L’uomo esitò. «Non lo so. I guaritori sono ancora con lei.» Uscì, accompagnato da Orik,
Uno dei guerrieri fece un cenno. «Prima tu» disse. Eragon varcò la soglia, seguito da Saphira e Murtagh. Ripercorsero il corridoio che avevano attraversato la sera prima, passando davanti alla statua dello strano pennuto. Quando raggiunsero l’enorme tunnel, di accesso alla montagna, trovarono l’uomo calvo in attesa insieme a Orik, che reggeva le redini di Tornac e Fiammabianca.
«Cavalcherete uno dietro l’altro al centro del tunnel» li istruì l’uomo calvo. «Se tentate . di filarvela da qualche parte, verrete fermati.» Quando Eragon fece per montare su Saphira, l’uomo calvo gridò:
«No! Monterai sul tuo cavallo finché non ti ordinerò altrimenti.»
Eragon si strinse nelle spalle e prese le redini di Fiammabianc. Montò in sella e guidò il cavallo davanti a Saphira. Restami vicina, nel caso che avessi bisogno di te.
Contaci, rispose lei.
Murtagh sali su Tornac, alle spalle di Saphira: L’uomo calvo studiò il gruppetto allineato, poi fece un cenno ai guerrieri, che si divisero in due ali e li circondarono, cercando di dare a Saphira più spazio possibile. Orik e l’uomo calvo si misero in testa al corteo.
Dopo avergli scoccato un’ultima occhiata, l’uomo calvo batté le mani. due volte e s’incamminò. Eragon sfiorò appena i fianchi di Fiammabianca. Il gruppo si avviò verso il cuore della montagna. Il rumore dei passi e degli zoccoli sul pavimento di pietra riecheggiava ingigantito nel tunnel deserto. Usci e cancelli interrompevano a tratti le pareti uniformi, ma erano sempre sbarrati.
Eragon osservò ammirato le straordinarie dimensioni del tunnel, scavato con incredibile perizia: le pareti, il pavimento e il soffitto erano stati levigati con impareggiabile precisione. Gli angoli alla base delle pareti erano perfettamente squadrati, e per quanto riusciva a vedere, il tunnel stesso non variava dal suo corso nemmeno di un pollice.
Via via che procedevano, l’apprensione di Eragon per rincontro con Ajihad aumentava. Il capo dei Varden era una figura misteriosa per gli abitanti dell’Impero. Era salito al potere una ventina di anni prima, e da allora aveva condotto una guerra spietata contro re Galbatorix. Nessuno sapeva da dove venisse, e nemmeno che aspetto avesse. Si favoleggiava che fosse uno stratega eccezionale e un guerriero feroce. Con una tale reputazione, Eragon era preoccupato per come sarebbero stati ricevuti. Eppure sapere che Brom.si era fidato tanto dei Varden da servirli lo aiutò a placare i suoi timori.
Vedere di nuovo Orik gli suscitò altre domande. Il tunnel era ovviamente opera dei nani: nessuno sapeva scavare con tanta abilità. Ma i nani facevano parte dei Varden o li stavano solo ospitando? E chi era il re che Orik aveva citato? Lo stesso Ajihad? Eragon capiva che i Varden erano riusciti a evitare di essere scoperti nascondendosi nel sottosuolo. Ma gli elfi dov’erano?
Per quasi un’ora l’uomo calvo li condusse lungo il tunnel, senza mai deviare né imboccare una svolta. Probabilmente abbiamo già percorso una lega, pensò Eragon. Forse ci stanno facendo attraversare tutta la montagna! Alla fine vide in lontananza un fioco bagliore rosato. Aguzzò la vista, cercando di scorgerne la fonte, ma era ancora troppo lontano. Il bagliore si fece più intenso via via che si avvicinavano.
A un tratto prese a distinguere grossi pilastri di marmo allineati lungo le pareti. Rubini e ametiste scintillavano incastonati nella pietra. Decine di lanterne pendevano dagli spazi fra i pilastri, spandendo nell’aria una fluida brillantezza. Uno squisito traforo d’oro scintillava dalla base dei pilastri come merletto liquido. Nel soffitto a volta erano intagliate teste di corvo, i becchi aperti in un muto stridio. Alla fine del corridoio erano ritagliate due colossali porte nere, con strisce d’argento che raffiguravano una corona a sette punte.
L’uomo calvo si fermò e alzò una mano. Si rivolse a Eragon. «Ora salirai sul tuo drago. Non tentare di volare via. Ci saranno delle persone a osservarti, perciò ricorda chi e che cosa sei.»
Eragon smontò da Fiammabianca e si arrampicò sul dorso di Saphira. Credo che vogliano metterci in mostra, disse lei, mentre Eragon si assestava in sella.
Lo vedremo. Quanto vorrei avere Zar’roc con me, rispose lui, stringendosi le cinghie intorno alle gambe.
Forse è meglio che non ti mostri ai Varden per la prima volta con la spada di Morzan.
Giusto. «Sono pronto» disse Eragon, drizzando le spalle.
«Bene» disse l’uomo calvo. Lui e Orik si ritirarono ai lati di Saphira, a distanza sufficiente da dare l’impressione che fosse lei a guidare il corteo. «Ora andate verso le porte, e una volta entrati, seguite il percorso. Procedete adagio.»
Pronta? chiese Eragon.
Certo. Saphira si avvicinò alle porte con studiata lentezza. Le sue squame scintillavano alla luce, proiettando miriadi di raggi colorati contro i pilastri. Eragon trasse un respiro profondo per calmarsi.
D’un tratto le porte si schiusero verso di loro, girando su cardini invisibili. Mentre lo spiraglio si allargava, raggi di sole inondarono il tunnel, investendo per primi Eragon e Saphira. Abbagliato, Eragon batté le palpebre e socchiuse gli occhi. Quando il suo sguardo si fu abituato alla luce, Eragon trattenne il fiato.
Erano dentro un enorme cratere vulcanico. Le sue pareti si restringevano verso la sommità fino a una piccola apertura frastagliata, così alta che Eragon non riuscì a valutare la distanza: forse più di dieci miglia. Un morbido fascio di luce pioveva dall’apertura, illuminando il centro del cratere, ma lasciando il resto in una soffusa penombra.
Il lato opposto del cratere grigio-azzurro in lontananza, sembrava lontano un’altra decina di miglia. Giganteschi ghiaccioli spessi centinaia di piedi e lunghi migliaia pendevano a leghe sopra di loro come pugnali scintillanti. Eragon sapeva dalla sua esperienza nella valle che nessuno, nemmeno Saphira, avrebbe potuto raggiungere quelle altezze. Più in basso, le pareti del vulcano erano coperte da scuri tappeti di muschio e licheni.
Abbassò lo sguardo e vide un ampio sentiero lastricato che partiva dalla soglia dove si trovavano. Il sentiero tagliava dritto verso il centro del cratere, dove terminava alla base di una montagna bianca come la neve, che brillava come una gemma grezza, sfavillante di mille luci colorate. Era alta meno di un decimo del cratere che torreggiava intorno e su di essa, ma il suo aspetto ridotto era ingannevole, perché doveva essere alta almeno un miglio.
Per quanto lungo, il tunnel li aveva condotti soltanto attraverso una delle pareti del cratere. Mentre Eragon osservava lo scenario a bocca aperta. Orik disse in tono solenne: «Guarda bene, umano, poiché nessun Cavaliere ha posato i suoi occhi su questi luoghi da oltre cento anni. La grandiosa vetta sotto cui ci troviamo è il Farthen Dùr, scoperto migliaia di anni fa dal progenitore della nostra stirpe, Korgan, mentre scavava in cerca di oro. E al centro sorge la nostra più sublime realizzazione:
Tronjheim, la città-montagna, costruita con il marmo più puro.» Le porte si bloccarono con un lievissimo cigolio.
Una città!
Fu allora che Eragon notò la folla. Era rimasto così sbalordito dalla visione che non si era accorto della marea di persone assiepate intorno all’ingresso del tunnel. Nani e umani fiancheggiavano il sentiero lastricato come alberi di un viale. Erano centinaia, migliaia. Ogni sguardo, ogni volto era concentrato su Eragon. E tutti tacevano.
Eragon strinse la base di una delle punte sulla nuca di Saphira. Vide bambini vestiti di piccole tuniche impolverate, uomini col volto scavato e le nocche graffiate, donne con abiti cuciti in casa, e tozzi, temprati nani che si accarezzavano la barba. Tutti avevano la stessa espressione tesa, quella di un animale ferito quando sente che il predatore è vicino e non ha vie di fuga.