— Come, signore?
— Non esistono armi pericolose, esistono solo uomini pericolosi. Noi tentiamo di insegnarti a essere pericoloso, per il nemico, s’intende. Pericoloso anche senza un coltello. Letale finché ti resta una mano, o un piede, e un filo di respiro. Se non sai di che cosa sto parlando, prova a leggere Orazio sul ponte o La morte del bon homme Richard. Li troverai entrambi nella biblioteca del campo. Ma torniamo al caso di cui parlavi. Mettiamo che tu sia dotato solo di un coltello e che quel bersaglio dietro di me, quello che hai mancato poco fa, il numero tre, sia una sentinella armata fino ai denti. Le manca solo la bomba all’idrogeno. Tu devi farlo fuori, alla svelta e senza chiasso, prima che abbia il tempo di dare l’allarme. — Zim si girò lievemente e… tunf: un coltello che l’istante prima Zim non aveva nemmeno in pugno stava vibrando al centro del bersaglio numero tre. — Visto? Meglio se di coltelli ne hai due, ma l’importante è colpire, sia pure adoperando le sole mani.
— Ehm…
— C’è qualcosa che non ti convince? Sputa. Io sono qui apposta per rispondere alle vostre domande.
— Ecco, signor sergente. Lei ha detto che la sentinella non ha una bomba H. Invece la bomba H ce l’ha. Questo è il punto. Be’, noi perlomeno l’abbiamo, se la sentinella siamo noi… e qualsiasi sentinella ci proponiamo di aggredire è probabile che ce l’abbia, anzi è quasi certo. Non mi riferisco solo alla sentinella, ma alla parte che rappresenta.
— Sì, capisco.
— Vede allora, signor sergente? Se noi possiamo usare una bomba H e, come dicevamo poco fa, la guerra non è una partita di scacchi e c’è poco da scherzare, non è un po’ ridicolo andarsene in giro strisciando sull’erba, lanciando coltelli e rischiando di farsi accoppare e magari di perdere addirittura la guerra, quando si ha a disposizione un’arma vera che può darti la vittoria? Che scopo ha un gruppo di uomini disposto a rischiare la vita usando armi antiquate, quando basta una specie di professore, da solo, per fare altrettanto premendo un pulsante?
Zim non rispose subito, il che era decisamente insolito per lui. Poi disse, calmo: — Ti trovi bene nella Fanteria, Hendrick? Puoi dare le dimissioni, altrimenti. Lo sai, vero?
Hendrick mormorò qualcosa, e Zim disse: — Parla forte!
— Non ci penso affatto a dare le dimissioni, sergente. Voglio completare la mia ferma, costi quello che costi.
— Capisco. Bene, allora. La tua è una di quelle domande alla quale un sergente non è qualificato a rispondere… e poi non dovresti farla a me. Si suppone che uno conosca la risposta prima di arruolarsi. Lo dovrebbe, almeno. A scuola non hai seguito un corso di storia e filosofia morale?
— Come? Sissignore, certo.
— Allora avrai già sentito la risposta. Comunque ti dirò anche la mia opinione in proposito. In via ufficiosa, s’intende. Se tu volessi dare una lezione a un bambino capriccioso, gli taglieresti la testa?
— Certamente no, signore!
— Certamente no. Ecco il punto. Esistono circostanze in cui colpire una città nemica con una bomba H sarebbe altrettanto pazzesco che decapitare un bambino che ha disubbidito. La guerra non è violenza fine a se stessa, è violenza controllata, tesa a uno scopo ben preciso. E uno degli scopi di una guerra è quello di sostenere con la forza la decisione del nostro governo. L’obiettivo non è mai quello di uccidere il nemico giusto per ucciderlo, ma di fargli fare quello che si vuole che faccia. Non uccidere ma esercitare una violenza controllata e mirata. La decisione sull’obiettivo da raggiungere, però, non spetta né a voi né a me. Non spetta mai al soldato decidere quando, dove, come o perché combattere. Spetta agli uomini politici e ai generali. Gli uomini politici decidono perché e fino a che punto. I generali ne prendono atto e ci dicono dove, quando e come. Noi forniamo la violenza. Altri, più anziani e saggi, almeno così dovrebbe essere, pensano a incanalarla e controllarla. Questa è la risposta migliore che posso darvi. Se non ne siete soddisfatti, vi rilascerò il permesso per andare a parlare con il comandante di reggimento. Se anche lui non riesce a convincervi, allora tornate a casa vostra e fate i civili, perché significa che sicuramente non diventerete mai buoni soldati. — Poi Zim scattò in piedi. — E adesso basta. Scommetto che mi avete fatto chiacchierare solo per perdere tempo. In piedi, soldati. Scattare. Ai bersagli! Hendrick, comincia tu. Stavolta voglio che getti il coltello a sud. Sud, capito? Non a nord. Il bersaglio è a sud rispetto a te, e voglio che quel coltello vada a sud almeno in senso generale. So che non colpirai il bersaglio, ma vedi almeno di andarci vicino. Non affettarti un orecchio, non infilzare qualcuno alle tue spalle, tieni quel grammo di cervello che ti ritrovi fisso sull’idea sud. Pronto… al bersaglio! Via!
Hendrick sbagliò di nuovo.
Ci allenavamo con i bastoni e con il filo di ferro (quante cose si possono improvvisare con un pezzo di filo di ferro!) e imparavamo quello che si può fare con armi modernissime, e come farlo, e come tenere in ordine e in efficienza il materiale: armi nucleari simulate, razzi della fanteria e ogni tipo di gas, veleni, bombe incendiarie e dirompenti. Ma apprendemmo anche un mucchio di altre cose sulle armi antiquate. Baionette su fucili a salve, e fucili che non erano a salve ma quasi identici ai fucili dei fanti del Ventesimo secolo, molto simili ai nostri fucili da caccia, solo che noi sparavamo unicamente pallottole potenti, proiettili di piombo incamiciati in lega indirizzati a bersagli situati a distanza moderata e a obiettivi a sorpresa, in brevi scorribande volte a catturare i nemici. Il tutto doveva prepararci all’uso delle armi che andavano puntate con precisione e soprattutto a tenerci pronti, all’erta, per qualsiasi evenienza. Serviva, infatti. Sono sicurissimo che serviva.
Usavamo quei fucili nelle esercitazioni sul campo, in sostituzione di armi da tiro più letali e crudeli. Tutto quello che adoperavamo era simulato, non avrebbe potuto essere altrimenti. Le granate e le bombe da esercitazione, usate contro materiali o persone, esplodevano emettendo una gran quantità di fumo nero. Un altro tipo di granata emanava un gas che faceva starnutire e piangere, il che equivaleva a essere morti o paralizzati: cosa sufficientemente fastidiosa da spingerci ad assumere le più efficaci precauzioni antigas. Senza contare l’iradiddio che ci pioveva addosso se per caso restavamo colpiti.
E dormivamo sempre meno. Oltre la metà delle esercitazioni venivano svolte di notte, con radar, visualizzatore, radioriceventi eccetera.
I fucili erano caricati a salve, tranne uno a caso ogni cinquecento, che aveva proiettili veri. Pericoloso? Sì e no. Anche il fatto di vivere, in sé è pericoloso, e un proiettile di piombo probabilmente non basta a uccidere, a meno che non ti prenda proprio alla testa o al cuore, e non sempre anche in questo caso. Quell’unico fucile su cinquecento veramente pericoloso serviva comunque a motivarci a stare coperti: sapevamo che i fucili erano in dotazione anche agli istruttori, che erano tiratori scelti e facevano del loro meglio per colpirci… con la conseguenza che possiamo immaginare, se l’arma carica capitava proprio in mano loro. È vero che ci garantivano di non mirare mai alla testa, ma una disgrazia può sempre capitare.
Questo amichevole impegno non era molto rassicurante. Quella cinquecentesima pallottola trasformava esercizi noiosi in una specie di roulette russa su larga scala. Quando avete appena sentito fischiare una pallottola vicino all’orecchio senza nemmeno avere sentito il rumore de! fucile, vi assicuro che non vi annoiate più.
Ma poi ci abituammo, e subito ci arrivò dall’alto la voce che, se non fossimo stati più pronti a scattare, l’incidenza dei fucili veri sarebbe salita a uno su cento, e se non fosse bastato, a uno su cinquanta. Non so se quel cambiamento venne apportato sul serio, non c’è modo di saperlo, posso però testimoniare che ritrovammo subito l’antica lena, anche perché un ragazzo dell’altra compagnia si era beccato una pallottola vera nel fondo della schiena, il che gli procurò una brutta ferita e una grande quantità di commenti salaci e infuse agli altri un rinnovato ardore nel tenersi al coperto. Ci prendemmo gioco di quel ragazzo per il posto in cui era stato colpito… ma tutti noi sapevamo che a essere ferita avrebbe potuto essere la sua testa, o le nostre.