Выбрать главу

Fallo e basta, si ostinò Eragon, lottando contro un’altra ondata di dolore. Non voglio essere io a rivelarlo, almeno non a quest’uomo.

Lo scoprirà non appena esaminerà Murtagh, lo avvertì Saphira.

Fallo, ho detto.

Nascosta l’informazione più importante, Eragon non potè far altro che aspettare che l’uomo calvo portasse a termine la sua ispezione. Era come restare immobile mentre ti vengono strappate le unghie con una pinza arrugginita. Il suo corpo era rigido, la mascella serrata. La stia pelle emanava un forte calore e un rivolo di sudore gli colava dietro il collo. Sentiva ogni secondo, e i minuti passavano con esasperante lentezza.

Il calvo si aggirava pigramente fra le sue esperienze, come un rampicante spinoso che si fa strada verso il sole. Prestava attenzione a molte cose che Eragon considerava irrilevanti, come sua madre, Selena, e parve indugiarvi di proposito, per prolungare la sofferenza. Passò molto tempo a sfogliare i ricordi dei Ra’zac e poi dello Spettro. Soltanto quando ebbe scandagliato tutte le avventure di Eragon, l’uomo calvo cominciò a ritirarsi dalla sua mente.

Quando ne uscì, a Eragon parve che gli sfilassero una scheggia dal cervello. Rabbrividì, vacillò e si accasciò a terra. Un paio di braccia robuste lo afferrarono un istante prima che toccasse il pavimento, adagiandolo con delicatezza sul freddo marmo. Sentì Orik che esclamava alle sue spalle: «Hai esagerato! Non era abbastanza forte per questo.»

«Sopravviverà, ed è questo che conta» rispose gelido l’uomo calvo.

Il nano sbuffò, seccato, poi chiese: «Cos’hai trovato?»

Silenzio.

«Allora, ci possiamo fidare o no?»

Le parole giunsero stentate. «Lui... non è vostro nemico.» In tutta la stanza echeggiarono sospiri di sollievo.

Eragon socchiuse le palpebre tremanti e provò ad alzarsi di scatto. «Sta’ calmo» disse Orik, e gli cinse le spalle con un braccio per aiutarlo a mettersi in piedi. Eragon ondeggiò incerto sulle gambe, guardando in tralice l’uomo calvo, Saphira emise un sordo brontolio di gola.

L’uomo calvo li ignorò. Si rivolse a Murtagh, che era ancora sotto la minaccia della spada. «Adesso tocca a te.»

Murtagh si irrigidì e scosse il capo. La spada gli graffiò il collo e un rivoletto di sangue gli macchiò la pelle. «No.»

«Non ti proteggeremo, se ti rifiuti.»

«Eragon è stato dichiarato degno di fiducia, perciò non puoi influenzarmi minacciando di ucciderlo. Capisci bene che qualunque cosa tu dica o faccia, non servirà a costringermi ad aprire la mente.»

L’uomo calvo arricciò le labbra e inarcò quello che sarebbe stato un sopracciglio, se ne avesse avuto uno. «E la tua vita? Posso sempre minacciare quella.»

«Mi è del tutto indifferente» rispose Murtagh ostinato, con una tale forza nella voce da non lasciare ombra di dubbio sulla sua sincerità.

L’uomo calvo esplose. «Non hai scelta!» Si avvicinò a Murtagh e gli posò il palmo sulla fronte, premendo le dita aperte per tenergli ferma la testa. Murtagh si irrigidì, il volto duro come il ferro, i pugni stretti, i muscoli del collo gonfi. Era chiaro che si stava opponendo all’attacco con tutte le sue forze. L’uomo calvo scoprì i denti per la rabbia e la delusione; le sue dita affondarono senza pietà nella carne di Murtagh.

Eragon prese ad agitarsi, ben conoscendo la lotta che si svolgeva fra i due. Non puoi aiutarlo? chiese a Saphira.

No, rispose lei in tono sommesso. Non permette a nessuno di entrargli nella mente.

Orik si accigliò nel guardare i contendenti. « Ilf carnz orodum» mormorò, poi si fece avanti e gridò:

«Basta!» Afferrò la mano dell’uomo calvo e la scostò dalla fronte di Murtagh con una forza sproporzionata rispetto alla sua taglia.

L’uomo calvo indietreggiò barcollando, poi si rivolse a Orik con rabbia. «Come osi?» ululò. «Hai criticato la mia autorità, hai aperto i cancelli senza permesso, e ora questo! Non sei altro che un insolente e un traditore. Credi che il tuo re continuerà a proteggerti, quando lo saprà?»

Orik non si lasciò intimorire. «Tu li avresti lasciati morire! Se avessi aspettato solo un altro istante, gli Urgali li avrebbero uccisi.» Indicò Murtàgh, che ansimava. «Non abbiamo il diritto di torturarlo per estorcergli informazioni! Ajihad non approverebbe. Non dopo che hai esaminato il Cavaliere e lo hai trovato degno di fiducia. E ricorda, ci hanno riportato Arya.»

«Allora permetteresti loro di entrare senza esame? Sei così stupido da metterci tutti, a rischio?» disse l’uomo calvo, schiumando di collera a stento repressa; sembrava pronto a balzare alla gola del nano.

«Sa usare la magia?»

«Cosa...»

«Sa usare la magia?» ruggì Orik. La sua voce roca echeggiò per tutta la sala. L’uomo calvo perse di colpo ogni espressione. Si intrecciò le mani dietro la schiena.

«No.»

«Allora di che cosa hai paura? È impossibile che fugga, e non può fare niente di male con tutti noi qui, soprattutto se i tuoi poteri sono così grandi come sostieni. E comunque non ascoltare me; chiedi a Ajihad cosa vuole.»

L’uomo calvo fissò Orik per un momento, con espressione indecifrabile, poi alzò gli occhi al soffitto e li chiuse. Le sue spalle assunsero una rigidezza innaturale, mentre le sue labbra si muovevano senza emettere suono. Rughe profonde gli solcarono la pallida pelle della fronte, e le sue dita si strinsero, come se stesse strangolando un nemico invisibile. Rimase così per parecchi minuti, assorto in una muta conversazione.

Quando aprì gli occhi, ignorò deliberatamente Orik per ordinare brusco ai guerrieri: «Uscite subito!» Mentre gli uomini abbandonavano la sala in ranghi ordinati, si rivolse a Eragon e disse in tono gelido: «Poiché non sono riuscito a completare il mio esame, tu e... il tuo amico resterete qui, stanotte. Se cerca di fuggire, verrà ucciso.» Detto questo, si voltò e usci dalla stanza, il cranio rasato che scintillava pallido alla luce delle lanterne.

«Grazie» mormorò Eragon a Orik.

Il nano borbottò una frase di assenso. «Farò in modo che vi portino da mangiare» disse. Mormorò una serie di parole sottovoce, poi uscì, scuotendo il capo. Il chiavistello scattò di nuovo. Eragon si sedette, stranamente stordito dopo l’eccitazione della giornata e la marcia forzata. Aveva le palpebre pesanti. Saphira si accovacciò accanto a lui. Dobbiamo stare attenti. Sembra che qui abbiamo tanti nemici quanti nell’Impero. Eragon annuì, troppo stanco per parlare.

Murtagh, gli occhi vitrei e vuoti, fece scivolare la schiena contro la parete e si sedette. Teneva la manica della camicia premuta contro il taglio sul collo, per fermare il sangue. «Stai bene?» gli chiese Eragon. Murtagh annuì stancamente. ««È riuscito a sapere qualcosa da te?»

«No.»

«Come hai fatto a resistergli? È molto forte.»

«Sono... sono stato ben addestrato.» Nella sua voce risuonò una nota amara.

Li avvolse una cappa di silenzio. Lo sguardo di Eragon indugiò su ciascuna delle lanterne appese negli angoli. Lasciò vagare i pensieri, finché non si riscosse per dire: «Non gli ho permesso di sapere chi sei.»

Murtagh parve sollevato. Chinò il capo e disse: «Ti ringrazio di non avermi tradito.»

«Non ti hanno riconosciuto.»

«No.»

«Ma sostieni ancora di essere il figlio di Morzan?» «Sì» sospirò Murtagh.

Eragon fece per parlare, ma si fermò quando sentì del liquido caldo piovergli su una mano. Abbassò lo sguardo e rimase sbalordito nel vedere una grossa goccia di sangue scuro colargli sulla pelle. Era caduta dall’ala di Saphira. Dimenticavo che sei ferita! esclamò, alzandosi con uno sforzo. Devo curarti.