava che il terreno stesse scorrendo come un grande fiume pigro. Una plumbea fascia di nebbia si addensò davanti agli Urgali e si ispessì fino a diventare un muro minaccioso, scuro come una nube temporalesca. Gli Urgali esitarono, poi continuarono come un inarrestabile ariete. La barriera vorticò intorno a loro, nascondendo la colonna alla vista.

Le forze abbandonarono Eragon in modo improvviso e devastante, facendogli battere il cuore a scatti, come quello di un uccellino morente. Cercò di respirare e strabuzzò gli occhi. Si sforzò di recidere il vincolo che lo teneva legato alla magia, di colmare il varco attravèrso cui fluiva la sua vita; con un ultimo ringhio selvaggio, si ritrasse e interruppe il contatto. Tentacoli di magia si dibatterono nella sua mente come serpenti decapitati, poi, riluttanti, si allontanarono dalla sua coscienza, portando con sé i suoi ultimi residui di forza. Il muro di nebbia crollò a terra come una torre di fango. Gli Urgali non erano stati fermati.

Eragon giaceva inerte su Saphira, ansante. Solo allora ricordò le parole di Brom: “La magia viene influenzata dalla distanza, proprio come una freccia o una lancia. Se cerchi di sollevare o spostare qualcosa a un miglio di distanza, ti ci vorrà più energia che se fosse vicino.” Non lo dimenticherò più, pensò, prostrato.

Non avresti dovuto dimenticarlo mai, intervenne Saphira. Prima con la terra a Gìl’ead, e, ora questo. Perché non presti attenzione a quello che ti ha detto Brom? Ti ucciderai, se continui di questo passo.

Ho prestato attenzione, ribattè lui, massaggiandosi il mento. È passato parecchio tempo, e non ho avuto l’occasione di ripensarci. Non ho mai usato la magia a distanza, perciò come facevo a sapere che sarebbe stato così difficile?

La dragonessa grugnì. La prossima volta cercherai di riportare in vita i morti. Non dimenticare che cosa ti ha detto Brom in proposito.

Non lo farò, disse lui, spazientito. Saphira si tuffò verso il suolo, in cerca di Murtagh e dei cavalli. Eragon l’avrebbe aiutata, ma riusciva a fatica a stare seduto.

Saphira atterrò in un piccolo campo con un sobbalzo, ed Eragon rimase sorpreso nel vedere i cavalli fermi, e Murtagh inginocchiato a esaminare il terreno. Quando Eragon non smontò da Saphira, Murtagh gli corse incontro. «Qualcosa non va?» domandò, arrabbiato, preoccupato e stanco al tempo stesso.