Mi chiedevo se i bulli avessero un posto libero per un sergente scaricato.
La nostra zona era quasi tutta pianeggiante, come la prateria attorno al campo Arthur Currie, e ancora più brulla. Non finivo di compiacermene. Quel terreno pianeggiante ci offriva la possibilità di individuare un ragno che usciva dalle viscere del terreno e aggredirlo immediatamente. Ma era l’unico vantaggio che avevamo. Eravamo disseminati su una zona così vasta che gli uomini si trovavano a sei chilometri di distanza l’uno dall’altro, con ricognizioni che si avvicendavano ogni sei minuti. Troppo poco, naturalmente, chiunque fosse pronto poteva restare inosservato per almeno tre o quattro minuti tra un’ondata di ricognizione e l’altra, e parecchi ragni potevano uscire da un buco minuscolo in tre o quattro minuti.
Ovviamente il radar poteva vedere più lontano dell’occhio, ma non offriva una visuale altrettanto precisa.
Inoltre, non ci azzardavamo a usare altro che armi selettive e a breve gittata. I nostri commilitoni erano disseminati ovunque. Se saltava fuori un ragno e facevi partire qualcosa di letale, potevi stare certo che non molto lontano c’era un fante. Questo limitava fortemente la gamma e la forza degli ordigni che ti azzardavi a usare. In quest’operazione solo ufficiali e sergenti di squadrone erano armati con razzi, ma il loro uso non era previsto. Se un razzo falliva il suo obiettivo, aveva la pessima abitudine di continuare a cercare finché non ne trovava uno. Non sapeva distinguere i nemici dagli amici, in un piccolo razzo può essere rinchiuso solo un cervello abbastanza stupido.
Sarei stato felice di scambiare quell’area da pattugliare, con qualsiasi altra missione, per esempio con un semplice attacco a un solo squadrone in cui si sa dove sono i propri uomini e tutto il resto è un nemico da colpire.
Non perdevo tempo a lamentarmi. Tentavo di tenere d’occhio il terreno e lo schermo radar contemporaneamente. Nel frattempo procedevo veloce verso il cratere. Strada facendo non vidi nessun buco da cui potessero uscire i ragni, ma balzai al di là di un canalone asciutto, una specie di canyon, che poteva contenerne a volontà. Non mi fermai a guardare. Mi limitai a comunicarne le coordinate al mio sergente di squadrone dicendogli di mandare qualcuno a controllare.
Il cratere era più grande di quanto avessi immaginato: la Tours ci sarebbe entrata diverse volte. Lessi sul mio contatore la carica radioattiva del fondo e delle pareti, e scoprii che il livello era eccessivo perfino per le protezioni della tuta. Calcolai l’ampiezza e la profondità con il sonar del casco, poi feci una breve ricognizione per individuare aperture che immettessero nel sottosuolo.
Non ne trovai, mi imbattei invece negli uomini di guardia degli squadroni laterali del Primo e del Quinto reggimento. Pensai di mettermi d’accordo per dividere la guardia in tre settori, in modo che ciascuno di essi potesse invocare l’aiuto degli squadroni vicini tramite il tenente Do Campo dei cacciatori, che stava alla nostra sinistra. Poi rimandai Naidi e parte della sua pattuglia (comprese le reclute) a raggiungere il resto dello squadrone, e riferii il tutto al comandante e al mio sergente di plotone.
— Capitano — dissi a Blackie — non avvertiamo alcuna vibrazione del suolo. Scendo all’interno alla ricerca dei fori. Dai dati risulta che non dovrei accumulare una dose di radiazioni troppo alta, sempre che…
— State alla larga da quel cratere.
— Ma capitano, pensavo solo di…
— Silenzio. Ho detto alla larga.
— Sissignore.
Le nove ore che seguirono furono di una noia mortale. Eravamo stati precondizionati per quaranta ore di servizio (due rivoluzioni del pianeta P) per mezzo di un sonno forzato, un’elevata somministrazione di zuccheri e un indottrinamento ipnotico. Inoltre le tute sono predisposte per soddisfare autonomamente le varie esigenze corporee. Le tute hanno certo dei limiti di autonomia, ma ogni uomo è dotato di una dose extra di carburante e cartucce d’ossigeno per la ricarica. Ma una pattuglia senza azione si annoia, distraendosi facilmente.
Feci del mio meglio per animare le truppe: stabilii turni in cui il sergente di squadrone e io ci alternavamo nel servizio di ronda con Cunha e Brumby (lasciando così che i sergenti avessero tempo di andarsene in giro), ordinai che le ricognizioni avvenissero secondo uno schema sempre diverso, in modo che ogni uomo dovesse controllare di volta in volta una zona di terreno nuovo. Ci sono innumerevoli metodi per coprire una data area, alternando le possibili combinazioni. Inoltre consultai il mio sergente di plotone e annunciai che ci sarebbero stati punti di merito da assegnare per il primo buco scoperto, per il primo ragno ucciso e così via. Trucchetti da esercitazione, ma sempre utili per tenere desta l’attenzione degli uomini. Un uomo attento è spesso un uomo che se la cava.
Alla fine ricevemmo la visita di un’unità speciale: tre ingegneri in aviovettura da campo, che scortavano un individuo specialissimo: una specie di rabdomante spaziale. Blackie mi avvertì di tenermi pronto a riceverli. — Proteggeteli e fate tutto quello che vi diranno.
— Sissignore. Di che cosa avranno bisogno?
— E che ne so? Fate tutto quello che vi ordina il maggiore Landry.
— Il maggiore Landry. Sissignore.
Trasmisi l’ordine, e andai a riceverli incuriosito: non avevo mai visto uno di quei talenti speciali al lavoro. Planarono entro i limiti della mia zona, verso il fondo a destra, e scesero a terra. Il maggiore Landry e i due ufficiali portavano la tuta ed erano armati di lanciafiamme, ma il prodigio non aveva né tuta né armi, solo una maschera a ossigeno. Indossava un’uniforme senza insegne e pareva annoiato di tutto e tutti. Non gli fui presentato. A prima vista sembrava un ragazzo di sedici anni, ma guardandolo meglio notai che aveva una fitta rete di rughe attorno agli occhi stanchi.
Nello scendere a terra si tolse la maschera. Inorridito, mi rivolsi al maggiore Landry, avvicinando il mio casco al suo, senza utilizzare la radio. — Maggiore… qua intorno l’aria è radioattiva. E poi ci hanno avvertiti che…
— Zitto — ordinò il maggiore. — Lui lo sa benissimo.
Tacqui. Il prodigio si allontanò per un breve tratto, girò su se stesso, si morse il labbro inferiore. Teneva gli occhi chiusi e pareva assorto.
Poi aprì gli occhi e disse, seccato: — Come si fa a lavorare con tutta questa gente che si muove attorno?
Il maggiore Landry ordinò brusco: — Fate congelare lo squadrone.
Feci per protestare, ma poi mi inserii sul circuito globale: — Primo squadrone guardie nere, a terra e congelarsi!
Lo squadrone di Silva era un modello di disciplina: il mio ordine venne ripetuto dalle voci dei capisquadra, poi ritrasmesso ai capipattuglia, e infine eseguito senza un commento di protesta.
— Maggiore — dissi — posso permettere agli uomini di strisciare sul terreno?
— No. E taccia.
Il sensitivo risalì sulla vettura, e si rimise la maschera. Non c’era posto per me, ma mi venne ordinato di aggrapparmi e lasciarmi trasportare. Sorvolammo un paio di chilometri per poi riatterrare. Il sensitivo si tolse di nuovo la maschera e fece un giretto. Stavolta parlò a uno degli ufficiali ingegneri, il quale annuì e cominciò a disegnare qualcosa su un blocchetto.
L’unità in missione speciale atterrò circa una dozzina di volte sulla mia area, e in ogni occasione rifece esattamente le stesse cose, poi si spostò nella zona presidiata dal Quinto reggimento. Prima di andarsene, l’ufficiale che aveva continuato a tracciare disegni estrasse un foglio dal fondo di una scatola che faceva da sostegno al blocchetto e me lo porse. — Qui c’è la sua mappa sotterranea. La larga striscia rossa è l’unica arteria principale dei ragni situata nella sua area. È a circa trecento metri di profondità. Verso il fondo, a sinistra, sale fino a raggiungere una profondità di soli trentacinque metri nel punto di uscita. Il tratteggio azzurro chiaro è una grossa colonia di ragni. Le ho segnato l’unico punto in cui la colonia si trova a soli trenta metri di profondità. In quel punto può mettere alcuni uomini in ascolto, in attesa che torniamo per provvedere.