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Esausto, Eragon entrò barcollando nel ventre della montagna. I portali di pietra si richiusero alle loro spalle quasi senza far rumore, Eragon si guardò indietro e vide una parete ininterrotta lì dove un attimo prima c’era l’apertura. Erano in trappola. Ma erano al sicuro?

50

In cerca di risposte

«Di qua» ordinò l’uomo calvo. Fece un passo indietro, il pugnale sempre premuto contro il mento di Murtagh, poi voltò a destra per imboccare una porta ad arco. I guerrieri lo seguirono prudenti, concentrati su Eragon e Saphira. I cavalli furono scortati in un altro tunnel.

Stordito dal turbine di eventi, Eragon si affrettò a seguire Murtagh. Scoccò un’occhiata a Saphira per avere la conferma che Arya fosse ancora legata sulla sua sella. Deve prendere l’antidoto! pensò, in preda al panico, sapendo che anche in quel momento lo Skilna Bragh stava scavando la sua strada di morte nella carne dell’elfa.

Seguì l’uomo calvo lungo uno stretto corridoio, sempre sotto la minaccia delle armi. Passarono davanti alla scultura, di uno strano animale con folte penne. Il corridoio piegò a sinistra, poi a destra. Si aprì una porta ed entrarono in una stanza spoglia, grande abbastanza perché Saphira vi si potesse muovere con agio. Si udì un cupo rimbombo quando la porta si chiuse, seguito da un raspare metallico che segnalò lo scatto del chiavistello.

Eragon studiò la sala, con Zar’roc ancora stretta in pugno. Le pareti, il pavimento e il soffitto erano di lucido marmo bianco, che rifletteva l’immagine spettrale di ogni presente, come uno specchio di latte screziato. In ciascuno degli angoli splendeva una delle insolite lanterne. «C’è qualcuno...» cominciò a dire Eragon, ma l’uomo calvo lo zittì con un gesto.

«Non parlare! Devi aspettare finché non sarai stato messo alla prova.» Spinse Murtagh contro uno dei guerrieri, che subito gli premette la lama sulla gola. L’uomo calvo giunse le mani. «Togliti le armi e dammele.» Un nano sganciò la spada di Murtagh e la lasciò cadere a terra con un sonoro clangore.

Pur restio a separarsi da Zar’roc, Eragon slacciò il fodero e lo depose, insieme alla spada, sul pavimento. Vicino posò l’arco e la faretra, e poi spinse le armi verso i guerrieri. «Ora allontanati dal drago e avvicinati a me, lentamente» ordinò l’uomo calvo.

Sconcertato, Eragon fece qualche passo avanti, ma quando furono a meno di un metro di distanza, l’uomo disse: «Fermati lì! Ora, elimina le difese che circondano la tua mente e preparati a farmi ispezionare i tuoi pensieri e i tuoi ricordi. Se provi a nascondermi qualcosa, prenderò quello che voglio con la forza... e questo ti farà impazzire. Se non ti sottometti, il tuo compagno verrà ucciso.»

«Perché?» chiese Eragon, atterrito.

«Per assicurarmi che non sei al servizio di Galbatorix e per capire perché centinaia di Urgali bussano alla nostra porta» ringhiò l’uomo calvo. I suoi occhi molto vicini non smettevano di guizzare da una parte e dall’altra. «Nessuno può entrare nel Farthen Pur senza aver passato l’esame.»

«Non c’è tempo. Abbiamo bisogno di un guaritore!» protestò Eragon.

«Silenzio!» ruggì L’uomo, stringendo con le dita lunghe e scarne i bordi del mantello. «Finché non avrai risposto, le tue parole non hanno significato!»

«Ma sta morendo!» ribattè Eragon infuriato, indicando Arya. Erano in una situazione difficile, ma non avrebbe permesso che accadesse nulla finché qualcuno non si fosse preso cura di Arya.

«Dovrà aspettare! Nessuno uscirà di qui finché non avremo scoperto la verità. A meno che...»

Il nano che aveva salvato Eragon dal lago s’intromise nella discussione. «Ma sei cieco, Egraz Carn? Non vedi che c’è un’elfa in sella al drago? Non possiamo tenerla qui, se è in pericolo di vita. Ajihad e il re pretenderanno la nostra testa, se la lasciamo morire!»

Gli occhi dell’uomo calvo si ridussero a due fessure lampeggianti di collera. Dopo qualche istante, riprese il controllo e disse: «Ma certo. Orik, non vogliamo che questo accada.» Schioccò due dita e indicò Arya. «Fatela scendere di lì.» Due guerrieri umani rinfoderarono le spade e si avvicinarono esitanti a Saphira, che li fissò truce. «Svelti, svelti!»

Gli uomini slegarono Arya dalla sella e deposero l’elfa sul suolo. Uno degli uomini ne scrutò il volto, poi esclamò, sorpreso: «È la portatrice dell’uovo di drago. Arya!»

«Che cosa?» esclamò l’uomo calvo. Gli occhi del nano Orik si spalancarono per lo stupore. L’uomo calvo squadrò Eragon con rinnovata curiosità e disse: «Dovrai darci parecchie spiegazioni.»

Eragon sostenne il suo sguardo con determinazione. «È stata avvelentata con lo Skilna Bragh mentre era in prigione. Soltanto il Nettare di Tùnivor può salvarla.»

Il volto dell’uomo divenne una maschera impassibile. Rimase immobile; solo le sue labbra si contraevano ogni tanto. «D’accordo. Portatela dai guaritori, e dite loro che cosa le occorre. Sorvegliatela finché la cerimonia non sarà completata. Poi avrò altri ordini per voi.» I guerrieri annuirono e trasportarono Arya fuori dalla stanza. Eragon li guardò uscire, col desiderio di accompagnarli. La sua attenzione tornò sull’uomo calvo, che disse; «Ora basta, abbiamo già perso troppo tempo. Preparati a essere esaminato.»

Eragon non voleva che quell’arrogante testa di biglia gli frugasse nella mente, mettendo a nudo ogni suo pensiero o emozione, ma sapeva che resistere sarebbe stato inutile. L’aria era tesa. Lo sguardo di Murtagh gli bruciava la fronte. Alla fine chinò il capo e disse: «Sono pronto.»

«Bene, allora...»

L’uomo calvo fu di nuovo interrotto da Orik, che disse in tono aspro: «Sarà meglio che tu non gli faccia del male, Egraz Carn, altrimenti il re avrà qualcosa da dirti.»

L’uomo calvo gli rivolse uno sguardo irritato, poi si voltò verso Eragon con un sorriso maligno.

«Solo se resiste.» Chinò il capo e cominciò a pronunciare una serie di parole impercettibili. Eragon risucchiò il fiato con un gemito di dolore quando qualcosa di acuto gli trafisse la mente all’improvviso.

Sgranò gli occhi e cominciò a innalzare barriere intorno alla propria coscienza. L’attacco era di una potenza inaudita.

Non farlo! gridò Saphira. I suoi pensieri si unirono a quelli di lui, donandogli forza. Così metti in pericolo Murtagh! Eragon esitò, digrignò i denti, poi si costrinse ad abbassare le difese, esponendosi all’indagine. Un sentore di delusione emanava dall’uomo calvo, che intensificò il suo attacco. La forza sprigionata dalla sua mente aveva qualcosa di marcio, di malsano; c’era un che di profondamente sbagliato in essa.

Vuole che mi opponga! esclamò Eragon mentre una nuova ondata di dolore lo travolgeva. Un secondo dopo parve calare, ma solo per essere sostituita da una terza. Saphira fece del suo meglio per sopprimerla, ma nemmeno lei poteva arginarla.

Dagli quello che vuole, suggerì, frenetica, ma proteggi il resto. Ti aiuterò io. La sua forza è superiore alla mia, e già sto consumando le mie energie per schermare il nostro dialogo.

Ma perché fa male?

Il dolore viene da te.

Eragon fece una smorfia mentre l’indagine scavava più a fondo, cercando informazioni, come un chiodo infilato nel suo cranio. L’uomo calvo trovò i suoi ricordi d’infanzia e prese a sfogliarli.

Quelli non gli servono... fallo uscire di lì! gridò Eragon, infuriato.

Non posso senza metterti in pericolo, disse Saphira. Posso nascondergli le cose, ma prima che le veda. Pensa in fretta, e dimmi che cosa vuoi che nasconda!

Eragon cercò di concentrarsi, nonostante il dolore. Ripercorse rapido tutti i suoi ricordi, da quando aveva trovato l’uovo di Saphira. Nascose parti delle sue conversazioni con Brom, comprese le parole antiche che il vecchio gli aveva insegnato, mentre lasciò intatti i ricordi dei viaggi attraverso la Valle Palancar, Yazuac. Daret e Teirm. Chiese però a Saphira di nascondere tutto ciò che ricordava di Angela l’indovina e di Solembum. Saltò dal furto commesso nella fortezza di Teirm alla morte di Brom, dalla prigionia a Gil’ead alla rivelazione di Murtagh della propria vera identità. Eragon avrebbe voluto nascondere anche quella, ma Saphira si rifiutò. I Varden hanno il diritto di sapere a chi stanno dando asilo, specie se è il figlio di un Rinnegato!