Sta’ attento. È facile commettere errori, quando si è così stanchi.
Lo so. Saphira aprì una delle ali e la distese sul pavimento. Mentre Murtagh lo osservava, Eragon fece scorrere le mani sulla calda membrana azzurra, dicendo: «Waise heill» ogni volta che scopriva un foro di freccia. Per loro fortuna, tutte le ferite furono abbastanza facili da rimarginare, perfino quelle sul muso.
Completata l’opera, Eragon si abbandonò contro il fianco di Saphira, respirando affannoso. Sentiva il grande cuore della dragonessa pulsare con il costante battito della vita. «Spero che facciano in fretta a portarci il cibo» disse Murtagh.
Eragon scrollò le spalle; era troppo stanco per avere . fame. Incrociò le braccia, avvertendo la mancanza del peso di Zar’roc al suo fianco. «Perché sei qui?»
«Che cosa?»
«Se sei davvero il figlio di Morzan, come mai Galbatorix ti permette di gironzolare libero per tutta l’Alagasëia? Come hai fatto a trovare i Ra’zac da solo? Perché non ho mai sentito dire che i Rinnegati hanno avuto dei figli? E che cosa ci fai qui?» La sua voce era cresciuta d’intensità fino a diventare quasi un grido.
Murtagh si passò le mani sul viso. «È una lunga storia.»
«Non abbiamo impegni» ribattè Eragon.
«È troppo tardi per parlare.»
«Probabilmente domani non ne avremo il tempo.»
Murtagh si abbracciò le gambe e appoggiò il mento sulle ginocchia, dondolando avanti e indietro, gli occhi fissi sul pavimento di marmo. «Non è...» cominciò, ma s’interruppe. «D’accordo, ma non ho intenzione di fermarmi... perciò mettiti comodo. La mia storia non è affatto breve.» Eragon si sistemò meglio contro il fianco di Saphira e annuì, Saphira guardava entrambi con grande interesse. La prima frase di Murtagh fu esitante, ma via via la sua voce assunse forza e sicurezza. «Per quanto ne so... io sono l’unico figlio dei Tredici Servi, o Rinnegati, come sono anche chiamati. Potrebbero essercene degli altri, poiché i Tredici sono sempre stati abili a nascondere quello che volevano, ma ne dubito, per ragioni che ti spiegherò in seguito.
«I miei genitori si conobbero in un piccolo villaggio, non ho mai saputo quale, mentre mio padre era in viaggio per conto del re. Morzan si mostrò gentile con mia madre, senza dubbio.un inganno per conquistare la sua fiducia, e quando lui ripartì, lei andò con lui. Viaggiarono insieme per qualche tempo e com’è nella natura di queste cose, mia madre finì per innamorarsi di lui, Morzan si compiacque di scoprirlo, non solo perché gli dava l’opportunità di tormentarla, ma soprattutto perché riconobbe il vantaggio di avere una persona al suo servizio che non lo avrebbe mai tradito.
«Così, quando Morzan tornò alla corte di Galbatorix, mia madre divenne lo strumento dei suoi complotti. La usava per portare messaggi segreti, e le insegnò qualche rudimento di magia, che la aiutava a non farsi scoprire e in qualche occasione a ottenere informazioni dalla gente. Lui faceva del suo meglio per proteggerla dal resto dei Tredici, non perché provasse dei sentimenti per lei, ma perché loro l’avrebbero usata contro di lui, se ne avessero avuta l’occasione. Per tre anni le cose andarono avanti così, finché mia madre non rimase incinta.»
Murtagh fece una pausa, inanellandosi una ciocca di capelli intomo al dito. Poi riprese in tono serrato: «Mio padre, se non altro, era un uomo molto astuto. Sapeva che la gravidanza avrebbe messo in pericolo sia lui che mia madre, per non parlare del bambino, ossia me. E così una notte la fece sparire di nascosto dal palazzo e la portò nel suo castello. Una volta giunti sani e salvi, evocò potenti incantesimi per impedire a chiunque, tranne pochi servi fidati, di entrare nella sua proprietà. In questo modo la gravidanza rimase segreta a tutti, tranne che a Galbatorix.
«Galbatorix conosceva i più intimi dettagli delle vite dei Tredici: le loro tresche, le loro dispute e, cosa più importante, i loro pensieri. Si divertiva a vederli litigare fra loro e spesso parteggiava per l’uno o per l’altro, solo per il gusto della battaglia. Ma per qualche ragione non rivelò mai la mia esistenza.
«Non appena venni alla luce, fui affidato a una balia perché mia madre potesse tornare al fianco di Morzan. Non aveva scelta. Morzan le permetteva di venirmi a fare visita a mesi alterni, ma per il resto eravamo separati. Passarono altri tre anni, durante i quali Morzan mi procurò... la cicatrice sulla schiena.» Murtagh tacque per qualche istante, il volto corrucciato.
«Sarei cresciuto in questo modo se Morzan non fosse stato chiamato a cercare l’uovo di Saphira. Non appena partì, mia madre, che era rimasta a palazzo, sparì. Nessuno sa dove andò, né perché. Il re mandò i suoi uomini a cercarla, ma nessuno riuscì a trovarla: senza dubbio fu grazie all’addestramento che lei aveva ricevuto da Morzan.
«All’epoca della mia nascita, soltanto cinque dei Tredici erano ancora in vita. Quando Morzan partì, il numero si era ridotto a tre; quando alla fine affrontò Bfom a Gil’ead, era l’unico rimasto. I
Rinnegati trovarono la morte sotto diverse forme: suicidio, agguati, abuso di magia... ma perlopiù fu opera dei Varden. Il re fu sconvolto da una collera terribile per la loro perdita.
«Tuttavia, prima che la notizia della morte di Morzan e degli altri giungesse alle sue orecchie, mia madre tornò. Erano passati molti mesi da quando era scomparsa. Stava male, come se soffrisse di una grave malattia, e col tempo peggiorò. Nel giro di due settimane morì.»
«E poi che cosa accadde?» incalzò Eragon.
Murtagh si strinse nelle spalle. «Sono cresciuto. Il re mi portò a palazzo e diede disposizioni per la mia educazione. A parte questo, mi lasciò in pace.»
«Allora perché te ne andasti?»
Murtagh proruppe in una risata amara. «Fuggii, per meglio dire. Il giorno del mio diciottesimo compleanno, il re mi mandò a chiamare nei suoi appartamenti per una cena. L’invito mi sorprese, perché mi ero sempre tenuto in disparte dalla vita di corte e lo avevo incontrato di rado. Avevamo parlato qualche volta, ma sempre alla presenza degli altri nobili.
«Accettai l’invito, naturalmente, perché sapevo che sarebbe stato poco saggio rifiutare. La cena fu sontuosa, ma per tutto il tempo i suoi occhi neri non si staccarono da me. Il suo sguardo èra inquietante; sembrava che cercasse un segreto sul mio volto. Non sapevo come comportarmi e feci del mio meglio per imbastire una conversazione affabile, ma lui non voleva parlare, e così mi arresi.
«Finita la cena, cominciò a parlare lui. Non hai mai sentito la sua voce, perciò mi è difficile farti capire quanto fosse affascinante, quanto le sue parole fossero intriganti. Era come un serpente che mi sussurrasse parole mielate nelle orecchie. Non ho mai sentito un uomo più convincente e impressionante. Mi descrisse una visione: l’immagine dell’Impero come avrebbe voluto che fosse. In tutto il paese sarebbero sorte splendide città, popolate dai più valorosi guerrieri, da artigiani, musicisti e filosofi. Gli Urgali sarebbero stati finalmente estirpati. E l’Impero si sarebbe espanso in ogni direzione fino a raggiungere i quattro angoli di Alagasëia. Pace e prosperità avrebbero regnato, ma la cosa davvero meravigliosa era la sua intenzione di riportare in auge i Cavalieri perché governassero con giustizia i suoi feudi.
«Lo ascoltai incantato per quelle che devono essere state ore intere. Quando ebbe finito gli chiesi come poteva restaurare l’ordine dei Cavalieri, dato che tutti sapevano che non erano rimaste uova di drago. Galbatorix si irrigidì e mi fissò, pensieroso. Per lunghi minuti rimase in silenzio, ma poi mi tese la mano e disse; “Figlio del mio amico, vuoi essere al mio fianco nel realizzare questo paradiso?”
«Sebbene conoscessi la storia di come lui e mio padre avevano assunto il potere, il sogno che aveva dipinto per me era troppo allettante, troppo seducente per ignorarlo. Mi sentii colmare di eccitazione per la missione, e gli diedi la mia, parola. Ovviamente compiaciuto. Galbatorix mi diede la sua benedizione e mi congedò dicendo; “Ti chiamerò quando arriverà il momento.”