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Charlie annuì. — E che cosa ne hanno dedotto?

— Sono perplessi. Quanto alla prima volta, non ci capiscono molto e sono propensi a lasciar perdere. La seconda… Be’, insistono che tu devi, in qualche modo, esserti somministrato quell’etere.

— Ma perché? Perché uno dovrebbe somministrarsi dell’etere?

— Nessuno, che fosse sano di mente, lo farebbe. È questo il punto: mettono in dubbio la tua sanità mentale proprio perché credono che tu lo abbia fatto. Se riesci a convincerli di essere a posto, allora… Ecco, devi farti animo. Altrimenti diagnosticheranno il tuo comportamento come uno stato depressivo acuto; con il che siamo a un passo dallo “stato maniaco depressivo”. Capisci? devi avere l’aria allegra.

— Allegra? Quando dovevo sposarmi oggi, alle due? A proposito, che ore sono, adesso?

Pete sbirciò il suo orologio da polso e disse: — Oh… non ci pensare. Certo, se ti chiedono perché, mentalmente, ti senti in modo schifoso, di’ loro…

— Maledizione, Pete. Vorrei essere pazzo. Essere pazzo, almeno, ha un senso. E se questa storia continua, andrò…

— Non parlare così. Devi lottare.

— Già, — disse Charlie, languidamente. — Lottare contro che?

Un leggero colpo di nocche alla porta, poi l’infermiera guardò nella stanza. — Signor Johnson, è ora. Deve andarsene.

XIV

Inazione. È l’inutilità di congegnare una serie di ipotesi ricorrenti che non portavano a niente. Insomma, doveva fare qualcosa; altrimenti impazzire.

Vestirsi? Richiese i suoi vestiti e li ottenne; soltanto che, al posto delle scarpe, gli diedero le pantofole. Vestirsi, comunque, gli prese un certo tempo.

E star seduto su una sedia fu un cambiamento rispetto allo star sdraiato nel letto. Come camminare avanti e indietro fu un cambiamento rispetto allo star seduto sulla sedia.

— Che ore sono?

— Le sette in punto, signor Wills.

Le sette. Sarebbe stato sposato da cinque ore, ormai.

Sposato con Jane: la bellissima, splendida, dolce, affettuosa, comprensiva, tenera — tutta da baciare e da amare — Jane Pemberton che — cinque ore prima di quel preciso momento — sarebbe dovuta diventare Jane Wills.

Mai più.

A meno che…

Il problema.

Risolvilo.

Altrimenti impazzire.

Perché un verme dovrebbe avere un’aureola?

— C’è il dottor Palmer, che è venuto a vederla, signor Wills. Devo…

— Ciao, Charles. Sono arrivato appena mi è stato possibile, dopo aver saputo che eri uscito dal… coma. Trattenuto da un atto di decesso. Come ti senti?

Si sentiva orribilmente.

Pronto a gridare, a strappare la tappezzeria dalle pareti (soltanto che le pareti erano pitturate di bianco e non avevano tappezzeria). E a gridare, gridare…

— Mi sento bene, dottore, — disse Charlie.

— Successo niente di… strano, da quando sei qui?

— Proprio niente. Ma, dottore, come spiegherebbe…

Il dottor Palmer spiegò. Spiegano sempre, i dottori. L’aria crepitava di parole come psiconeurotico, auto-ipnosi, traumatico.

Finalmente Charlie fu di nuovo solo. Era persino riuscito a salutare il dottor Palmer senza urlare e senza ridurlo a pezzetti.

— Che ore sono?

— Le otto.

Sposato da sei ore. Perché un’anitra? Risolvilo.

Altrimenti impazzire.

Che cosa sarebbe successo la prossima volta? — Questa faccenda mi perseguiterà di sicuro per tutta la vita e la fossa dei serpenti finirà coll’essere la mia stabile dimora.

Le otto.

Sposato da sei ore.

Perché una lei? Perché etere? Perché calore?

Che avevano in comune? E perché proprio un’anitra?

Di che cosa si sarebbe trattato la prossima volta? Quando sarebbe stata la prossima volta? Ecco, forse riusciva a indovinarlo. Quante cose gli erano capitate fino a quel momento? Cinque, se si metteva nel numero anche la palla da golf andata persa. A quanta distanza l’una dall’altra? Vediamo…: domenica mattina — quando era andato a pescare — il lombrico; martedì, il collasso per calore; giovedì a mezzogiorno — il suo penultimo giorno di lavoro — l’anitra al museo; sabato, la partita di golf e la lei; lunedì, l’etere…

Due giorni di distanza.

Periodicità?

Aveva continuato ad andare su e giù per la stanza; poi, con un gesto deciso, si tastò in tasca, trovò matita e taccuino e si mise a sedere sulla sedia.

Poteva trattarsi di… una periodicità esatta?

Scrisse la parola “lombrico”, poi s’interruppe per pensare. Pete doveva passare a prenderlo per andare a pesca alle 5,15: lui era sceso proprio a quell’ora ed era andato dritto all’aiuola per scavare… Sì, le 5,15 del mattino. Lo annotò.

“Calore”. Ehm, si trovava a un isolato dall’ufficio, dove avrebbe dovuto essere alle 8,30, quando, nell’oltrepassare l’orologio all’angolo, si era reso conto di avere ancora cinque minuti di tempo per arrivarci. Ma poi aveva visto il carrettiere e… Annotò “8,25”. Poi fece il conto.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Vediamo, che cosa veniva subìto dopo? L’anitra al museo. Anche in questo caso era in grado di calcolare i tempi piuttosto bene. Il vecchio Hapworth gli aveva detto di andare a mangiare presto; lui era uscito dall’ufficio alle… 11,25; c’erano voluti, diciamo, dieci minuti per percorrere l’isolato fino al museo e per arrivare, giù per il corridoio centrale, alla stanza delle monete… Diciamo, dunque, 11,35.

Sottrasse questo numero dal precedente.

E fischiò.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

La lei? Ehm… avevano lasciato gli spogliatoi del circolo alle 13,30. Calcolando, approssimativamente, un’ora e un quarto per le prime tredici buche, e… Be’, diciamo tra le 14,30 e le 15. Stabiliamo, come tempo medio, le 14,45; che era una buona approssimazione. Sottraendo:

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Periodicità.

Volle sottrarre l’ora esatta della volta successiva — prima… Il quarto episodio doveva essere successo alle 17,55 del lunedì. Se…

Ma certo, mancavano esattamente cinque minuti alle sei quando aveva oltrepassato la soglia della gioielleria ed era stato anestetizzato.

Esattamente.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

Periodicità.

PERIODICITÀ.

Trovata una relazione, finalmente. Ecco la prova che quegli avvenimenti pazzeschi appartenevano tutti allo stesso genere. Ogni… cinquantun’ore e dieci minuti gli accadeva qualche cosa di pazzesco.

Ma perché?

Sporse la testa fuori nel corridoio.

— Infermiera, INFERMIERA. Che ore sono?

— Le otto e mezzo, signor Wills. Niente che possa portarle?

Sì. No. Champagne. O una camicia di forza. Quale dei due?

L’aveva risolto, il problema. Ma la risposta non aveva più senso del problema stesso. Ancor meno, se mai. E oggi…

Fece un rapido calcolo.

Fra trentacinque minuti.

Fra trentacinque minuti gli sarebbe successo qualche cosa!

Un qualche cosa come un lombrico volante, o un’anitra starnazzante che soffocava in una bacheca ermeticamente chiusa, o…

O forse, di nuovo, qualche cosa di pericoloso? Calore bruciante, anestesia improvvisa…

Forse qualcosa di peggio?

Un cobra, un unicorno, un diavolo, un lupo mannaro, un vampiro, un mostro senza nome?

Alle 9,05. Fra mezz’ora.

Ad un’improvvisa folata di vento dalla finestra aperta senti freddo alla fronte. Perché era madida di sudore.