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Qualche tempo dopo seppi, comunque, perché il mio sergente di squadrone era sceso nella colonia dei ragni. Aveva sentito il mio rapporto al capitano Blackstone, quando avevo detto che l’irruzione dei ragni operai rappresentava solo un diversivo.

Quando i veri ragni guerrieri erano usciti in superficie nella sua zona, il sergente era arrivato alla conclusione (esattamente, e con qualche minuto di anticipo sulle conclusioni, identiche, a cui giunse poi il comandante generale) che i ragni tentassero un colpo di mano dettato dalla disperazione, perché se non fosse stato così non avrebbero sacrificato in quel modo i loro operai.

Avendo notato che il contrattacco sferrato dalla città dei ragni non era portato avanti con forze sufficienti, aveva concluso che il nemico non aveva molte riserve. A quel punto, aveva deciso che quello era il momento favorevole affinché un uomo, agendo da solo, avesse la possibilità di effettuare un’incursione, trovare un cervello e catturarlo. Bisogna ricordare che lo scopo dell’operazione era proprio quello. E così aveva tentato, approfittando dell’occasione, e ce l’aveva fatta.

E con questo si era avuto il “missione compiuta” dal primo squadrone delle guardie nere. Non erano stati molti gli squadroni che avevano potuto fare la stessa comunicazione. Non era stata catturata nessuna regina (i ragni avevano preferito ucciderle) e soltanto sei cervelli erano stati fatti prigionieri. Nessuno di essi fu usato per uno scambio di prigionieri: non vissero abbastanza. Ma quelli delle Ricerche psichiche poterono disporre di campioni vivi da studiare, perciò ritengo che l’Operazione Nobiltà sia stata un successo. Il mio sergente di squadrone ottenne un avanzamento di grado per meriti di guerra. A me non fu offerto (e comunque non avrei accettato), ma non fui sorpreso quando seppi della sua promozione. Il capitano Blackstone mi aveva detto che mi era toccato il “miglior sergente di tutta la flotta”, e non avevo mai messo in dubbio la sua opinione. Conoscevo già il mio sergente, perché l’avevo incontrato in precedenza. Credo che nessuna guardia nera lo sapesse, di certo io non ne avevo mai parlato. Credo che lo stesso Blackie lo ignorasse. Ma io conoscevo il mio sergente di squadrone fin dal primo giorno di vita militare.

Si chiamava Zim.

Quanto al mio ruolo in quell’operazione, non lo reputavo certo un successo. Rimasi sull’Argonne per oltre un mese, come ferito e, poi, convalescente, prima di essere sbarcato a Sanctuary insieme a pochi altri. Ebbi tempo di riflettere, un po’ sulle perdite subite, un po’ sulla bella occasione sprecata di distinguermi come comandante di squadrone. Non avevo tenuto d’occhio ogni cosa come faceva il tenente Rasczak. Non ero rimasto nemmeno ferito in combattimento: mi ero lasciato semplicemente colpire in testa da un masso. Riguardo alle perdite, non sapevo nemmeno quante fossero state. Sapevo soltanto che di sei pattuglie me ne erano rimaste quattro. E chissà quanti altri erano morti prima che Zim riportasse gli uomini alla superficie e le guardie nere ricevessero il cambio.

Non sapevo nemmeno se il capitano Blackstone era ancora vivo. Lo era; anzi, seppi poi che aveva ripreso il comando mentre io mi trovavo nel sottosuolo. Non so bene come sarebbero andate le cose nel caso che il sottotenente provvisorio fosse rimasto vivo e l’ufficiale al comando fosse morto. Ma sentivo che il modulo 31 (quello con il giudizio dell’esaminatore) mi avrebbe rispedito di corsa tra i sergenti.

Ormai mi sembrava senza importanza il fatto che i miei libri si trovassero su un’altra astronave.

Tuttavia, appena mi alzai dal letto, presi in prestito i testi di matematica da uno degli ufficiali più giovani e mi misi a studiare. La matematica è una materia difficile, tiene la mente occupata e in fondo vale sempre la pena di impararla. Non importa quale sia il proprio grado, nella matematica si possono trovare tutte le cose importanti.

Quando finalmente tornai alla Scuola ufficiali e restituii le stellette, seppi che ero ancora allievo ufficiale e non sergente. Blackie mi aveva concesso il beneficio del dubbio.

Il mio compagno di stanza, Angelo, era in camera sua con i piedi sulla scrivania: mi aspettava, e aveva davanti a sé il mio pacco di libri di matematica. Mi guardò e si finse sorpreso. — Ehi! Credevamo che ci avessi lasciato le penne!

— Io? I ragni non mi hanno preso tanto sul serio. Tu, quando vai in missione?

— Ci sono già stato — rispose. — Sono partito il giorno dopo di te, ho fatto tre lanci e una settimana dopo ero di ritorno. Tu come mai sei stato via tanto tempo?

— Sono tornato a casa facendo un giro un po’ lungo. Ho passato un mese a bordo di un’astronave come passeggero.

— Il solito fortunato. Quanti lanci hai fatto?

— Nessuno — ammisi.

Mi fissò. — Sei proprio fortunato!

Forse Angelo aveva ragione: alla fine ebbi i gradi. Ma parte del merito fu suo, per avermi aiutato in matematica. La mia fortuna è stata in gran parte quella di avere incontrato sempre gente in gamba: Angelo, Gelatina, il tenente Rasczak, Carl, Blackie, Brumby, Ace… e naturalmente il sergente Zim. Capitano al merito di guerra Zim, adesso, con il grado permanente di comandante di squadrone. Non sarebbe stato giusto avere un grado superiore al suo solo per il fatto di essere stato ferito.

Mi trovavo con Bennie Montez, un mio compagno di corso, allo spazioporto il giorno dopo la prima nomina, in attesa di raggiungere le nostre rispettive navi. Eravamo sottotenentini talmente in erba da sentirci imbarazzati nel vederci salutare di continuo. Così, per darci un contegno leggevamo la lista delle astronavi in orbita attorno a Sanctuary, talmente lunga da far pensare che ci fossero grandi novità nell’aria, anche se nessuno ci aveva fatto l’onore di parlarcene. Mi sentivo emozionato. Si erano esauditi due dei miei più forti desideri, ero stato assegnato, infatti, alla mia vecchia compagnia, dove si trovava ancora mio padre. Inoltre, mi sarei potuto vantare di avere fatto la gavetta sotto il tenente Jelal, con alcuni importanti lanci di fronte.

Non riuscivo a crederci, tanta era la gioia, e così studiavo la lista. Tanta gente, quante astronavi!

Erano elencate per tipologia, erano troppe per individuarle in altro modo. Iniziai a leggere i nomi delle navi che trasportavano i fanti, le uniche che interessano a un membro della Fanteria spaziale mobile.

C’era la Mannerheim! Chissà se avrei avuto la possibilità di incontrare Carmen. Probabilmente no, ma potevo inviare un dispaccio e scoprirlo.

Grandi navi: la nuova Valley Forge e la nuova Ypres, e poi Marathon, El Alamein, Gallipoli, Marne, Tours, Gettysburg, Hastings, Alamo, Waterloo, e la Rodger Young. Tutti nomi di luoghi dove i fanti avevano fatto risplendere i loro nomi.

Piccole navi, quelle che avevano preso il nome dai condottieri: Horatius Alvin York, Swamp Fox, la stessa Rog, benedetta di tutto cuore, Colonnello Bowie, Devereux, Vercingetorige, Sandino, Aubrey Cousens, Kamehmeha, Audie Murphy, Xenophon, Aguinaldo.

Dissi: — Dovrebbe essercene una che si chiama Magsaysay.

Bennie mi guardò: — Cosa?

— Ramon Magsaysay — spiegai. — Grande uomo, grande soldato. Non hai studiato la storia?