«Passarono parecchi mesi. Quando mi mandò a chiamare, sentii rinascere in me quell’ardore evocato dalla sua visione. Ci incontrammo da soli come la prima volta, ma quel giorno non lo trovai cordiale né affascinante. I Varden avevano appena distrutto tre delle sue brigate nel sud del paese, e la sua ira era esplosa. Mi incaricò con voce terribile di guidare un reparto di soldati e andare a distruggere Cantos, dove si sapeva che i ribelli avevano un nascondiglio. Quando gli chiesi che cosa dovevamo fare del popolo e come avremmo fatto a sapere se erano colpevoli, lui gridò: “Sono tutti traditori! Bruciateli sul rogo e seppellite le loro ceneri nel fango!” Continuò a inveire contro i suoi nemici, descrivendo come avrebbe bruciato le terre di chiunque lo avesse ostacolato.
«Il suo tono era così diverso da quando lo avevo incontrato la prima volta; mi fece capire che non possedeva la pietà o la lungimiranza per guadagnarsi la lealtà dei sudditi, e che governava soltanto con la forza bruta guidata dalle sue passioni. Fu in quel momento che mi decisi a fuggire per sempre da lui e da Urù’baen.
«Non appena rimasi da solo, io e il mio fedele servitore. Tornac, ci preparammo a fuggire. Partimmo quella notte stessa, ma in qualche modo Galbatorix anticipò le mie mosse, perché trovammo dei soldati appostati fuori dai cancelli. La mia spada assaggiò tanto di quel sangue che la sua lama non rifletteva più la luce delle lanterne. Sconfiggemmo le guardie... ma Tornac rimase ucciso.
«Solo, col cuore gonfio di angoscia, mi rifugiai in casa di un vecchio amico. Restando nascosto, mi informavo su ogni diceria, nel tentativo di prevedere le azioni di Galbatorix e predisporre il mio futuro. Durante quel periodo, mi giunse voce che i Ra’zac erano stati mandati a catturare o uccidere qualcuno. Ricordando i piani dì Galbatorix per i Cavalieri, decisi di trovare e seguire i Ra’zac, nel caso che fossero riusciti a trovare un drago. Ed ecco come ti ho trovato... Adesso non ho più segreti.»
Ancora non sappiamo se dice la verità, mormorò Saphira.
Lo so, disse Eragon, ma perché dovrebbe mentirci?
Potrebbe essere pazzo.
Ne dubito. Eragon fece scorrere un dito sulle dure squame di Saphira, osservando i riflessi della luce danzare su di loro. «Allora perché non ti unisci ai Varden? Forse al principio non si fiderebbero di te, ma una volta dimostrata la tua lealtà, ti tratteranno con rispetto. In un certo senso non sono tuoi alleati? Anche loro combattono per rovesciare il re. Non è quello che vuoi anche tu?»
«Ma devo spiegarti proprio tutto!» esclamò Murtagh esasperato. «Non voglio che Galbatorix scopra dove sono, e sarà inevitabile se comincia a girar voce che mi sono unito ai suoi nemici. Questi...»
S’interruppe, poi riprese con una smorfia: «... questi ribelli non vogliono soltanto rovesciare il re, ma distruggere l’Impero, e io non voglio che questo accada. Sarebbe l’anarchia. Il re è corrotto, sono d’accordo, ma il sistema è sano, E per quanto riguarda la possibilità di guadagnarmi il rispetto dei Varden... Ah! Una volta svelata la mia identità, mi tratterebbero come un criminale o peggio. Non solo; ma comincerebbero a sospettare anche di te, perché viaggiamo insieme!»
Ha ragione, disse Saphira.
Eragon la ignorò. «Non può essere tutto così nero» disse, cercando di assumere un tono ottimista. Murtagh sbuffò beffardo e distolse lo sguardo. «Sono sicuro che loro non ti...» La sua frase venne interrotta dal rumore della porta che si apriva. Attraverso uno spiraglio largo una spanna, vennero spinte all’interno della sala due scodelle. Seguirono una pagnotta e un pezzo di carne cruda; poi la porta si richiuse con un tonfo.
«Finalmente!» borbottò Murtagh, avvicinandosi al cibo. Gettò la carne a Saphira, che la prese al volo con uno schiocco di denti e la ingoiò intera. Poi divise in due la pagnotta, ne diede metà a Eragon, prese la sua scodella e si ritirò in un angolo.
Mangiarono in silenzio. «Adesso ho voglia di dormire» annunciò Murtagh, posando la scodella senza dire altro.
«Buonanotte» disse Eragon. Si distese accanto a Saphira, le braccia sotto la testa. Lei gli cinse il corpo con il lungo collo, come un gatto che si acciambella, e posò la testa accanto alla sua. Distese una delle ali sopra di lui come una tenda azzurra, avviluppandolo nell’oscurità.
Buonanotte, piccolo mio.
Un lieve sorriso comparve sulle labbra di Eragon, anche se stava già dormendo.
51
La gloria di Tronjheim
Eragon si svegliò di soprassalto: qualcuno gli grugniva nelle orecchie. Saphira dormiva ancora, ma i suoi occhi si muovevano sotto le palpebre e il suo labbro superiore tremava, come se volesse ringhiare. Sorrise, poi sussultò quando lei ringhiò di nuovo.
Sogna, pensò. La guardò per un minuto, poi piano piano scivolò fuori da sotto la sua ala. Si alzò e si stiracchiò. La sala era fredda, ma non in maniera spiacevole. Murtagh era disteso a pancia in su nell’angolo opposto, gli occhi chiusi.
Mentre Eragon aggirava il corpo di Saphira, Murtagh si mosse. «Buongiorno» disse sottovoce, mettendosi a sedere.
«Da quanto sei sveglio?» sussurrò Eragon.
«Da un po’. Mi sorprende che Saphira non ti abbia svegliato prima.»
«Ero così stanco che avrei dormito anche nel cuore di una battaglia» disse Eragon con amara ironia. Si sedette accanto a Murtagh e appoggiò la testa al muro. «Sai che ore sono?»
«No. È impossibile capirlo, qui dentro.»
«Non è venuto nessuno?»
«Non ancora.»
Rimasero seduti senza muoversi né parlare. Eragon si sentiva stranamente legato a Murtagh. Porto la spada di suo padre, che avrebbe dovuto essere la sua eredità. Siamo simili sotto molti aspetti, eppure il nostro modo di vedere e la nostra educazione sono del tutto diversi. Pensò alla cicatrice di Murtagh e provò un brivido di orrore. Quale uomo farebbe una cosa del genere a un bambino?
Saphira levò la testa e battè le palpebre per mettere a fuoco il mondo. Annusò l’aria, poi fece uno sbadiglio formidabile, arricciando la punta della lingua ruvida.
Successo niente?
Eragon scosse il capo. Spero che mi diano da mangiare qualcosa di più sostanzioso di quel boccone di ieri sera. Ho una fame che mi mangerei una mandria di mucche.
Ti nutriranno a dovere, la rassicurò Eragon.
Sarà meglio per loro. Si accovacciò accanto alla porta, in attesa, la coda fremente. Eragon chiuse gli occhi, gustando il riposo dopo tanta fatica. Sonnecchiò per un po’, poi si stirò e cominciò a girare in tondo per la sala. Annoiato, esaminò una delle lanterne. Era fatta di un singolo pezzo di vetro a forma di goccia, grande due volte un limone, e splendeva di una morbida luce azzurra che non ondeggiava nè tremolava. Il vetro era racchiuso fra quattro sottili tralci di metallo, saldati in cima a creare un gancio, e in basso a formare tre graziosi riccioli. Nell’insieme, un oggetto molto raffinato. I’ispezione di Eragon fu interrotta da voci fuori dalla sala. La porta si aprì, ed entrò una dozzina di guerrieri a passo di marcia. Il primo trasalì nel vedere Saphira, Erano seguiti da Orik e dall’uomo calvo, che dichiarò: «Siete stati convocati al cospetto di Ajihad, capo dei Varden. Se dovete mangiare, fatelo mentre marciamo.» Eragon e Murtagh si alzarono insieme, guardandolo con sospetto. «Dove sono i nostri cavalli? Posso riavere la mia spada e il mio arco?»
L’uomo calvo lo guardò con sussuego. «Le tue armi ti saranno restituite quando Ajihad lo riterrà opportuno, non prima, E i vostri cavalli vi aspettano nel tunnel. Ora venite!» Mentre l’uomo calvo si voltava per andarsene, Eragon si affrettò a chiedere: «Come sta Arya?»