Si mise immediatamente seduta. Poi, dopo aver ruotato sul fianco, cominciò ad avanzare carponi ancora prima di rendersi conto di dove si trovava, guardando in tutte le direzioni alla ricerca della pistola.
Si accorse di essere in un posto buio e roccioso, e che l’acqua era molto più vicina, adesso.
Ma dov’era la pistola?
Sperava che non fosse rimasta incastrata in alto, in qualche fessura o radice. Ne aveva bisogno più di ogni altra cosa.
Avanzò a tentoni, tastando il terreno con le mani. Si sentiva ancora sottosopra per la caduta e non riusciva a collocarsi fisicamente da qualche parte. Sotto le mani sentiva ghiaia fredda, bagnata, appuntita. Nel buio era difficile distinguere cosa c’era più avanti: altra oscurità o una parete di roccia?
Improvvisamente udì qualcosa di simile a un gemito provenire dal lato destro. Non sembrava molto vicino e da quella parte non riusciva a vedere nulla. Questo gemito non è un buon segno, a meno che non si tratti di lui. A meno che Phil non l’abbia colpito. O a meno che non si tratti semplicemente del vento. Se non è il vento, né l’Homo Erectus, allora non è niente di buono.
Era poi così sicura che fosse la direzione in cui era andato Phil? E se si fosse trattato di Ward? Era vicina alla gola? Era questa?
Dov’era la pistola? Dove cazzo era quella pistola di merda?
Vide qualcosa di bianco davanti a sé, ma non si trattava di neve. Guardò più attentamente e vide che si trattava di una donna anziana raggomitolata dentro un grande cappotto. Era seduta sull’altra sponda di un torrente, e teneva la schiena addossata a una roccia.
La donna stava fissando Nina con gli occhi sbarrati, senza battere le palpebre, né produrre il minimo suono. Aveva la testa e le spalle coperte di neve; era simile a una statua nascosta in un cimitero abbandonato, lontano dai sentieri battuti.
La sagoma e la posizione della donna diedero finalmente a Nina un punto di riferimento visivo, un mezzo per capire dove si trovava. Era vicina al fondo di una gola — della gola — dalle pareti scoscese, ma con un fondo abbastanza pianeggiante, largo circa quattro metri e mezzo, che si stringeva rapidamente da ambo i lati.
Cercò di fissare l’immagine nella sua mente e ricominciò a cercare la pistola, sforzandosi di farlo lentamente, come se non fosse stato molto importante, come se avesse perso un orecchino sulla spiaggia di Malibu, il taxi dovesse arrivare solo dopo un quarto d’ora e l’interrogativo fondamentale della serata fosse se prendere un antipasto oppure degli stuzzichini o semplicemente un buon bicchiere di vino.
Eccola. Grazie a Dio.
Nina avanzò carponi fino al ruscello e tirò fuori la pistola dall’acqua bassa. La scosse, cambiò il caricatore. Poi corse fino all’altra sponda e si accovacciò vicino alla donna. Parlò molto piano cercando di controllare il respiro, di mantenerlo regolare.
«Lei è Patrice Anders?»
La donna continuò a fissarla. Aveva del ghiaccio tra le ciglia. Era a un passo dal congelamento. La sua testa sembrò muoversi impercettibilmente. Era forse un cenno?
Nina la scosse gentilmente per le spalle. «Signora?»
«Sì,» rispose lei a voce alta.
«Shh. C’è qualcuno con lei? Lui è ancora qui?»
Stavolta la vecchia rispose più piano: «È qui da qualche parte.»
«Chi? Quel Tom o Henrickson?»
«Lui. Ma quello non è il suo vero nome.»
«Veramente sì.» Nina si mise accanto alla donna e guardò nella stessa direzione. Non vide nulla se non le pareti rocciose sopra il corso d’acqua che si innalzavano leggermente sul lato sinistro.
Poi sentì di nuovo un gemito.
«Non si muova,» disse. In quel momento si accorse del motivo per cui la posizione della donna sembrava così assurda. Aveva le mani legate dietro la schiena. Armeggiò intorno al nodo con le dita intorpidite. La corda era congelata e ci volle un’eternità per disfare i nodi. Una volta slegata, la donna portò le mani sul davanti molto lentamente, come se avesse paura che le braccia le cadessero a pezzi.
«Resti ancora immobile,» disse Nina.
Passò attorno ai cespugli e procedette lungo il fianco della gola restando accovacciata. Non avrebbe mai più lasciato la pistola, ma con una mano sola per mantenersi in equilibrio continuava a scivolare sulla roccia bagnata. Si aggrappava ai rami, cercando di trascinarsi in avanti, e anche se la cosa funzionava, Nina si rendeva conto di avanzare molto lentamente. Piccoli rivoli d’acqua le ghiacciarono le mani. Impiegò un tempo lunghissimo per percorrere quindici, venti metri controcorrente, e ogni passo era una brutta esperienza.
Sperò che Ward fosse in arrivo. Se lo augurava veramente.
Più avanti le pareti erano alte poco meno di due metri. Riuscì a vedere che c’era qualcuno sdraiato sul fondo.
Era Phil.
Era vivo ma si stringeva una coscia con ambo le mani, contorcendosi lentamente. Stava cercando disperatamente di non fare rumore, gli occhi spalancati per il dolore, ma quando la vide gli scappò un altro gemito.
«Mi ha sparato,» disse come tossendo. «Henrickson ha preso il mio fucile.» Con uno scatto della testa indicò la direzione dalla quale lei era arrivata, lungo il letto del torrente.
Nina invece guardò dietro il vicesceriffo, controllando la sommità delle pareti della gola. Il fatto che lui fosse andato nella direzione indicata da Phil non significava nulla. Poteva anche essere già tornato di nuovo sopra la gola.
Oppure… Valutò rapidamente l’idea di risalire il fiume, cercando di arrampicarsi su una delle pareti per trovare un punto in alto dove appostarsi, e augurarsi al tempo stesso che l’Homo Erectus tornasse giù di sotto. In questo modo sarebbe diventato lui il pesce in trappola al posto suo.
Ma Nina sapeva che non sarebbe stata in grado di arrampicarsi tenendo la pistola in mano, e inoltre la sua schiena sarebbe stata un bersaglio ideale per qualcuno in grado di uccidere.
«Premi sempre sulla ferita,» disse e tornò indietro.
Si tenne lontana dalle pareti questa volta e camminò proprio in mezzo al torrente, immersa fino alle ginocchia in un’acqua incredibilmente fredda. Fredda e rumorosa, impetuosa e gorgogliante, e in aggiunta un vento che ululava e la neve che continuava a cadere senza sosta. Si sarebbe detto che volesse continuare a scendere fino a ricoprire ogni cosa per l’eternità.
Non poteva voltarsi e guardarsi intorno, perché i ciottoli e le rocce erano troppo instabili sotto i suoi piedi. Quindi proseguì tenendosi nel centro, scrutando davanti a sé, cercando di non perdere di vista la Anders, così da capire di quanto si era allontanata dal punto da cui era partita. Pensò di urlare, contando sul fatto che Ward avrebbe potuto sentirla, ma l’Homo Erectus poteva essere molto più vicino e si rese conto che quell’idea dello «spara e urla» era stata molto stupida e si pentì di essere stata lei ad averla suggerita.
Non riusciva ancora a vedere la donna, e questo la spaventò facendole aumentare il passo.
Poi, con l’angolo dell’occhio, vide una figura in piedi sulla parete sinistra della gola. Le bastò una frazione di secondo per rendersi conto che l’uomo aveva un fucile sulla spalla e che quindi non poteva essere Ward. Con una rapidità tale da impedire il coinvolgimento della parte razionale di se stessa, ruotò il busto, alzò le braccia e sparò — tre volte.
I primi due colpi esplosero come applausi, l’ultimo fece un suono secco: la figura scivolò e cadde lungo la parete della gola.
Corse in mezzo all’acqua, dimenticandosi del freddo e di qualsiasi altra cosa che non fosse l’uomo di fronte a lei. Tenne la pistola puntata avvicinandosi sempre di più, fino a che non fu a tre metri di distanza.
Un solo colpo non basta mai. Doveva sparargli di nuovo.
Il dito sul grilletto stava per scattare quando l’uomo si tirò su e mostrò il suo volto.