«E adesso?» gridò Murtagh. La rupe non mostrava alcun ingresso. «Non possiamo restare qui!»
Eragon udì Saphira ringhiare quando una freccia le lacerò la sottile membrana del bordo di un’ala. Si guardò intorno, in preda alla disperazione, cercando di capire perché le istruzioni di Arya non avevano fuzionato. «Non lo so! Dovrebbe essere proprio questo, il luogo!»
«Perché non chiedi all’elfa, per sicurezza?» disse Murtagh. Lasciò la spada, afferrò l’arco dalla sella di Tornac e con un rapido movimento scoccò un freccia, nascondendosi tra le punte del dorso di Saphira. Un istante dopo, un altro Urgali cadde in acqua.
«Adesso? Ma se sta per morire! Dove trova l’energia per parlarmi?»
«Non lo so» gridò Murtagh. «ma sarà meglio che pensi a qualcosa, perché non possiamo respingere un intero esercito!»
Eragon, chiamò Saphira in tono concitato.
Che cosa c’è?
Siamo dalla parte sbagliata del lago! Ho visto i ricordi di Arya attraverso di te, e mi sono appena resa conto che non è questo il posto giusto. Chinò la testa contro il petto mentre un’altra sventagliata di frecce sibilava verso di loro. La sua coda si dibatte per il dolore quando venne colpita. Non posso continuare così! Mi fanno a pezzi!
Eragon rinfoderò Zar’roc ed esclamò: «I Varden sono dall’altra parte del lago. Dobbiamo passare sotto la cascata!» Si accorse con terrore che gli Urgali sull’altra sponda del Kóstha-mérna erano quasi arrivati alla meta.
Gli occhi di Murtagh andarono all’immane diluvio che sbarrava loro la strada. «Non ce la faremo mai con i cavalli, nemmeno se riuscissimo a restare in piedi.»
«Ci penserò io a convincerli» ribatte Eragon. «E Saphira porterà Arya.» Le grida e i muggiti degli Urgali fecero nitrire di rabbia Fiammabianca. L’elfa oscillò sulla sella, ignara del pericolo. Murtagh scrollò le spalle. «Sempre meglio che farsi sventrare da questi mostri.» Si affrettò a tagliare le corde che reggevano Arya sulla sella di Fiammabianca, ed Eragon prese l’elfa mentre scivolava a terra.
Sono pronta, disse Saphira, e si preparò, le zampe davanti poggiate a terra. Gli Urgali in avvicinamento esitarono, senza capire le sue intenzioni.
«Ora!» gridò Eragon. Lui e Murtagh issarono Arya sul dorso di Saphira, poi le infilarono le gambe nei nodi scorsoi che sostituivano le staffe. Nel momento stesso in cui ebbero finito, Saphira dispiegò le ali e si alzò in volo sul lago. Gli Urgali ulularono di rabbia nel vederla fuggire e scoccarono una scarica di frecce che rimbalzarono sul suo ventre. I Kull sull’altra sponda raddoppiarono il passo per raggiungere la cascata prima di lei.
Eragon dilatò la mente per entrare nei pensieri spaventati dei cavalli. Usando l’antica lingua, disse loro che se non nuotavano attraverso la cascata, sarebbero stati uccisi e mangiati dagli Urgali. Anche se non capirono tutto quello che disse, gli animali ne colsero il senso, e tanto bastò. Fiammabianca e Tornac scrollarono la testa, poi si gettarono sotto la cascata fragorosa, lanciando alti nitriti quando l’acqua li percosse sul dorso. Cominciarono a nuotare, lottando per tenere la testa fuori dall’acqua. Murtagh rinfoderò la spada e balzò dietro di loro; scomparve sotto la spuma ribollente, per riemergere poco dopo, sputacchiando.
Gli Urgali erano alle spalle di Eragon; sentiva i loro passi crepitare sulla ghiaia. Con un selvaggio grido di guerra, si tuffò dietro Murtagh, chiudendo gli occhi un attimo prima che l’acqua gelida lo colpisse.
Il peso terribile della cascata gli piovve sulle spalle con una potenza inaudita; il suo boato indifferente gli riempì le orecchie. Fu trascinato sul fondo, dove si sbucciò le ginocchia contro il letto roccioso del lago. Fece leva con le gambe e schizzò fuori dall’acqua con tutto il torso, ma prima che riuscisse a prendere una boccata d’aria, la cascata lo spinse di nuovo sotto.
Non riusciva a vedere altro che una bianca macchia indistinta mentre la spuma gli vorticava intorno. Cercò freneticamente di raggiungere la superficie, per espandere i polmoni in fiamme, ma riuscì a fare appena una bracciata e il diluvio gli impedì di risalire. Il panico prese il sopravvento, ed Eragon cominciò a dibattersi, lottando contro l’acqua. Appesantito da Zar’roc e dai vestiti bagnati, affondò di nuovo, incapace di pronunciare le antiche parole che lo avrebbero salvato.
All’improvviso una mano forte lo afferrò per il collo della tunica e lo trascinò fuori dall’acqua. Il suo salvatore fendeva il lago con rapide e potenti bracciate. Eragon sperò che fosse Murtagh e non un Urgali. Raggiunsero la spiaggia di ciottoli ed Eragon prese a tremare violentemente: tutto il suo corpo era scosso da terribili spasmi,
Un fragore di combattimento proruppe alla sua destra; si volse, aspettandosi una carica di Urgali. I mostri sulla riva opposta cadevano sotto una pioggia di frecce scagliate dai crepacci che costellavano la rupe. Decine di Urgali già galleggiavano a pancia in su nell’acqua, trafitti da molti dardi. Quelli sulla stessa riva di Eragon subivano la stessa sorte: non potevano riunirsi, né ritirarsi da quella posizione scoperta, poiché schiere di guerrieri erano comparse alle loro spalle, dove il lago incontrava la parete della montagna. L’unica cosa che impedì al Kull più vicino di avventarsi su Eragon fu la pioggia costante di frecce: gli arcieri invisibili sembravano decisi a dare del filo da torcere agli Urgali,
Una voce roca accanto a lui disse: «Akh Guntéraz dorzàda! Ma che cosa credevi? Stavi per annegare!» Eragon si voltò, sorpreso. Non c’era Murtagh vicino a lui, ma un uomo piccolo, che gli arrivava appena al gomito.
Il nano era impegnato a strizzarsi la lunga barba intrecciata. Aveva il torace ampio e robusto, e portava una cotta di maglia senza maniche, da cui spuntavano le braccia tozze e muscolose. Intorno alla vita aveva una cintura a cui era appesa un’ascia di guerra. In testa portava una calotta di cuoio cerchiata di ferro, con il simbolo di un martello circondato da dodici stelle. Nonostante l’elmetto, a stento. sfiorava i quattro piedi di altezza. Guardò con desiderio la battaglia e disse: « Barzul, come mi piacerebbe tuffarmi nella mischia!»
Un nano! Eragon estrasse Zar’roc e si guardò intorno, in cerca di Saphira e Murtagh. Nella rupe si erano aperti due portali di pietra alti dodici piedi, che si affacciavano su un lungo tunnel, alto quasi trenta piedi, che si snodava nelle misteriose profondità della montagna. Una fila di lampade senza fiamma emanava ima pallida luce azzurrognola che si riversava sul lago.
Saphira e Mùrtagh erano davanti al tunnel, circondati da uno strano miscuglio di uomini e nani. Vicino a Murtagh c’era un uomo calvo, senza barba, vestito di un lungo abito oro e porpora. Era più alto degli altri umani, e teneva un pugnale alla gola di Murtagh.
Eragon fece per evocare il potere, ma l’uomo dal lungo vestito disse con voce aspra, minacciosa:
«Fermati! Se usi la magia, ucciderò il tuo caro amico, che è stato così gentile da dirci che sei un Cavaliere. Non credere che io non sappia che cosa stai facendo. Non puoi nascondermi niente.»
Eragon cercò di parlare, ma l’uomo scoprì i denti e premette più forte il coltello contro la gola di Murtagh. «Non fiatare! Se dici o fai qualcosa che non ti ho ordinato, lui morirà. E ora, tutti dentro.»
Tornò nel tunnel; spingendo Murtagh davanti a sé senza smettere di tenere d’occhio Eragon.
Saphira, che cosa devo fare? chiese rapido Eragon, mentre gli uomini e i nani seguivano il sequestratore di Murtagh, portando i cavalli con sé.
Va’ con loro, gli suggerì lei, e spera che restiamo in vita. Entrò anche lei nel tunnel, attirandosi occhiate nervose. A malincuore, Eragon la seguì, sentendo il peso degli sguardi dei guerrieri. Il suo salvatore, il nano, camminava al suo fianco, una mano posata sull’impugnatura dell’ascia.