«Cavolo, l’ho notato sì. E non ho nemmeno cominciato a romperti i coglioni.»
«A Nina piace.»
«Probabilmente le piacciono anche le borse di pelle, ma questo non significa che tu debba mettertene una sulla testa. Allora, dov’è questo Joseph adesso?»
«Se n’è andato. Ha duecento dollari in tasca e non penso che andrà a raccontare niente a nessuno, era già abbastanza terrorizzato. Credeva di aver visto uno spirito o qualcosa del genere.» Zandt scosse la testa, come se trovasse la cosa troppo stupida per esprimerla a parole.
Distolsi lo sguardo prima che potesse rendersi conto dell’espressione sul mio volto.
In effetti, mezz’ora dopo aver lasciato Toppenish avremmo potuto credere di essere su un altro pianeta. Forse un tempo c’era un motivo per venire fino qui, ma ora non più. Non c’erano alberi, ma solo colline spigolose, canyon poco profondi, piccoli cespugli e un’erba pallida in mezzo a quel che rimaneva della neve della settimana prima. Le rocce erano grigie e marrone uniforme e davano l’idea di un acquerello poco ispirato appeso in un ingresso qualunque. Il cielo era di un grigio ancora più cupo e le nuvole sovrastavano le colline e riempivano le valli come muschio bianco. La strada era l’unica cosa che attirava lo sguardo.
Zandt teneva gli occhi fissi sull’orologio. Dopo altri venti chilometri cominciò a guidare più lentamente e a guardare il ciglio della strada. Alla fine individuò quello che stava cercando e accostò.
«Ci siamo.»
Passò diritto sul cordolo e cominciò a discendere lungo un sentiero della cui esistenza non mi ero nemmeno accorto. Saltellammo lungo il percorso, e ci portammo ai lati di una collina fino a quando non fummo sotto il livello della strada, poi risalimmo aggirando il fianco di un picco roccioso. L’impressione che si aveva era che nessuno fosse passato di lì per molto tempo. Nel giro di un chilometro la pendenza diventò esagerata e io mi aggrappai al sedile con entrambe le mani.
Zandt si accertò che non fossimo visibili dalla strada, poi fermò il furgone. Quindi scese e io feci lo stesso. C’era un gran silenzio.
«Siamo arrivati?» chiesi guardandomi intorno.
«No, ma saremo costretti a percorrere il resto a piedi.» .
«Non sono mai stato granché come escursionista.»
«Chissà perché, ma me lo immaginavo.» Dalla giacca estrasse un oggetto che assomigliava a un personal organizer con una protuberanza sulla sommità.
«È un GPS?»
Annuì. «Voglio essere in grado di ritrovare la strada del ritorno.»
Registrò la posizione della macchina e puntò il dito in direzione dell’altura. Il paesaggio era praticamente lo stesso che avevamo avuto per tutto il pomeriggio, con la sola differenza che ora non c’era una strada. «In marcia.»
Seguimmo la parte restante della pista fino a che terminò intorno al dorso della collina e poi ci incamminammo verso il nulla. Dietro la collina ce n’era un’altra il cui lontano declivio conduceva a un canyon poco profondo. Discendemmo immersi nella nebbia e poi risalimmo dall’altro lato. Procedemmo in piano per un bel tratto. Non c’erano alberi, il terreno era duro e roccioso, e spoglio, eccetto per dei ciuffi d’erba giallognola e degli arbusti di un verde-blu pallido. Nel camminare producevamo un rumore simile a quello di qualcuno che mangi i Doritos con la bocca chiusa.
Zandt diede un calcio a una pianta. «Cos’è questa roba?»
«Salvia, credo. Anche se, a dire il vero, non ne so un cazzo della flora degli altipiani.»
«È una gran rottura di coglioni attraversarla.»
«Questo è poco ma sicuro.»
Continuammo a procedere, mentre le nuvole iniziarono ad addensarsi intorno a noi fino a che non riuscimmo più a vedere a trenta metri di distanza in tutte le direzioni. Ogni tanto Zandt consultava il suo giocattolo satellitare, ma la nostra marcia dava l’impressione di non avere alcuna destinazione. La temperatura era fredda, non pungente, ma con quel tipo di gelo costante che rende difficile ricordarlo altrimenti. Cercai di immaginarmi in che modo, nel passato, delle persone avrebbero potuto vivere in quei luoghi, ma non ci riuscii. Doveva essere stato molto tempo fa. Quel territorio dava l’impressione di non volere più che qualcuno disturbasse la sua quiete.
Dopo un bel po’ diedi un’occhiata al mio orologio: erano le quattro passate e la luce cominciava a scemare. Cominciò ad alzarsi un vento leggero e perfido. Immerso nella foschia, il sole era una moneta d’argento che appariva sfocata e sul punto di annerire.
«Lo so,» disse John ancora prima che io parlassi. «Tutto quello che ho è il segno sulla mappa. Ci siamo o siamo vicini.»
«Non siamo da nessuna parte,» dissi. «In tutta la mia vita non ho mai visto nulla che sia così in nessun posto.»
Tuttavia continuammo a camminare. La nebbia divenne più fitta, a volte come un manto grigio, ogni tanto diradandosi all’improvviso per formare una sorta di tunnel che il sole faceva risplendere dall’interno come una visione dorata. Ci ritrovammo a camminare lungo un basso crinale, con le pendici di un’altra collina che si stagliava come una duna di sabbia grigio-verde a dieci metri sulla destra; sulla sinistra incombeva il ciglio di un canyon.
L’impressione era che non stessimo facendo grandi progressi, ma non dissi niente. Non avevo nessun altro posto dove avrei potuto andare.
Alla fine fu John a fermarsi.
«Questa è una stronzata,» disse. Era incazzato. Non lo biasimavo, ma sembrava nervoso, nervosamente furioso nel profondo. Le ombre scure sotto gli occhi non erano quelle di una persona che dormiva bene la notte. Speravo che il suo contatto avesse avuto il buon senso di stare per un po’ di tempo lontano dal bar nel South Dakota.
«Il tuo aggeggio è illuminato?»
«Certo.»
«Così abbiamo ancora un po’ di tempo.» Mi rimisi in marcia.
Zandt non si mosse. «Ward, non penso ne valga la pena. Anche procedendo in linea retta siamo a quaranta minuti dalla strada, forse di più. Abbiamo fatto il giro di rutta l’area segnata sulla carta.»
Mi voltai. «Dov’era quell’uomo quando ha fatto quel segno? Dove si trovava?»
«Nel bar.» Anche solo a pochi metri di distanza, sembrava che la voce di Zandt dovesse aprirsi la strada tra la nebbia.
«Fantastico. In altre parole a una settimana e a diverse centinaia di chilometri di distanza da quando si era trovato qui. Quanto era ubriaco?»
«Ha detto che era sicuro.»
«Probabilmente è sicuro anche di riuscire a reggere l’alcool. Quando eri un poliziotto davi qualche credito alle parole di un testimone?»
«Certo che no,» ribatté seccamente. Tirò fuori il suo cellulare e lo osservò. «Nessun segnale. Ward, quaggiù siamo un bel po’ fuori dalla mappa.»
«In tutti i sensi. Ma…» Smisi di parlare mentre il mondo sembrò fare un passo di lato. «Che cazzo è quello?»
Zandt arrivò alla mia altezza e rimanemmo fianco a fianco per un momento. Poi lo vide anche lui. «Cristo santo.»
C’era un uomo che si stagliava a breve distanza da noi, abbastanza lontano perché i contorni della sua figura fossero confusi dalla nebbia. Aveva un abito grigio elegante e scarpe da ufficio che erano inadatte all’ambiente. Si riusciva a sentire il rumore della sua giacca che sbatteva per il vento. La sua postura appariva risoluta, come se sapesse dove doveva andare. In realtà, però, non si muoveva affatto.
Feci un passo in avanti e mi fermai. Allungai la mano verso la pistola, ma in un primo tempo ricominciai. Poi ci ripensai e la tirai fuori.
Allontanandoci leggermente l’uno dall’altro, ci avvicinammo all’uomo.
Sembrava vicino ai sessanta. I capelli grigi, che davano l’idea di essere stati tagliati di recente, erano appiattiti sulla testa. La faccia e le mani avevano un colore poco attraente. Avevano perso la tinta naturale di un tempo e adesso esibivano una tavolozza di colori che variava dal blu a un rosa acceso che in alcuni punti sfumava in una tonalità marrone-porpora che non riuscivo a definire. Un profondo taglio attraversava il collo dell’uomo fino a raggiungere il suo orecchio sinistro: il coltello ne aveva asportato una parte, dando all’uomo un aspetto sbilenco. Anche il labbro superiore mancava. Dal corpo proveniva anche un certo odore, ma non era insopportabile. Aveva fatto molto freddo ed era stato molto secco.