Dietro di me sentii: — Squadra!
— Prima pattuglia… Seconda pattuglia… Terza pattuglia…
— Per pattuglie, seguitemi. — E Cunha si infilò nella buca dietro di me.
Be’, così ci si sente molto meno soli, effettivamente.
Ordinai a Cunha di lasciare due uomini all’ingresso della buca, per coprirci le spalle, poi guidai gli altri lungo la galleria già percorsa dalla seconda squadra. Ci muovevamo il più in fretta possibile, cosa non facile visto che la parte superiore del tunnel era proprio sopra le nostre teste. Con una tuta potenziata un uomo si può muovere come se stesse pattinando, senza sollevare i piedi. Non è né facile né naturale, ma senza armamento avremmo potuto spostarci a grandissima velocità.
Subito dovemmo ricorrere ai visualizzatori, e questo confermava l’idea secondo cui i ragni vedevano grazie ai raggi infrarossi.
Il tunnel, visto attraverso le nostre apparecchiature, era bene illuminato. Per il momento si estendeva sempre uguale, con pareti a volta e il pavimento liscio e regolare.
Arrivati all’incrocio con un’altra galleria, mi fermai interdetto. Esistono molte regole su come disporre le forze d’assalto nel sottosuolo, ma a che cosa ci servivano? Chi le aveva stabilite di certo non le aveva mai messe in pratica, perché prima dell’Operazione Nobiltà nessuno era mai tornato su per dirci se funzionavano o meno.
Una delle tattiche consigliava di lasciare un uomo di guardia a ogni intersezione. Ma io ne avevo già lasciati due all’imbocco del tunnel, e se continuavo a disperdere forze rischiavo di diminuire le possibilità di difesa.
Decisi che saremmo rimasti tutti insieme e nessuno di noi si sarebbe lasciato catturare. Non dai ragni. Meglio una morte rapida e definitiva. Con quella decisione, la mia mente si liberò da un peso, e mi sentii molto più tranquillo.
Scrutai cautamente lungo l’altro tunnel, da tutt’e due le parti. Niente ragni. Così gridai, usando il circuito sottufficiali: — Brumby!
Il risultato fu sconcertante. Di solito, quando si usano i circuiti radio della tuta, si riesce a sentire sì e no la propria voce. Ma lì, sottoterra, in quel dedalo di corridoi, la mia voce mi ritornò ingigantita.
Quell’eco rintronava le orecchie. E subito dopo udii: — Signooor Riicooo!
— Parla sottovoce — raccomandai, sussurrando a fior di labbra. — Dove siete?
Brumby mi rispose, con voce meno assordante: — Non lo so, signore. Ci siamo smarriti.
— Niente paura. Stiamo venendo a cercarvi. Non potete essere lontani. Il sergente di squadrone è con voi?
— Signornò. Non siamo…
— Un momento. — Schiacciai il mio circuito privato. — Sergente…
— La sento, signore. — La sua voce era calma e anche lui regolava il volume smorzandola. — Brumby e io siamo in contatto radio, ma non siamo riusciti a riunirci.
— Dove si trova?
Esitò. — Signore, il mio consiglio è di riunirvi alla squadra di Brumby, e fare subito ritorno in superficie.
— Risponda alla mia domanda.
— Signor Rico, potrebbe restare quaggiù una settimana senza riuscire a trovarmi, e io non sono in grado di muovermi. Deve…
— Basta, sergente! È ferito?
— No, signore, ma…
— Allora perché non si può muovere? È nei guai con i ragni?
— Signorsì, sono centinaia. Per ora non possono raggiungermi, ma io non posso uscire di qua. Perciò credo che farebbe meglio…
— Sergente, la finisca di dire sciocchezze. Sono certo che sa benissimo quali svolte ha preso. Mi spieghi bene la strada, mentre io guardo la mappa. È un ordine. Passo.
Mi obbedì, dandomi spiegazioni precise e concise. Accesi la lampada del casco, rialzai i visualizzatori e seguii le indicazioni sulla mappa. — Bene — dissi poi. — È quasi proprio sotto di noi, due livelli più in basso. Arriveremo appena ci saremo riuniti alla seconda squadra. Resista. — Passai sull’altro circuito: — Brumby…
— Eccomi, signore.
— Arrivati alla prima intersezione, siete andati a sinistra o a destra?
— Sempre diritto, signore.
— Benissimo. Cunha, raduna gli uomini. Brumby, avete avuto difficoltà con i ragni?
— Ora no, signore. Ma è per colpa loro che ci siamo smaniti. Ci siamo imbattuti in un gruppo di ragni, c’è stato uno scontro, e a combattimento finito non siamo più riusciti a raccapezzarci.
Feci per chiedergli delle perdite, ma poi decisi che le cattive notizie potevano attendere. Volevo riunire la mia squadra e uscire di lì. Una città dei ragni senza ragni in vista era in qualche modo più fastidiosa dei ragni che ci aspettavamo di incontrare. Brumby ci guidò nelle due svolte successive e io lanciai in tutti i corridoi che non imboccavamo bombe che sprigionavano una sostanza derivata dal gas nervino che usavamo contro i ragni in passato. Non li uccideva, ma li faceva cadere paralizzati. Era questa la dotazione che avevamo ricevuto per l’operazione, e io avrei scambiato una tonnellata di quel gas per poche libbre di quello scoperto di recente. Tuttavia poteva sempre servire a coprirsi i fianchi.
In un lungo tratto di galleria perdemmo i contatti con Brumby, ma alla prima intersezione li ristabilimmo. Qualche scherzo delle onde radio, probabilmente.
Ma in quel punto, Brumby non seppe dirmi altro: lì, più o meno, i ragni li avevano assaliti.
E lì i ragni assalirono noi.
Non so da che parte fossero sbucati. So solo che all’improvviso risuonò alle mie spalle il grido: — Ragni! Ragni! — Mi voltai. Erano dappertutto. Ho il sospetto che quelle pareti non fossero solide come sembravano: solo così si spiega quell’irruzione in massa.
Non potevamo usare né bombe né lanciafiamme, rischiavamo di colpirci tra noi. Ma potevamo usare mani e piedi…
Il combattimento durò forse un minuto, e quando finì non c’erano più ragni, solo membra staccate sparse al suolo e quattro uomini morti.
Uno era il sergente Brumby. Durante lo scontro la seconda squadra, che non era molto lontana, ma non si era mossa prima per timore di smarrirsi ulteriormente, ci aveva raggiunto. I clamori della battaglia li avevano guidati nella nostra direzione, e così, pur non potendo ricorrere alla radio, eravamo riusciti a ritrovarci.
Cunha e io ci accertammo che per i caduti non ci fosse più niente da fare, poi fondemmo insieme le due squadre e cominciammo a discendere. Trovammo i ragni che assediavano il nostro sergente di squadrone.
Quella battaglia durò solo qualche secondo, perché il sergente mi aveva già chiarito che cosa dovevo aspettarmi. Aveva catturato un ragno-cervello e si faceva scudo del corpo piatto. Non poteva uscire di là, ma i ragni non potevano attaccarlo senza suicidarsi, colpendo il loro stesso cervello.
Noi non avevamo timori del genere. Li colpimmo alle spalle, massacrandoli.
Un istante dopo fissavo l’orrida cosa che il mio sergente stringeva a sé, sentendomi pieno di esultanza nonostante le perdite subite. All’improvviso udii un rumore di lardo che frigge. Un grosso pezzo del tetto mi crollò addosso e, per quanto mi riguarda, l’Operazione Nobiltà terminò di colpo.
Mi risvegliai in un letto, e in un primo momento credetti di essere ancora al corso ufficiali e di avere avuto un brutto incubo popolato di ragni. Ma non ero al corso. Mi trovavo nell’infermeria della nave-trasporto Argonne e avevo effettivamente comandato uno squadrone tutto mio per circa dodici ore.
Adesso, però, ero soltanto un paziente in più, affetto da avvelenamento da protossido d’azoto ed eccesso di radiazioni per essere rimasto più di un’ora senza tuta prima di venire recuperato. Mi ritrovavo anche tre o quattro costole rotte e una botta in testa che mi aveva messo fuori combattimento.
Ci volle parecchio prima che potessi ricostruire con esattezza l’Operazione Nobiltà. Alcuni particolari non sono mai riuscito a saperli. Per esempio perché Brumby avesse trascinato la sua pattuglia nel sottosuolo. Brumby è morto, e Naidi giace nella tomba accanto alla sua. Di conseguenza devo accontentarmi della magra soddisfazione di sapere che entrambi avevano avuto i galloni e li portavano quel giorno sul pianeta P quando niente era andato secondo i piani.