«Credo che sia chiuso, signore» disse.
Tom aprì la bocca ma si rese conto che c’era troppo da dire e nulla che avrebbe avuto un senso. Alzò le braccia, ma non in segno di resa, quanto piuttosto in una sorta di muta supplica. Stranamente, il vice sceriffo sembrò comprendere. Annuì dicendo: «Mai più», entrò in macchina e si allontanò. Tom camminò fino al motel, muovendosi a passi felpati nel mezzo della strada principale, superando il lampeggiare risoluto e meditativo di semafori che non avevano auto cui dare indicazioni.
Il mattino dopo considerò a fondo la cosa. Le sue opzioni erano limitate: non c’era un negozio di armi in città e non voleva andare a cercarne uno in macchina. E anche ammettendo che gliene avessero fatta acquistare una, le armi da fuoco, comunque, facevano sempre un po’ paura. Anche gettarsi da una rupe, supponendo che fosse riuscito a trovarne una, era da scartare. L’idea era in sé e per sé controrivoluzionaria. Dando per scontato che la sua mente fosse determinata a compiere quel gesto, c’era comunque la possibilità che il suo corpo semplicemente si ribellasse — nel qual caso avrebbe dovuto ritornare a piedi alla macchina sentendosi l’uomo più idiota del mondo. «Sì, è vero, avevo intenzione di buttarmi di sotto. No, non l’ho fatto, mi dispiace. C’era una bella vista, però. Attenzione solo a dove mettete i piedi.» Tom non aveva alcuna intenzione di finire come un qualcosa di gonfio o spiaccicato, qualcosa da trovare, fotografare e poi spedire a casa. Non voleva finire in pezzi, desiderava essere cancellato.
Una domenica, mentre stava dando l’assalto a un’insalata Reuben da Henry’s, il ristorante più accogliente della città, sentì una cosa che mise l’ultimo tassello al posto giusto. Un veterano del luogo si stava dilettando a tormentare una coppia di pensionati della tribù dei Winnebago circa la vastità e l’impenetrabilità dei boschi. L’attenzione di Tom fu attirata dalla ripetizione di un numero: settantatré. Il veterano lo ripeté un certo numero di volte in fila: settantatré.
I suoi interlocutori si guardarono annuendo come se fossero rimasti piuttosto colpiti. Quindi l’uomo si rivolse al veterano con l’aria di chi ha individuato un punto debole nelle argomentazioni di un altro.
«Grandi o piccoli?» domandò. «Gli aerei — di che dimensioni erano?»
Sua moglie annuì. Suo marito non era mica nato ieri, l’aveva sempre detto.
«Di tutte le dimensioni,» disse il vecchio bislacco, un po’ stizzosamente. «Grandi, piccoli, civili, militari. Gli aerei precipitano in continuazione — in realtà, molti di più di quelli che sono stati rinvenuti qui intorno. Quello che voglio dire è che di tutti gli aerei che sono precipitati nel Nord-ovest del Pacifico dalla guerra in poi, settantatré non sono mai stati ritrovati.»
Sarà vero?, pensò Tom.
Allontanò il suo panino, pagò il conto e andò a comprare tanto alcool quanto riuscì a trasportarne.
Non era preparato alla rapidità con cui scese l’oscurità. Più che camminare incespicava, e i muscoli delle cosce e dei polpacci stavano diventando di piombo. Aveva percorso forse solo una decina di chilometri, al massimo quindici, ma era esausto. Gli venne in mente che se avesse passato più tempo in palestra sarebbe stato in una forma fisica migliore per morire. Questo lo fece ridere fino a che la bocca non gli si riempì di saliva calda, costringendolo a fermarsi per consentirgli di respirare molto profondamente ed evitare così di vomitare.
In quel momento era ubriaco come non era mai stato. Mentre si riposava, chinandosi in avanti con le mani poggiate sulle ginocchia e osservando le macchie che danzavano davanti ai suoi occhi, valutò il da farsi. Si era già perso a sufficienza. Perdersi poteva essere quindi cancellato dall’elenco delle opzioni. Col procedere del pomeriggio il terreno era diventato più montagnoso, ripido, scivoloso e infido. Al calare della notte, sarebbe stato molto buio, proprio quel tipo di oscurità in grado di inghiottire e assordare una persona di città. Si tolse lo zaino dalle spalle e si mise a frugare all’interno alla ricerca della torcia. Quando l’accese si rese conto che non era solo la qualità della luce che stava cambiando: stava calando la nebbia e faceva anche un freddo cane. Per il momento si trattava solo di sudore che si trasformava in acqua gelida sulla pelle, ma quando fosse penetrato fino alle ossa sarebbe stato duro da sopportare. Il che significava che doveva continuare a muoversi.
Ruotò le caviglie per scaldarle un po’, fece una piccola svolta e proseguì. La foresta adesso era immersa nel silenzio più assoluto, gli uccelli si erano sfogati a sufficienza ed erano tornati ad appollaiarsi nei loro nidi. Tom non era altrettanto sicuro che gli altri animali avessero fatto lo stesso, e aveva già speso un po’ del suo tempo a non pensare agli orsi. Tom non credeva di apparire come una minaccia a qualsiasi grande mammifero gli potesse capitare di incontrare, e per di più non aveva nessun cibo per attirarli, ma forse queste erano tutte cazzate. Forse quelle bestie se ne stavano in attesa e attaccavano le persone solo per il divertimento di farlo. A ogni modo non voleva pensare al problema, quindi non lo fece. E continuò a non pensarci a intervalli regolari. La torcia aveva due impostazioni, una a luminosità piena e una a luminosità attenuata, e Tom scelse ben presto quest’ultima. Man mano che la nebbia si infittiva, la luce gli si rifletteva sempre di più in faccia dandogli le vertigini. Inoltre, la luce rendeva le ombre ancora più minacciose. Di giorno le foreste sono posti accoglienti. Ti fanno venire in mente le passeggiate domenicali, lo stormire delle foghe, la grande e calda mano di un genitore da tenere nella tua. Di notte invece si tolgono i guanti e ti ricordano per quali ragioni al buio diventi nervoso. Di notte le foreste ti dicono: «Vatti a cercare un riparo, uomo-scimmia, questo posto non fa per te.»
E così Tom rimase in uno stato di cecità causato dalla nebbia, continuando a stordirsi con la vodka e a camminare. Era sicuro che tutti gli scricchiolii e i fruscii che sentiva fossero prodotti da lui stesso. Non c’erano figure immerse nella nebbia, solo il movimento della stessa foschia — anche di questo era certo. Poteva continuare a camminare in tutta sicurezza e con appena un moderato sconforto: camminare finché non fosse totalmente buio e il tempo stesso sembrasse annullarsi, fino a che ogni pensiero non diventasse indistinguibile dal successivo, fino a che la paura non si ripiegasse su se stessa per poi espandersi di nuovo, e lui cominciasse a muoversi sempre più veloce per scappare da qualcosa che portava dentro di sé.
Non ebbe nessuna avvisaglia del precipizio. Si stava facendo strada aggredendo una lunga fila di arbusti di media altezza, e arrendendosi a un terzo attacco di violenti singhiozzi, quando tutto a un tratto il piede d’appoggio non trovò più nulla. Il suo corpo fu proiettato in avanti, impossibilitato a mantenere l’equilibrio.
Si ritrovò immediatamente a scivolare lungo un pendio ripido, con le gambe divaricate e le braccia che sbattevano ovunque. La fase di accelerazione si interruppe quando il corpo andò a sbattere contro un piccolo albero. In quella circostanza Tom perse la torcia e la bottiglia, e ruotò su un fianco per continuare a scivolare rovinando su ogni roccia che si trovava sul terreno. La discesa fu fulminea e la conclusione fu un atterraggio a faccia in giù con un colpo che gli tolse quel poco di aria che gli rimaneva nei polmoni.