Dopotutto era stato lui, Charlie, con ogni probabilità, a far perdere l’uso della ragione al pover’uomo, spaventandolo con la minaccia di ripetere la sua impresa in un sarcofago anziché in una bacheca. E il custode doveva poi aver raccontato una storia tanto incoerente da non essere creduto.
Ma… era stata davvero colpa sua? Glielo doveva proprio…? Ed eccolo di nuovo a sbattere la testa contro il muro dell’impossibilità. A cercare di risolvere l’irresolubile.
Capì, d’un tratto, di essere stato un debole a non rompere il fidanzamento con Jane. Quello che per tre volte era successo nel breve spazio di una settimana sarebbe potuto succedere di nuovo, anche fin troppo facilmente.
Buon Dio! Persino alla cerimonia. Supponiamo che, cercando l’anello, tirasse fuori un…
Meno di un isolato: tale si era rivelata la distanza che separava le nuvole color di rosa della beatitudine dal nero pantano della disperazione.
Stava quasi per ritornare dai Pemberton, a raccontar tutto quella sera stessa. Poi decise di non farlo. Si sarebbe fermato, piuttosto, a casa di Pete Johnson per parlare con lui.
Forse Pete…
Ciò che in realtà sperava era che Pete lo convincesse, a furia di ragionamenti, a desistere dal suo proposito.
VIII
Pete Johnson aveva davanti una caraffa da un gallone, quasi piena di vino. Uno sherry piuttosto generoso; almeno quanto Pete, che già lo aveva assaggiato.
L’amico rifiutò di ascoltare Charlie fino a quando il suo ospite, bevuto un bicchiere, non ne ebbe un altro davanti a sé sul tavolo. Solo allora disse: — Tu hai qualche cosa per la testa. Bene, sputa.
— Stammi a sentire, Pete. Ti ho detto di quella faccenda del lombrico. A dir la verità tu eri praticamente sul posto quando è successo. E sei al corrente di quanto mi è capitato martedì mattina, mentre stavo andando a lavorare. Ma ieri… be’, quello che è successo ieri è più grave, immagino. Perché l’ha visto un altro tizio. Si tratta di un’anitra.
— Un’anitra?
— Un’anitra in una bacheca al… Aspetta, comincio dal principio. — Incominciò e Pete lo stette a sentire.
— Be’, — disse poi pensieroso, — il fatto che il giornale ne parlasse invalida una delle teorie. Per fortuna. Senti, non vedo proprio di che cosa ti vai preoccupando. Per caso, di una mosca non fai un elefante?
Charlie bevve un altro sorso di sherry, accese una sigaretta e disse speranzoso: — Come?
— Be’, sono successe tre cose, pazzesche. Ma se tu, di queste tre, ne prendi una qualsiasi, da sola, l’elefante si ridurrà a un moscerino, non ti pare? Ognuna di esse può essere spiegata. È a startene lì seduto, insistendo nel volere una spiegazione generale valida per tutte e tre, che rimani impantanato. Come fai a sapere che esiste una qualche connessione fra loro? Considerale separatamente…
— Considerale tu, — suggerì Charlie, — se credi di poter riuscire a spiegarle con tanta facilità.
— Semplicissimo, nel primo caso. Uno sconvolgimento di stomaco, o qualcosa del genere, e tu hai un’allucinazione, pura e semplice. Capita anche alla gente per bene, di tanto in tanto. Oppure c’è un’altra possibilità, altrettanto semplice… Forse hai visto una nuova specie di insetto. Diavolo, con tutta probabilità ci sono migliaia d’insetti che ancora non sono stati classificati. Ogni anno se ne aggiungono dei nuovi, all’elenco.
— Uhm, — bofonchiò Charlie. — E la faccenda del calore?
— Be’, non sanno tutto, i dottori. Hai dato fuori di matto alla vista di quel carrettiere che picchiava il cavallo. E la rabbia ha un effetto fisico, lo sai. Si è mossa una rotella, dentro di te, in qualche parte. Forse è andata a colpire la ghiandola termodermica.
— Che cos’è una ghiandola termodermica?
Pete sogghignò. — Me la sono appena inventata. E perché no? I medici ne scoprono continuamente di nuove, o trovano il modo di assegnare nuove funzioni alle vecchie. E poi, c’è qualcosa nel corpo che funziona da termostato, mantenendo costante la temperatura cutanea. Forse questo qualcosa si è guastato, per un minuto. Guarda che cosa può fare, per te o contro di te, la ghiandola pituitaria. Per non parlare della tiroide, della pineale, della surrenale, eccetera. È cosi, Charlie. Bevi ancora un po’ di vino. Adesso, esaminiamo la faccenda dell’anitra. Se ci pensi, senza considerare anche le altre due cose, non ci troverai niente di sconvolgente. Non ho dubbi: non è stato che un tiro mancino fatto al museo, forse da qualcuno che lavora lì dentro. È comunque una coincidenza che tu ci sia incappato dentro.
— Ma la bacheca…
— Accidenti alla bacheca! Avrebbero potuto farlo comunque; non l’hai mica controllata tu quella bacheca; e sai benissimo come sono i giornalisti. Quanto a questo, poi, guarda cosa riuscivano a combinare Thurston e Houdini con faccende del genere, e lasciandoti anche esaminare i contenitori, prima e poi. O forse, dopo tutto, non è stato soltanto uno scherzo. Forse qualcuno aveva uno scopo nel mettere l’anitra là dentro, ma perché pensare che quello scopo dovesse essere in relazione con te? Sei un egocentrico, ecco quello che sei.
Charlie sospirò: — Sì, ma… Ma, metti le tre cose insieme e…
— Perché metterle insieme? Senti, stamattina ho visto un uomo scivolare su una buccia di banana e cadere; nel pomeriggio mi è venuto un leggero mal di denti; stasera mi ha telefonato una ragazza che non vedevo da anni. Ora, perché dovrei mettere insieme le tre cose, cercando di individuare una causa comune a tutte e tre? Un unico motivo che leghi il tutto? Ammattirei, se ci provassi.
— Uhm, fece Charlie. — Forse hai ragione. Ma…
Nonostante quel “ma” se ne tornò a casa tutto allegro, pieno di speranza e un po’ brillo. Sarebbe arrivato al matrimonio proprio come se non fosse successo niente. E niente di importante era successo, a quanto pareva. Pete era una persona dotata di buon senso.
Charlie dormì sodo quel sabato mattina: si svegliò che era quasi mezzogiorno.
E sabato non successe niente.
IX
Niente. A meno che non si voglia considerare degna di nota la faccenda della palla da golf mancante. Charlie decise che non lo era. Le palle da golf scompaiono anche troppo spesso: in realtà, è del tutto normale — per un giocatore non provetto perdere almeno una palla su un percorso di diciotto buche.
Quella palla, per di più, era finita nell’erba alta.
Charlie aveva aperto il colpo dalla piazzuola di partenza della lunga buca quattordici; aveva visto la palla deviare dal percorso, battere, rimbalzare e arrestarsi dietro un grande albero — che si trovava esattamente tra la palla e il green.
L’«accidenti!» di Charlie fu gridato a voce alta ed appassionata; fino a quella buca c’erano state per lui grosse possibilità di restare sotto i cento. Adesso gli toccava perdere un colpo per riportare la palla sul percorso.
Aspettò che Pete si fosse cacciato nei boschi sull’altro lato del campo prima di incamminarsi — la sacca dei bastoni a tracolla — in direzione della palla.
Che non c’era.
Dietro l’albero, più o meno nel punto dove Charlie pensava che la palla fosse atterrata, c’era una ghirlanda di fiori appassiti, infilati con un cordino purpureo che si intravvedeva a intervalli. Charlie la tirò su per guardarci sotto, ma la palla non c’era.
Dunque, doveva essere rotolata più lontano; si guardò intorno senza però riuscire a trovarla. Pete, che nel frattempo aveva trovato la sua, e aveva battuto il colpo di ricupero, tagliò giù in diagonale per aiutare Charlie nella ricerca. Fecero cenno ai quattro che seguivano di continuare il loro gioco.
— Credevo proprio che si fosse fermata qui, — disse Charlie: — invece deve essere rotolata più avanti. Be’, se non l’avremo trovata quando quei quattro hanno giocato, ne prenderò un’altra. Ma senti, come può essere capitato qui, questo arnese?