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Frankel aveva sbuffato. — Un istruttore non può permettersi di avere simpatie.

— Lo so, capitano. Ma succede. Sono tutti bravi ragazzi. Ormai, i peggiori li abbiamo scartati. L’unico difetto di Hendrick, per esempio, oltre quello di essere un po’ maldestro, era la convinzione di sapere tutto. Ma non ci badavo: anch’io mi illudevo di sapere tutto, alla sua età. I peggiori sono tornati a casa, e quelli rimasti qui sono ragazzi in gamba, desiderosi di fare bella figura, scattanti, svegli come cuccioli di razza. Molti saranno anche ottimi soldati.

— Eccolo, il punto debole. Ti era simpatico, e hai mancato di mostrarti duro al momento opportuno. Lui ne esce con un processo, la fustigazione e l’espulsione per cattiva condotta. Bel risultato, vero?

Zim aveva dichiarato, serissimo: — Sa il cielo quanto vorrei accollarmela io, quella fustigazione.

— Avresti dovuto usare la tua autorità, invece di ricorrere alla mia. Che cosa credi che abbia pensato io? Che cosa credi che abbia temuto, dal momento in cui ti ho visto entrare con quel livido? Ho fatto del mio meglio per liquidare la cosa con una punizione normale, e quell’idiota se la sarebbe cavata con poco. Come potevo pensare che fosse tanto cretino da ammettere davanti a tutti di averti picchiato? È deficiente, ecco cos’è! Avresti dovuto incoraggiarlo a dimettersi qualche settimana fa, invece di coccolartelo fino a quando si è messo nei guai. Me l’ha dichiarato in faccia, davanti a testimoni, costringendomi a prenderne atto in forma ufficiale, e così… Chi poteva salvarlo a quel punto? Chi poteva evitargli il processo? E allora bisognava andare fino in fondo, prendere la medicina e ritrovarsi con un civile di più che ci odierà fino alla tomba. Doveva essere frustato, lo capisci? Né tu né io possiamo accollarci la punizione, anche se la colpa è nostra. Il reggimento deve fare di tutto affinché l’articolo nove zero otto zero sia rispettato. La colpa è nostra… ma i lividi sono suoi.

— La colpa è mia, capitano. Per questo chiedo di essere trasferito. Ecco, signor capitano, io credo che sia meglio, per il bene dell’arma.

— Tu credi, eh? Ma sono io che decido quello che è meglio nell’interesse del mio battaglione, sergente. Charlie, chi credi che sia stato a fare il tuo nome per averti con noi? E perché? Dodici anni fa, ti ricordi? Allora eri caporale. E dov’eri?

— Qui, come lei sa benissimo, capitano. Proprio qui in queste dannate pianure. Non ci fossi mai tornato!

— Lo diciamo tutti. Ma in effetti sì tratta del compito più importante e delicato dell’Esercito, quello di trasformare cuccioli bisognosi di sculacciate in uomini veri. Chi era il cucciolo più bisognoso di sculacciate di tutta la tua sezione?

— Mmm… — rispose Zim. — Non direi che fosse proprio il peggiore, signor capitano.

— No, eh? Però faticheresti molto a citarne uno più disastroso. Io odiavo persino la terra dove camminavi, caporale Zim.

Zim era rimasto sorpreso, e un po’ ferito. — Davvero, capitano? Io non la odiavo affatto… anzi, mi era simpatico.

— Logico! L’odio è un altro lusso che un istruttore non può permettersi. Charlie, non dobbiamo né amarli né odiarli. Dobbiamo addestrarli. Ma se effettivamente allora io ti ero simpatico, avevi uno strano modo di manifestarlo. Ti sono sempre simpatico? Non rispondere: non m’importa di esserti simpatico o no, o meglio, non voglio saperlo. Lascia perdere. L’importante è che allora io ti disprezzavo, passavo il tempo a immaginare i sistemi per toglierti di mezzo. Ma tu eri sempre pronto e non mi hai mai dato l’occasione di finire sotto processo per infrazione all’articolo nove zero otto zero. E per questo sono qui, grazie a te. E adesso, per rispondere alla tua richiesta, ti ricorderò l’ordine che mi ripetevi di continuo quando ero una recluta. Lo ripetevi tanto spesso che mi pareva d’impazzire ogni volta che lo dicevi. Te ne ricordi? Io sì, e adesso sono io a dirlo a te: “Soldato, tu devi solo tacere ed essere soldato!”.

— Signorsì.

— Aspetta, non andartene. Questa brutta faccenda non è del tutto negativa: ogni reggimento di reclute ha bisogno di una lezione severa per quanto riguarda l’articolo nove zero otto zero, lo sappiamo tutti e due. I ragazzi non hanno ancora imparato a pensare, non leggono mai le disposizioni e raramente ascoltano. Però vedono. La disavventura toccata al giovane Hendrick un giorno o l’altro potrebbe salvare dall’impiccagione qualcuno dei suoi compagni. Mi dispiace solo che questa lezione sia venuta proprio dal mio battaglione. Ma vorrei che fosse l’ultima. Raduna i tuoi istruttori e avvertili. Per ventiquattr’ore i ragazzi saranno sotto choc. Poi ciascuno si chiuderà in sé, e la tensione comincerà a diffondersi. Verso giovedì o venerdì qualcuno comincerà a riflettere sul fatto che Hendrick se l’è cavata con poco, mettiamo con un numero di frustate inferiore a quello che viene inflitto a chi guida in stato di ubriachezza, e forse si dirà che vale anche la pena di prenderle, per levarsi il gusto di appioppare uno schiaffo all’istruttore più odioso. Sergente, quello schiaffo non deve andare a segno. Mi hai capito?

— Sissignore.

— Voglio che tutti siano dieci volte più prudenti del solito, voglio che mantengano le distanze, voglio che abbiano gli occhi anche sulla nuca, voglio che stiano in guardia come topi a una mostra di gatti. Presta attenzione a Bronski… Gli farai un predicozzo a parte: ha la tendenza a fraternizzare.

— Farò il predicozzo a Bronski, signor capitano.

— Ricordatene, perché quando il prossimo ragazzo penserà di passare alle vie di fatto, dovrà essere fermato in tempo, non voglio che succeda un pasticcio come oggi. L’istruttore non dovrà lasciarsi nemmeno sfiorare con un dito, altrimenti lo degraderò. Che lo sappiano. Dobbiamo insegnare a quei marmocchi che non è solo pericoloso, ma anche impossibile violare il nove zero otto zero, che il solo fatto di pensarci procura un viaggio nel paese dei sogni, un secchio d’acqua in faccia e una mascella ammaccata… Ma nient’altro.

— Sissignore, sarà fatto.

— Sarà meglio per tutti. Non solo degraderò l’istruttore che manca al suo dovere, ma lo porterò di persona là fuori sul prato e gli somministrerò io stesso la punizione. Non voglio che un altro di questi ragazzi finisca attaccato a quel palo a causa dell’imprudenza dei suoi insegnanti. Puoi andare, sergente Zim.

— Sissignore. Buongiorno, capitano.

— Buongiorno? E come sarebbe possibile? Senti, Charlie…

— Sì, signor capitano?

— Se questa sera non hai troppo da fare, perché non prendi un paio di scarpe leggere e l’imbottitura e vieni al circolo ufficiali, così ci sgranchiamo un po’ le ossa? Verso le otto, diciamo.

— Sissignore.

— È un invito, non un ordine. Se è vero che sei giù di giri, potrebbe aiutarti a ritrovare la calma.

— Mmm… il signor capitano sarebbe disposto a fare una piccola scommessa?

— Cosa? Io che me ne sto qui seduto a questa scrivania e mi muovo su questa sedia girevole? Ah, no! A meno che tu non acconsenta a combattere con un piede dentro un secchio di cemento. Scherzi a parte, Charlie, abbiamo avuto una brutta giornata tutti e due, e il peggio non è ancora venuto. Se la concludiamo con una bella sudata e qualche bozzo sulla testa, forse ci riuscirà di dormire, alla faccia di tutti i cocchi di mamma.

— Verrò, capitano. Stia leggero a cena… Anch’io ho voglia di sfogarmi per un paio di cosette.

— Non mangerò affatto. Resterò qui a sudare su questo dannato rapporto, che il comandante di reggimento si compiacerà di scorrere dopo cena, e che un tale che non nomino mi ha costretto a terminare in ritardo. Perciò, forse non arriverò puntuale al nostro appuntamento. E ora sparisci, Charlie, e non seccarmi più. A stasera.

Il sergente Zim era uscito così in fretta che avevo avuto appena il tempo di chinarmi per fingere di allacciarmi una scarpa, rendendomi invisibile, dietro gli schedari, mentre lui attraversava il locale.