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Fra mezz’ora.

XV

Cammina su e giù — quattro passi avanti, quattro passi indietro. Pensa, pensa, PENSA.

Ne hai risolto una parte, del problema; ma la parte restante, in che cosa consiste? Impossessatene, o sarà quella a impossessarsi di te.

Periodicità; cioè, una parte del problema. Ogni due giorni, tre ore, dieci minuti…

Accade qualcosa.

Perché?

Che cosa?

Come?

Sono in stretta relazione, queste cose, fanno parte di uno schema; hanno un senso, in qualche modo, altrimenti non sarebbero scaglionate nel tempo a intervalli regolari.

Mettile in relazione: lombrico, calore, anitra, lei, etere…

O diventare matto.

Matto. Matto. MATTO.

Mettile in relazione: le anitre mangiano i lombrichi, vero? Ci vuole il calore per far crescere i fiori con cui si fanno le lei. Poteva anche darsi che i lombrichi mangiassero i fiori, per quanto ne sapeva lui. Ma che cosa hanno da spartire i lombrichi con le lei; che cosa è l’etere per un’anitra? L’anitra è un animale, la lei un vegetale, il calore una vibrazione, l’etere un gas, il verme… che cosa diavolo è un verme? E perché poi un verme che vola? Perché l’anitra era dentro la bacheca? Che cosa pensare di quella moneta cinese con il buco che era andata persa? Somma o sottrai la palla da golf, e se consideri x uguale ad una aureola e y uguale ad un’ala, allora x più 2y più 1 lombrico uguale a…

Fuori, da qualche parte, nell’oscurità incipiente, un orologio batteva le ore.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove…

Le nove.

Cinque minuti, ancora.

Fra cinque minuti sarebbe successo di nuovo qualcosa.

Cobra, unicorno, diavolo, lupo mannaro, vampiro. O qualche cosa di freddo, viscido, senza nome.

Qualsiasi cosa.

Cammina su e giù, quattro passi avanti, quattro passi indietro.

Pensa, PENSA.

Jane perduta per sempre. Amatissima Jane, nelle cui braccia era ogni felicità. Jane, tesoro, non sono matto; peggio che se fossi matto. Sono…

Che ora è?

Devono essere le nove e due minuti. Tre.

Che cosa arriverà? Cobra, diavolo, lupo mannaro…

Che cosa sarà questa volta?

Alle nove e cinque minuti… CHE COSA?

Dovevano essere le nove e quattro, adesso; sì, erano passati almeno quattro minuti, forse quattro e mezzo…

Urlò, tutto ad un tratto. Non riusciva a sopportare l’attesa.

Il problema non poteva essere risolto. Ma lui doveva trovare la soluzione.

O diventare matto.

MATTO.

Matto doveva esserlo già. Matto, a sopportare di vivere, cercando di lottare contro qualcosa contro cui non si poteva lottare, cercando di sconfiggere ciò che non poteva essere sconfitto. Battendo la testa contro…

Stava correndo, adesso, fuori dalla porta, giù per il corridoio.

Forse, se si spicciava, sarebbe riuscito ad ammazzarsi prima delle nove e cinque. Non avrebbe mai dovuto sapere. MORIRE, MORIRE, FARLA FINITA. ERA QUELLO L’UNICO MODO PER SPUNTARLA IN QUEL GIOCO.

Un coltello.

Doveva esserci un coltello da qualche parte. Un bisturi è un coltello.

Giù per il corridoio. La voce di un’infermiera, alle sue spalle, che grida. Rumore di passi.

Scappa. Ma dove? In un posto qualsiasi.

Neanche un minuto intero doveva essere rimasto. Secondi, forse.

Forse erano le nove e cinque, adesso. Spicciati!

Una porta con la scritta “Servizi”… La spalancò, di botto.

Ripiani per la biancheria. Strofinacci, scope. Non ci si può uccidere con uno strofinaccio o una scopa. Ci si può soffocare con la biancheria, ma non certo in meno di un minuto e con dottori e assistenti in arrivo.

Camici. Un secchio. Dar la buonanotte al secchio, morire, sì, ma come? Ah. Sullo scaffale là in alto…

Una scatola di cartone già aperta con la scritta “liscivia”.

Doloroso? Sicuro, ma non sarebbe durato a lungo. Falla finita. La scatola con l’angolo già aperto nella mano, il contenuto pronto per essere rovesciato in bocca.

Ma non si trattò di polvere caustica bianca. Tutto quello che venne fuori dalla scatola di cartone fu una monetina di rame. Se la tolse di bocca e rimase a fissarla con occhi annebbiati.

Erano le nove e cinque, allora; e dalla scatola di liscivia era uscita una piccola moneta di rame straniera. No, non era l’haikwan tael cinese scomparso dalla bacheca del museo; che era d’argento e aveva un buco nel mezzo. Su questa inoltre la legenda non era in cinese; gli sembrava piuttosto in rumeno, se ben ricordava le monete della sua collezione.

Poi mani robuste lo afferrarono per le braccia e lo riportarono nella sua stanza, dove qualcuno gli parlò pacatamente, a lungo.

Finché Charlie si addormentò.

XVI

Si svegliò, la mattina del giovedì, da un sonno senza sogni, straordinariamente riposato e, stranamente, allegrissimo.

Con tutta probabilità proprio perché in quella spaventosa attesa di trentacinque minuti sperimentata la sera prima aveva toccato il fondo. E ne era rimbalzato via.

Probabilmente uno psichiatra avrebbe spiegato il fenomeno dicendo che Charlie Wills, sopraffatto da una grande emozione, aveva subìto una lesione temporanea ed era caduto in uno stato di pseudoalienazione maniaco-depressiva. Ma agli psichiatri piace complicare le cose semplici.

Il fatto era che, per alcuni minuti, il povero ragazzo aveva perso il bene dell’intelletto.

Poi l’assurdo anticlimax creato dalla monetina di rame aveva costituito il punto di svolta: ti aspetti qualche cosa di orribile, di innominabile… e ti trovi con una monetina di rame. Un trattamento profilattico, in pratica — se dentro di te hai la stoffa per riderne.

E Charlie aveva riso, la notte scorsa. Probabilmente era quello il motivo per cui la sua stanza, alla mattina, gli sembrò essere un’altra stanza. La finestra si apriva in una parete diversa ed era munita di sbarre. Spesso gli psichiatri danno un’interpretazione sbagliata a ciò che è senso dell’umorismo.

Quella mattina, comunque, Charlie si sentiva sufficientemente allegro per trascurare le implicazioni logiche delle finestre sbarrate. Era spuntato un nuovo giorno, luminoso, con il sole che fluiva attraverso le sbarre; un altro giorno; lui era ancora vivo e gli si offriva un’altra possibilità.

Sapeva — ed era la cosa più importante — di non essere pazzo.

A meno che…

Si guardò intorno: eccoli lì i suoi vestiti, appesi allo schienale di una sedia. Si tirò su a sedere, mise le gambe fuori dal letto e allungò la mano verso la tasca della giacca. Voleva vedere se la moneta era ancora dove l’aveva messa quando l’avevano acciuffato.

C’era.

Allora…

Si vestì lentamente, soprappensiero.

Adesso, alla luce del sole, cominciò a pensare che il problema poteva essere risolto. Sei — ce n’erano sei, ora — sei vicende pazzesche; che erano, però, senz’altro in relazione tra loro. Lo provava la periodicità.

Due giorni, tre ore, dieci minuti.

E poi, qualunque fosse la risposta, non era ostile, il fenomeno. Impersonale, piuttosto. Se avesse voluto uccidere, ne aveva avuto la possibilità la notte scorsa; sarebbe bastato escogitare qualcosa di diverso dalla liscivia nel pacchetto. C’era della liscivia nella scatola quando l’aveva presa in mano; lo poteva affermare dal peso. Ma poi erano scoccate le nove e cinque e al posto della liscivia c’era stata una monetina di rame.

Neanche amico, era però il fenomeno; altrimenti non l’avrebbe sottoposto al calore e all’anestesia. Doveva essere qualcosa di impersonale.