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Frankel parve disgustato. — Quindi tu ti faresti ammazzare, e metteresti a repentaglio la vita di una decina di compagni, per via di quattro formiche?

— Altro che quattro! Erano centinaia e pungevano.

— E con questo? Ragazzo, vediamo di chiarire le idee. Se anche si fosse trattato di un nido di vipere, tu avresti avuto il dovere di congelarti. Hai niente da dire in tua difesa?

Hendrick era rimasto a bocca aperta. — Certo che ce l’ho! Mi ha colpito. Mi ha messo le mani addosso! Tutti gli istruttori non fanno che andarsene in giro con quei loro bastoni a distribuire colpi sulla schiena e a fare gli smargiassi, e uno deve ingoiare tutto. Ma stavolta mi ha picchiato con le mani, mi ha sbattuto a terra urlando “Congelati, pezzo d’idiota!”. Come la mettiamo in questo caso?

Il capitano Frankel si studiò le mani, poi guardò di nuovo Hendrick. — Giovanotto, stai cadendo in un equivoco molto comune tra i civili. Credi che ai tuoi superiori non sia permesso “metterti le mani addosso”, come hai detto tu. Nella vita civile è così. Se ci incontrassimo a teatro, io non avrei alcun diritto, qualora tu mi avessi trattato con il rispetto dovuto al mio grado, di mollarti un ceffone, proprio come tu non avresti diritto di appiopparlo a me. Ma in servizio la cosa è completamente diversa.

Il capitano si girò di scatto sulla sedia e indicò alcuni grossi libri semisfasciati. — Lì c’è il codice militare. Puoi leggerti quegli articoli uno per uno e consultare tutta la casistica della corte marziale. Non troverai un solo accenno al fatto che un superiore non può metterti le mani addosso o colpirti come meglio crede quando è nell’esercizio delle sue funzioni. Hendrick, io potrei cambiarti i connotati, e dovrei rispondere solo ai miei diretti superiori circa la necessità del gesto compiuto. Ma a te non dovrei nessuna spiegazione. Potrei fare anche di più. Ci sono circostanze in cui un ufficiale superiore non solo può, ma deve uccidere un ufficiale subalterno o un soldato, senza indugio e senza lanciare ultimatum, e riceve un encomio invece di una punizione. Capisci? Per esempio, nel caso di condotta vigliacca di fronte al nemico.

Il capitano calò un pugno sullo scrittoio. — Quanto ai bastoni, hanno due scopi. Primo, servono come simbolo dell’autorità. Secondo, devono essere usati per incitarvi, per impedirvi di prendervela con troppa calma. Non possono provocare danni, non nel modo in cui sono usati, al massimo fanno un po’ male, e risparmiano una quantità di parole inutili. Per esempio, voi non siete sufficientemente svelti a saltare in piedi quando suona la sveglia? Certo, sarebbe bello che il caporale di servizio vi svegliasse con delicatezza, e si informasse se volete la colazione a letto. Ma non abbiamo abbastanza caporali per farvi da balia. Così, il caporale passa di corsa, vi strappa le coperte e prosegue, e quando è il caso si spiega meglio con la punta del bastone. Anzi potrebbe benissimo pigliarvi a calci, visto che sarebbe altrettanto legale ed efficiente, ma il comandante in capo per l’istruzione e la disciplina pensa che sia più dignitoso, sia per voi sia per il caporale, strappare un dormiglione dal sonno usando il simbolo impersonale dell’autorità. E così la penso anch’io. Del resto, quello che penso io oppure tu, non ha nessuna importanza: ciò che conta è il regolamento. — Il capitano Frankel sospirò. — Vedi, Hendrick, ti ho spiegato queste cose perché è inutile punire un uomo se lui non sa perché viene punito. Tu sei stato un ragazzaccio, e dico ragazzaccio perché è evidente che non sei ancora un uomo, nonostante i tuoi sforzi. Un ragazzaccio per di più molto deludente, se si pensa che sei così avanti nel corso d’istruzione. Niente di quello che hai detto può servire a tua discolpa. Hai solo rivelato di non comprendere la situazione e di non avere ancora nessuna idea dei tuoi doveri di soldato. Comunque, spiegami con parole tue perché ti sembra di essere stato bistrattato. Voglio aiutarti a chiarirti le idee. Potresti anche avere ragione in qualcosa, sebbene io non riesca proprio a immaginare in cosa.

Mentre il capitano pronunciava la sua ramanzina, avevo dato un paio di occhiate alla faccia di Hendrick. In un certo senso, quelle parole calme e ragionevoli colpivano nel segno più di tutto il berciare di Zim. L’espressione di Hendrick era passata dall’indignazione alla sorpresa attonita.

— Parla! — ordinò brusco il capitano Frankel.

— Ecco… abbiamo ricevuto l’ordine di congelarci, mi sono buttato a terra e ho scoperto di trovarmi su un formicaio. Così mi sono messo sulle ginocchia con l’idea di spostarmi di mezzo metro, quando sono stato colpito da dietro e gettato a terra dal sergente che mi urlava di congelarmi. Io sono saltato su e gli ho allungato un pugno…

— Alt! — Il capitano Frankel era scattato in piedi e fissava Hendrick dall’alto dei suoi tre metri (in realtà è poco più alto di me). — Tu… tu hai colpito il tuo comandante di compagnia?

— Eh? Sì, è come le ho detto. Ma è stato lui a colpirmi per primo. E da dietro, tanto che non l’avevo nemmeno visto. Con questo non voglio ritirare quello che ho detto. L’ho colpito, lui ha colpito di nuovo me, poi…

— Silenzio!

Hendrick ammutolì. Ma dopo un attimo aggiunse: — Voglio solo andarmene per sempre da questo posto schifoso.

— Credo di poterti accontentare — disse Frankel, glaciale. — E presto, anche.

— Mi dia un pezzo di carta, voglio firmare le mie dimissioni.

— Un momento. Sergente Zim.

— Signorsì. — Era un pezzo che Zim non apriva bocca. Se ne stava là, rigido come una statua, e solo un muscolo della mascella sussultava leggermente.

Lo guardai di nuovo: aveva proprio un occhio nero, una meraviglia. Hendrick doveva averlo colpito in pieno. Ma lui non aveva detto una parola in proposito, e il capitano Frankel non aveva fatto domande. Forse aveva concluso che Zim avesse urtato contro uno spigolo e si riservasse di fornire spiegazioni in seguito.

— Gli articoli del Regolamento militare sono stati portati a conoscenza della vostra compagnia, come prescritto?

— Signorsì. Pubblicati e affissi, ogni domenica mattina.

— Lo so. Lo chiedevo solo in ossequio alla procedura.

Ogni domenica, prima delle funzioni religiose, ci allineavano e ci leggevano gli articoli disciplinari del Regolamento militare. Inoltre, gli stessi articoli venivano affissi sul quadrante apposito, fuori dalla tenda di ordinanza. Nessuno ci badava molto. Era un’esercitazione come un’altra. Potevi stare fermo e dormire tutto il tempo. L’unica cosa che notammo, se notammo qualcosa, fu quello che chiamavamo “i trentuno modi di schiantarsi a terra”. Dopotutto, gli istruttori facevano in modo che venissero assorbite tutte le norme che bisognava conoscere, attraverso la pelle. Nonostante noi ci scherzassimo sopra continuamente si trattava dei trentuno reati per cui era prevista la pena di morte. Ogni tanto qualcuno si vantava, o accusava qualcun altro, di avere scoperto il trentaduesimo, era sempre qualcosa di improbabile e solitamente di osceno.

Colpire un superiore, graduato o ufficiale…

All’improvviso non c’era più da scherzare, tutt’altro. Un pugno a Zim. E s’impiccava un uomo per questo? Roba da matti! Ma se quasi tutti gli uomini della compagnia avevano allungato una sventola a Zim, e qualcuno era riuscito perfino a mandarla a segno, quando lui ci istruiva personalmente nel corpo a corpo! Di solito ci prendeva dopo che gli altri istruttori ci avevano già strapazzati ben bene, quando cominciavamo a sentirci arzilli e abbastanza in forma, e ci dava il ritocco finale. Una volta, anzi, avevo visto Shujumi stenderlo a terra con un diretto. Bronski gli aveva tirato un secchio d’acqua, Zim si era rialzato, aveva sorriso, aveva scambiato una stretta di mano con Shujumi e l’aveva lanciato oltre la linea dell’orizzonte.

Il capitano Frankel si guardò attorno, poi si rivolse a me. — Tu! Chiama il quartier generale del reggimento.

Obbedii, tutto dita sui tasti, ritraendomi appena la faccia di un ufficiale apparve sullo schermo, per lasciare che il capitano facesse lui stesso la chiamata. — Sono l’aiutante — disse la faccia.