Poi Connelly rallentò, senza che io ne vedessi il motivo. Stava scrutando sul lato destro della macchina. Guardai verso Nina.
«Sceriffo, è sicuro di sapere dove stiamo andando?»
«Certo,» rispose. «In effetti, siamo arrivati.»
Spense il motore e scese dall’auto. Quando sia io sia Nina fummo sul ciglio della strada, il posto in cui ci trovavamo apparve ancora più isolato. Cespugli e alberi impedivano allo sguardo di spaziare nelle diverse direzioni, e il terreno era coperto di neve immacolata. La strada scompariva del tutto circa cinquanta metri più avanti.
Phil parcheggiò proprio dietro di noi. «Capo, dove siamo?»
«Alla fine della vecchia strada di servizio,» disse. Indicò gli alberi alle mie spalle. «Vedi?»
Se si guardava attentamente si poteva scorgere a una decina di metri di distanza la sagoma di un edificio diroccato, nascosto tra gli alberi.
«Okay,» dissi. «Perché siamo qui?»
Connelly si mise il fucile a tracolla e cominciò a camminare.
«Un paio di sere fa ho parlato con Mrs. Anders,» disse. «E mi ha raccontato di non aver detto la verità quando aveva dichiarato dove aveva rinvenuto lo zaino di Mr. Kozelek. Era convinta che non fosse una persona con tutte le rotelle a posto e non voleva che ritornasse dove era stato. È lei che mi ha dato le indicazioni necessarie per trovare il posto. Se Henrickson l’ha sequestrata, come ritengo sia accaduto, allora le ha senz’altro chiesto di condurlo in quel luogo.»
«È vicino?»
«No,» rispose, lasciando la strada e dirigendosi nella foresta. Notai che c’era una zona davanti a noi dove gli alberi erano più radi e sembravano molto più giovani. La mia impressione era che si trattasse di un vecchio sentiero di boscaioli, ora ricoperto dalla vegetazione. «Non esattamente. Ma questa strada ci farà risparmiare un po’ di cammino, anche se tra un po’ si farà dura.»
Per me e Nina il cammino diventò arduo immediatamente. Non facevamo altro che salire. Dopo un’ora non c’era più alcun segno che stavamo seguendo un sentiero e io non mi ero accorto di nulla. Ora gli alberi intorno a noi erano massicci e imponenti, e il terreno era scosceso. Non sono un escursionista, come avevo detto a Zandt, e procedere era estremamente faticoso. Con la neve che ricopriva ogni cosa, era difficile capire dove si posavano i piedi. Alcune volte erano rocce, altre mettevi il piede su qualcosa che sembrava solido e improvvisamente ti ritrovavi immerso fino alle ginocchia. Cominciò a calare l’oscurità, in parte a causa delle nuvole, ma la pioggia continuava a risparmiarci. Quando eravamo usciti dalla stazione di polizia avevo sentito freddo, ma ora cominciavo a pensare che quello fosse un momento idilliaco di rigenerante benessere. C’era da meravigliarsi che Kozelek fosse rimasto vivo dopo due giorni passati in questo ambiente. Ero anche sbalordito per la tenacia dimostrata dai pionieri, che avevano saputo creare dei varchi attraverso quella natura selvaggia. Il fatto è che per noi il punto fondamentale è sempre arrivare dall’altra parte. Ma non appena voltiamo la schiena, la foresta comincia a riappropriarsi dei suoi spazi, e anche in fretta.
«Stai bene?»
«Più o meno,» risposi. Io e Nina procedevamo affiancati, un paio di metri dietro i poliziotti. «E tu?»
«Credo. Sento un freddo incredibile.»
E poi fame e stanchezza. Mi rivolsi allo sceriffo. «Siamo ancora lontani?»
«No,» rispose senza voltarsi. «Siamo più o meno a metà strada.»
«Cristo,» disse Nina sottovoce. «Io odio stare all’aperto, mi fa schifo.»
Continuammo a camminare. Raccontai a Nina qualche altra cosa che John mi aveva detto la notte precedente, e anche lei convenne sul fatto che Zandt doveva aver perso la bussola. È strano però come la prima volta che senti qualcosa ti sembra assurda, senza filo logico e poco plausibile. Poi invece, dopo che è rimasta a decantare nella tua testa per un po’, è come se gli altri tuoi pensieri si facessero da parte per lasciare un po’ di spazio a quell’idea. La teoria dell’omicidio seriale e di un agghiacciante istinto sacrificale era la più semplice da sistemare. Era buona come un’altra. Trovavo più difficile credere che la responsabilità di qualsiasi evento anomalo verificatosi nella storia del nostro paese fosse da imputare agli Uomini di Paglia. Anche se era indiscutibile che molte cose che li vedevano coinvolti li ponevano al di fuori del senso comune ai normali esseri umani.
Dopo un po’ smettemmo di parlare, fondamentalmente perché eravamo senza fiato. Anche Phil sembrava in difficoltà, e solo Connelly manteneva un passo regolare. Il rumore dei nostri scarponi sulla neve e dei nostri respiri ansimanti era forte. La. combinazione tra stanchezza, mancanza di sonno e il biancore persistente davanti ai miei occhi stava cominciando ad avere un effetto ipnotico. Ormai pensavo solo al passo successivo o alla roccia su cui posare il piede, a sentire avvallamenti o affioramenti, a respirare l’odore degli aghi di pino e a tossire nell’aria incredibilmente limpida. Il mio viso cominciava a perdere elasticità, quando lo sfregavo lo sentivo intorpidito e quando battevo le palpebre compariva un lampo di luce davanti ai miei occhi. Di tanto in tanto inciampavo, come del resto Nina.
«Stop.»
Fu Connelly a parlare, piano, con voce calma e ferma.
Io venni richiamato dal mio sogno a occhi aperti: alzai di scatto la testa e mi bloccai. «Che c’è? Siamo arrivati?»
Lo sceriffo si voltò verso di noi, ma non rispose. Lanciò semplicemente un’occhiata verso la foresta nella direzione dalla quale eravamo venuti, sulla nostra sinistra. Dopo tutto quel cammino, il silenzio era assordante e mi fischiavano le orecchie.
«Ha sentito qualcosa?» chiese Nina.
Connelly rimase in silenzio per altri venti secondi. «Nulla,» rispose alla fine. «Mi era sembrato di vedere qualcosa. Mi ero girato per vedere se eravate ancora vivi e ho creduto di scorgere un’ombra, laggiù, a circa quaranta metri.»
«Ci sono molte ombre,» dissi. «Sta diventando buio.»
«Forse,» disse, e poi guardò il suo vice. «I nostri amici conoscono un’altra persona che potrebbe essere interessata a Henrickson, e ci sono buone possibilità che sia anche lui da queste parti.»
«Ah sì?» disse Phil sospettoso. «E chi sarebbe?»
«Un ex poliziotto. L’Homo Erectus gli ha distrutto completamente la vita,» disse Nina. Fece qualche metro nella direzione indicata da Connelly, scrutando attentamente tra gli alberi. «Desidera farlo fuori almeno quanto noi.»
«Questo tizio è pericoloso?»
Annuii. «Ma non per noi, spero.»
Improvvisamente Nina urlò, cogliendoci tutti di sorpresa.
«John! John, sei tu?»
Quattro paia di occhi spalancati osservarono gli spazi tra gli alberi. Nessun movimento.
Riprovò. «John, se sei qui, unisciti a noi. Anche noi vogliamo prenderlo. Fai la cosa giusta, vieni con noi.»
Nulla. Nina scosse la testa.
«Erano solo ombre,» disse. Si accigliò e poi guardò verso il cielo. «Oh Cristo. Fantastico, ora comincia anche a nevicare.»
Aveva ragione. Piccoli fiocchi avevano cominciato a cadere.
«Avrei preferito che non lo aveste fatto,» disse Connelly. «Il suono può diffondersi fino a una notevole distanza in questo punto. Non vorrei far sapere a questo tizio che stiamo arrivando.»
«Oh, lo saprà,» disse. «Vero, Ward?»
«Sì, ed è bene che lei sappia, sceriffo, che non farebbe alcuna differenza. Lui non fuggirà né si nasconderà. Compirà quello che si è prefisso di fare.»
Il poliziotto prese il fucile dalla spalla e lo impugnò. Lo mise in posizione di tiro e mi guardò. Sebbene Connelly avesse dieci, quindici anni di meno rispetto a mio padre, c’era qualcosa nel suo sguardo che me lo ricordava: una calma approvazione e l’impressione di non sapere veramente cosa volesse dire ritirarsi.