Pensò a cosa dire dopo. Ora nevicava più intensamente, era praticamente buio e lei si trovava intrappolata nella foresta, con le mani legate, in balia di un pazzo.
Decise di non dire nulla.
Improvvisamente l’uomo si alzò.
Alzò gli occhi verso la sommità della parete della gola alle spalle di Patrice. Poi si voltò a guardare dietro di sé. La testa era piegata, la bocca socchiusa. Scavalcò il ruscello e iniziò a salire verso la sommità della parete della gola.
«Stanno arrivando.»
Non sembrava contento. Patrice non sapeva nemmeno a chi si riferisse. L’uomo si fermò per un istante, come.se volesse annusare l’aria, poi scomparve come la luna dietro le nubi.
Patrice prese in considerazione l’ipotesi di scappare, ma le sue gambe non rispondevano più, e sapeva che non c’era nessun posto dove andare. Così si raggomitolò ancora di più, chiuse gli occhi e pensò a Verona.
Capitolo ventinove
Questa volta lo sentimmo tutti.
Un rumore improvviso, non vicino. Fu abbastanza acuto da coprire le raffiche di vento e il suono del respiro caldo e affannoso che risuonava nella mia testa. Connelly si voltò rapidamente.
«A terra.»
Nina mi mise una mano sulla schiena e spinse. Scivolammo di lato restando curvi. Cercammo di correre, ma finimmo per ritrovarci impantanati in mezzo alla neve alta. Ci separammo, riparandoci dietro due alberi vicino a una roccia sporgente di quasi due metri. Avevamo le pistole in pugno.
Osservammo Connelly e il suo vice che arretravano verso di noi, tenendo i fucili puntati. La voce di Phil era bassa e un po’ esitante, ma i suoi passi erano precisi e ravvicinati. «Riesce a vederlo?»
Connelly scosse la testa. Mosse il fucile disegnando un arco di circa trenta gradi.
Giunsero dalla nostra parte della sporgenza rocciosa. Quando furono in posizione guardai dietro di noi. Non è sempre facile capire da dove provenga il suono in una foresta e avevo visto molti film. Non riuscivo a distinguere granché. Il terreno saliva nell’oscurità, c’erano rocce, alberi, cespugli e neve. I contrasti rendevano il tutto simile a un quadro di Escher dove diverse interpretazioni si alternano davanti ai nostri occhi per poi confluire in una nebulosa incomprensibilità. Non riuscivo a vedere nulla in movimento.
Guardai di nuovo davanti a noi. Anche lì non si muoveva nulla, a parte la neve. Tutti continuavamo a guardarci intorno, occhi e orecchie ben aperti. I secondi passavano.
La tensione che sentivo nelle gambe cominciò ad allentarsi. La mia mano destra, priva di guanto, era ormai un’appendice fredda e inutilizzabile. Passai la pistola nella sinistra e sfregai la destra sotto l’ascella, facendo una smorfia quando il dolore alla spalla si fece sentire per il movimento brusco. Quando riportai la pistola nella mano destra mi sentii meglio, anche se avevo l’impressione che il pesante metallo stesse fondendosi con essa in un unico pezzo di ghiaccio.
«Non è John,» dissi. «Ne sono certo.»
«No. Ormai siamo vicini. È l’Homo Erectus.»
«Cosa facciamo?» bisbigliò Phil.
«Continuiamo,» disse Connelly. Un piccolo aggeggio nascosto nel palmo della mano si materializzò. Mi domandavo come facesse a sapere la nostra posizione al buio. Premette un pulsante e un piccolo schermo si illuminò per un istante, poi si spense. «Deve essere tre-quattrocento metri più avanti.»
«Deve avere sentito il nostro arrivo.»
«Siamo quattro contro uno,» disse Nina. «Non ci affronterà apertamente. Aspetterà che ci separiamo — o che facciamo un passo falso. Allora ci farà fuori uno alla volta.»
Connelly annuì. «Quindi come volete procedere?»
«Rimaniamo vicini. Crede che sia proprio di fronte a noi?»
«Praticamente.»
«Allora dirigiamoci da questa parte, saliamo sulla sinistra e avviciniamoci di lato. Dove siamo diretti esattamente?»
«È una gola. Ci siamo arrivati dalla sua sommità. Il terreno è più accessibile a nord, dove ci troviamo, mentre dall’altra parte è più scosceso. Gli argini si livellano sulla destra mentre diventano più alti sulla sinistra.»
Nina mi guardò. «Che ne pensi di girare sulla destra e arrivare dal lato a monte?»
«Mi sembra una buona idea.»
«Allora andiamo.»
Adesso procedevamo ancora più lentamente e respirando in silenzio. Tutt’a un tratto avevo cominciato a osservare ogni pezzo di legno che spuntava dalla neve, assicurandomi di non passarvi troppo vicino. Ci muovevamo tutti insieme disposti in una sorta di quadrato di lato inferiore ai due metri e ognuno teneva sotto controllo il proprio quadrante.
Connelly ci fece avanzare lungo il lato sinistro. Il terreno cominciò a salire rapidamente, formando un crinale scosceso, e dovetti usare la mano libera per tenermi alle rocce mentre ci inerpicavamo. Ero stanco morto e avevo la testa sempre più confusa. Il mio piede scivolò sulla roccia bagnata e sbattei con il ginocchio, ma me ne accorsi appena perché avevo dolori un po’ ovunque. Quando arrivammo in cima mi voltai protendendomi per aiutare Nina a issarsi.
Il suolo della foresta declinava da ambo i lati, come se stessimo camminando sulla spina dorsale di un animale enorme.
Scivolammo tra gli alberi, rimanendo accovacciati e respirando lentamente.
Improvvisamente, dalle profondità della foresta sotto di noi salì un vento minaccioso che portò con sé un gelo simile a un chiodo piantato in un orecchio e che agitò i rami intorno a noi.
«Gesù,» bisbigliò Nina.
Il rumore proseguì, un turbinio diffuso accompagnato da un gelido ululato. Sembrava una forza difficile da contrastare e per farlo uno di noi, o più d’uno, si raddrizzò leggermente. Di quel tanto che bastava.
Si udì un crack sordo e un lamento. Vidi Connelly voltarsi di scatto e cadere sulla schiena.
«Oh cazzo, capo, no…»
Mi resi vagamente conto di Nina e Phil che si muovevano rapidamente intorno a me, cercando riparo tra gli alberi. Mi buttai a terra e strisciai fino allo sceriffo.
Il viso di Connelly era teso. «Sto bene,» disse.
Aprii la sua giacca e vidi una macchia scura che si allargava sul lato sinistro del petto, in basso. Misi la sua mano sulla ferita e la premetti forte. Il respiro di Connelly era profondo e regolare. Quell’uomo aveva la pelle dura.
Guardai davanti a me e vidi Nina accovacciata a tre metri di distanza, con le braccia tese e la pistola puntata nella direzione dalla quale eravamo venuti. Il vicesceriffo si abbassò tenendo la schiena contro un albero. Il vento stava trasformandosi in un ruggito regolare.
«Phil, vieni qui,» dissi. Non appena si alzò si sentirono altri due spari. «Stai giù!» Si buttò in avanti e strisciò rapidamente fino a me. Nina sparò nella direzione da cui erano provenuti i colpi.
«Merda, capo,» disse Phil quando vide il sangue.
«Rimani con lui,» gli dissi.
Raggiunsi Nina. «Lo vedi?»
Lei scosse la testa. «È troppo buio. Forse ci stava seguendo da mezz’ora, in attesa del momento giusto.»
«Stando alla direzione dalla quale è stato colpito Connelly il colpo doveva provenire da quella direzione,» dissi indicando un punto in basso a destra. «Sta cercando di prenderci alle spalle.» Guardai la roccia. «Voglio provare a risalire da questo lato e scendere dall’altro, per cercare di prenderlo di sorpresa. Se vedi qualcosa muoversi, spara.»