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Poi venne portato Hendrick, ammanettato fra due guardie armate.

Non avevo mai assistito a una fustigazione. Nella mia città, se c’era qualche fustigazione pubblica, veniva eseguita dietro il Palazzo federale, e papà mi aveva severamente proibito di assistervi. Una volta che avevo tentato di disobbedirgli, la fustigazione fu rinviata, e io non ci pensai più.

Una volta è più che sufficiente, comunque.

Le guardie fecero alzare le braccia a Hendrick e assicurarono le manette a un grosso uncino che sporgeva alla sommità del palo. Poi gli tolsero la camicia, una camicia speciale che sostituiva anche la maglia. L’aiutante ordinò, secco: — Venga eseguita la sentenza della corte.

Il caporale istruttore di un altro battaglione si fece avanti con la frusta in mano. Il sergente di guardia cominciò a contare.

Era un conteggio lento, cinque secondi tra una frustata e l’altra, ma sembravano molti di più.

Ted non emise un lamento fino alla terza sferzata, poi singhiozzò.

Tutto quello che ricordo dopo quel momento è che mi ritrovai a fissare il caporale Bronski. Lui mi stava schiaffeggiando, ma senza cattiveria. Poi smise di schiaffeggiarmi e s’informò: — Va meglio, ora? Bene, torna in fila. Scat-tare! Stiamo per essere passati in rivista.

Dopo la rivista tornammo a passo di marcia verso l’area della nostra compagnia. A cena non toccai quasi niente, ma neanche gli altri avevano appetito.

Nessuno accennò mai al mio svenimento. Scoprii in seguito che non ero stato l’unico: almeno una ventina di noi erano crollati a terra!

6

Ciò che otteniamo facilmente, lo stimiamo poco… Sarebbe davvero strano se un bene prezioso come la libertà non costasse caro prezzo.

Thomas Paine

Fu durante la notte seguente l’espulsione di Hendrick che raggiunsi il fondo dell’abisso. Non riuscivo a dormire. Vi assicuro che bisogna aver fatto la vita di campo per capire fino a che punto una recluta deve precipitare psicologicamente perché una cosa del genere possa succedere. Quel giorno, però, io non avevo svolto esercitazioni, quindi non ero fisicamente provato. Solo la spalla mi faceva ancora male, anche se il medico mi aveva sbattuto di nuovo in servizio, e poi c’era quella lettera di mia madre che mi torturava la mente. Infine, ogni volta che chiudevo gli occhi risentivo quel “crac!” e vedevo Ted abbattersi contro il palo della fustigazione.

Non mi importava di avere perso i galloni. Non m’interessavano più: ero pronto ad andarmene, anzi, ero decisissimo a farlo. Se non fossimo stati nel cuore della notte, e avessi avuto carta e penna a portata di mano, sono sicuro che mi sarei dimesso seduta stante.

Ted aveva commesso un brutto errore, di quelli le cui conseguenze durano tutta la vita. E lui le avrebbe senz’altro sentite, perché, pur odiando la vita al campo (e chi non la odiava?), aveva fatto ugualmente del suo meglio per arrivare in fondo e guadagnarsi il diritto di voto. Intendeva entrare in politica, ne parlava continuamente. Diceva che, una volta ottenuta la cittadinanza, avrebbe fatto chissà quali cambiamenti. “Aspettate e vedrete!” diceva sempre.

Be’, ormai non avrebbe più potuto aspirare a cariche politiche: un solo istante di annebbiamento e si era giocato la carriera.

Come era successo a lui, poteva succedere a me. Se avessi fatto anch’io uno sbaglio? L’indomani, o la settimana successiva? Nemmeno la possibilità di presentare le dimissioni, in quel caso… Buttato fuori e con la schiena piagata dalla frusta!

Era tempo di ammettere che avevo sbagliato e che papà aveva ragione, tempo di firmare quel pezzetto di carta, tornare a casa e dire che ero pronto a iscrìvermi a Harvard, per poi mettermi a lavorare con lui… se ancora mi voleva, tempo di parlare al sergente Zim, appena faceva giorno, e dirgli che ne avevo abbastanza. Ma non prima che fosse mattina, perché non si sveglia il sergente Zim. A meno che non si tratti di un caso che perfino lui potrebbe definire di emergenza, credetemi, non lo si sveglia! Proprio il sergente Zim, poi, che…

Il sergente Zim.

Quell’uomo mi lasciava sconvolto quasi quanto quello che era successo a Ted. Finito il processo, dopo che Ted era stato portato via, Zim si era trattenuto e aveva detto al capitano Frankeclass="underline" — Posso parlare con il comandante di battaglione?

— Naturalmente. Anch’io volevo pregarti di restare per scambiare due parole. Siediti.

Zim aveva sbirciato nella mia direzione, imitato dal capitano. Non avevano avuto bisogno di dirmi che dovevo uscire: ero sparito di colpo. Non c’era nessuno nell’ufficio esterno, salvo un paio di impiegati civili. Non avevo osato allontanarmi, perché il capitano poteva ancora avere bisogno di me. Avevo trovato una sedia dietro una fila di schedari e mi ci ero seduto.

Così li avevo sentiti parlare attraverso la tramezza divisoria contro la quale appoggiavo la testa. Il comando, pur essendo l’edificio (e non la tenda) che ospitava in permanenza le apparecchiature di comunicazione e gli schedari, a livello di strutture e materiali era però appena più di una baracca: i divisori interni erano sottilissimi. Dubito che gli impiegati potessero ascoltare, dato che portavano la cuffia ed erano chini sulle macchine da scrivere… E poi non contavano. Non che io volessi ascoltare una conversazione privata. Però… ma sì, lo confesso, ero curioso.

Zim aveva esordito: — Signor capitano, chiedo di essere trasferito in un reparto di combattimento.

Frankel aveva risposto: — Non ho sentito, Charlie. Quest’orecchio mi dà ancora dei problemi. — Zim replicava: — Parlo sul serio, capitano. Questo non è più un compito per me.

Frankel, irritato: — Piantala di seccarmi con i tuoi problemi, sergente. Aspetta almeno che abbia sbrigato questi rapporti. Cosa diavolo t’è successo?

Zim, in tono impacciato: — Capitano, quel ragazzo non meritava dieci frustate.

Frankeclass="underline" — Certo che no. Sai benissimo chi ha sbagliato, come lo so io.

— Signorsì. Lo so.

— E allora? Lo sai meglio di me che questi ragazzi sono come belve feroci a questo punto del corso. Sai quando è prudente voltare loro le spalle, e quando non lo è. Conosci la teoria e gli ordini riguardanti l’articolo nove zero otto zero: mai dare loro l’occasione di violarlo. Naturalmente, prima o poi, qualcuno ci prova. Se non fossero tipi aggressivi, non sarebbero materiale adatto per la vita militare. Se sono inquadrati sono abbastanza docili, e si può anche voltare loro le spalle quando mangiano, dormono o ascoltano una lezione teorica. Ma portali sul campo per un’esercitazione pratica, o qualsiasi altra cosa che li ecciti, e diventeranno esplosivi quanto il fulminato di mercurio. Tu lo sai. Tutti gli istruttori lo sanno. Siete addestrati apposta per captare il pericolo e per prevenire l’incidente prima che capiti. Mi spieghi come ha fatto una recluta, un pivellino, a farti quel livido sopra l’occhio? Non avrebbe mai dovuto metterti le mani addosso. Avresti dovuto stenderlo a terra privo di sensi appena hai capito quello che stava per succedere. Perché, allora, non sei stato più pronto? Hai perso il mordente?

— Non lo so — aveva risposto Zim. — Ho paura che sia così.

— Se fosse vero, altro che mandarti in combattimento, sergente! Ma non è vero. Ti ho visto all’opera solo tre giorni fa. Dunque, cos’è che ti ha fatto sbagliare?

La risposta di Zim era arrivata con lentezza. — Ho paura di averlo classificato “innocuo”.

— Nessuno di loro è innocuo.

— Signornò. Ma questo era così serio, impegnato, così ostinatamente deciso a farcela. Non c’era tagliato, però ce la metteva tutta, e questo deve avermi reso inconsciamente troppo tranquillo nei suoi confronti. — Una pausa, poi Zim aveva aggiunto: — Forse anche perché mi era simpatico.