Nemmeno due giorni dopo, venivo chiamato anch’io.
Corsi nell’ufficio del comandante, zaino in spalla e felice come non mai. Ne avevo abbastanza di fare le ore piccole a studiare, di sentire gli occhi che mi bruciavano, di restare indietro ugualmente e di fare in classe la figura dell’ignorante. Un paio di settimane nell’allegra compagnia di uno squadrone da combattimento era quello che ci voleva per Johnnie!
M’imbattei in alcuni nuovi arrivati, che trottavano verso la classe in formazione serrata, con quell’aria cupa che ogni aspirante novellino mostra appena si rende conto di avere forse commesso un errore nell’iscriversi al corso. Mi resi conto di canticchiare, e subito ammutolii perché ero giunto a pochi passi dall’ufficio, e il comandante poteva sentirmi.
Nell’ufficio c’erano altri due compagni, i cadetti Hassan e Byrd. Hassan, detto l’Assassino, era il più anziano della nostra classe e aveva l’aria di un pesce fuor d’acqua, mentre Byrd era poco più grande di un passerotto e altrettanto smarrito.
Venimmo introdotti nel sancta sanctorum. Il comandante era sulla sua sedia a rotelle. Non lo vedevamo mai fuori da quella poltrona, salvo durante l’ispezione del sabato e quando venivamo passati in rivista. Credo che camminare gli costasse un’immensa fatica. Ma questo non significava che fosse assente, poteva capitare che mentre stavi lavorando ti giravi trovandoti dietro la sua sedia a rotelle e il colonnello Nielssen che prendeva nota dei tuoi errori.
Non interrompeva mai: c’era l’ordine permanente di non prestargli “attenzione”! Ma era sconcertante. Sembra che ce ne fossero sei di lui.
Il comandante in realtà aveva il grado di generale (sì, proprio quel Nielssen), il grado di colonnello gli era stato attribuito solo temporaneamente, in attesa del suo secondo pensionamento, per consentirgli di essere comandante. Una volta chiesi notizie a questo riguardo a un ufficiale addetto alla contabilità che mi confermò quello che il regolamento sembrava dire: il comandante riceveva solo la paga da colonnello, ma sarebbe tornato a essere pagato come generale il giorno in cui avesse deciso di tornare in pensione.
Be’, come diceva Ace, c’è spazio per tutti, io non riuscivo a immaginare di scegliere di ricevere metà stipendio per il privilegio di svezzare dei cadetti.
Quando entrammo, il colonnello Nielssen alzò la testa e ci squadrò. — Buongiorno, signori — disse. — Accomodatevi. — Mi sedetti, ma non stavo affatto comodo. Lui scivolò con la sedia fino a una macchina del caffè e riempì quattro tazze che Hassan lo aiutò a servire. Io non avevo voglia di caffè, ma non si può rifiutare quando a offrire è il comandante.
Nielssen sorseggiò il caffè. — Ho avuto le vostre nomine temporanee, signori — annunciò — e le vostre destinazioni. Ma voglio essere certo che comprendiate qual è la vostra esatta posizione.
Eravamo già stati edotti in proposito. Saremmo stati ufficiali in soprannumero, in prova, cioè, e in via provvisoria. Al ritorno dalla missione saremmo stati ancora cadetti, con la probabilità di essere sbattuti fuori da un momento all’altro dagli ufficiali che ci avrebbero esaminato.
Nel frattempo, avremmo ricoperto la carica di sottotenente provvisorio o facente funzione, un grado tanto necessano quanto i piedi a un pesce, incastrato alla meglio tra il sergente e il sottotenente vero e proprio. È il gradino più basso al quale si può scendere restando però un ufficiale. Se qualcuno saluta per caso un sottotenente provvisorio, vuol proprio dire che c’è poca luce.
— La vostra nomina è di “sottotenente provvisorio” — continuò il colonnello — ma la vostra paga resta la stessa. Continuerete a essere chiamati “signori”, e l’unico cambiamento nell’uniforme sarà costituito da una stelletta sulla spalla, anche più piccola delle insegne di cadetto. — Il colonnello sorrise. — E allora, signori, sapreste dirmi perché siete chiamati “sottotenenti provvisori”?
Me l’ero chiesto anch’io. Perché insignirci di gradi che non erano affatto tali?
Naturalmente conoscevo la risposta scritta sul libro, ma…
— Signor Byrd? — chiese il comandante.
— Ecco… per collocarci lungo la linea di comando, signore.
— Perfetto — il colonnello, si avvicinò a un organigramma appeso su una parete. Si trattava della solita piramide, con tracciata tutta la catena di comando. — Guardate qui. — Indicò una scatola collegata a lui tramite una linea orizzontale, su cui era scritto “assistente del comandante” (signora Kendrick).
— Signori — continuò — avrei grandi problemi a dirigere questo posto senza la signora Kendrick. La sua testa è un archivio ad accesso rapido di tutto ciò che accade qui intorno. — Toccò un dispositivo di controllo sulla sua sedia e parlò nell’aria. — Signora Kendrick, nell’ultima sessione che valutazione ha ricevuto il cadetto Byrd in legge militare?
La sua voce rispose immediatamente: — Novantatré per cento, comandante.
— Grazie. Avete visto? Firmo qualunque cosa, se la signora Kendrick l’ha approvata. Non mi piacerebbe affatto se un comitato investigativo scoprisse quante volte lei firma al posto mio, senza che io neppure mi informi di che cosa si tratti. Mi dica, signor Byrd, se dovessi morire, la signora Kendrick continuerebbe a fare andare avanti le cose?
— Ma… — Byrd sembrava perplesso — suppongo farebbe il necessario per le questioni di ordinaria amministrazione.
— Non farebbe un bel nulla! — tuonò il colonnello. — Finché il colonnello non le avesse detto che cosa fare, a modo suo. È una donna molto intelligente e capisce quello che apparentemente voi non capite, ovvero che non appartiene alla linea di comando e non ha autorità.
Continuò: — La linea di comando non è semplicemente un modo di dire, è qualcosa di reale come uno schiaffo in faccia. Se vi ordinassi di andare a combattere, come cadetti il massimo che potreste fare sarebbe di mettervi agli ordini di qualcun altro. In questa posizione, se il vostro caposquadrone morisse e voi deste un ordine a un soldato, sbagliereste, e il soldato sbaglierebbe a ubbidirvi, anche se l’ordine fosse giusto, sensato e logico. Perché un cadetto, capite bene, non è nella linea di comando. Un cadetto non esiste, militarmente parlando. Non ha un grado, e non è un soldato. È uno studente che diventerà un soldato, un ufficiale o apparterrà a un rango inferiore. È sottoposto alla disciplina dell’Esercito, ma non è ancora nell’Esercito.
Uno zero, un guscio vuoto, ecco che cos’era un cadetto se non era neppure nell’Esercito…
— Colonnello!
— Parla ragazzo! Signor Rico.
Ebbi un fremito ma dovevo dire quel che pensavo: — Ma… se non siamo nell’Esercito, allora non siamo fanti spaziali mobili signore?
Sbatté gli occhi nella mia direzione. — Questo ti preoccupa?
— Io, ecco, non credo che mi piaccia molto, signore — non mi piaceva affatto. Mi sentivo nudo.
— Capisco. — Non sembrava contrariato. — Lascia che sia io a occuparmi degli aspetti legali dello spazio, figliolo.
— Ma…
— È un ordine. Tecnicamente voi non siete fanti spaziali. Ma la Fanteria spaziale mobile non si è dimenticata di voi. La Fanteria spaziale mobile non dimentica mai i suoi uomini, ovunque siano. Se lei morisse in questo istante, sarebbe cremato come secondo tenente Juan Rico, Fanteria spaziale mobile, della… — il colonnello Nielssen si fermò. — Signora Kendrick, qual era la nave del signor Rico?
— La Rodger Young.
— Grazie. — Poi proseguì: — Nella e della Rodger Young, assegnato al gruppo di combattimento mobile Secondo squadrone della Compagnia George, Terzo reggimento, Prima divisione, Fanteria spaziale mobile, i Rompicollo — recitò con soddisfazione, senza consultare nulla dopo che gli era stato ricordato il nome della mia nave. — Una buona squadra, signor Rico, orgogliosa e coraggiosa. Il suo ultimo incarico sarebbe comunicato per le incisioni e così il suo nome verrebbe letto nella Memorial Hall. Noi nominiamo sempre ufficiale un cadetto morto, figliolo, così lo possiamo mandare a casa dai suoi amici.