Sospirò. — Un altro anno, un’altra classe… e, per me, un altro fallimento. A un ragazzo si possono insegnare delle nozioni, ma non lo si può indurre a pensare. — D’improvviso puntò il moncherino verso di me. — Tu. Qual è la differenza morale, se c’è, tra un soldato e un civile?
— La differenza — risposi con prontezza — è nel campo delle virtù civiche. Un soldato si fa carico personalmente della responsabilità riguardante la sicurezza del corpo politico di cui è membro, difendendolo, se necessario, al prezzo della propria vita. Un civile, no.
— Le parole esatte del libro — disse lui, sprezzante. — Ma le capisci? Credi a quello che hai detto?
— Ecco… non so, signore.
— Ma certo che non lo sai! Scommetto che nessuno di voi saprebbe riconoscere la virtù civica nemmeno se si materializzasse e vi urlasse in faccia. — Consultò l’orologio. — E con questo abbiamo finito, ma finito sul serio. Forse ci incontreremo di nuovo in circostanze più allegre, o forse no. Potete andare.
Di lì a poco ci fu l’esame di maturità e tre giorni dopo il mio compleanno, seguito a meno di una settimana da quello di Carl… e ancora non avevo detto al mio amico che non mi sarei arruolato. Naturalmente lui l’aveva capito da sé, ma non ne avevamo discusso apertamente. Era troppo imbarazzante. Così, mi limitai a combinare un appuntamento con lui per il giorno seguente al suo compleanno e andammo insieme all’ufficio di reclutamento.
Sugli scalini del Palazzo federale incontrammo Carmencita Ibañez, una nostra compagna di classe e una delle più deliziose rappresentanti del suo sesso. Carmen non era la mia ragazza. In realtà, non era la ragazza di nessuno, dato che non usciva mai due volte di fila con lo stesso ragazzo e ci trattava tutti con la stessa gentilezza un po’ impersonale. Io, però, la conoscevo bene: veniva spesso a nuotare nella nostra piscina olimpionica. A volte ci veniva insieme a un compagno, a volte insieme a un altro. A volte, su insistenza di mia madre, veniva da sola. Mia madre diceva che Carmencita esercitava un’ottima influenza. Una volta tanto, aveva ragione.
Carmencita ci vide e ci aspettò, sorridendo. — Ehi, ragazzi!
— Salve, Occhi belli - dissi. — Che cosa ci fai da queste parti?
— Non lo immagini? Oggi è il mio compleanno.
— Davvero? Cento di questi giorni.
— E così vengo ad arruolarmi.
— Oh… — Credo che Carl fosse sorpreso quanto me.
Ma Carmencita era fatta così: non era una chiacchierona e sapeva tenere per sé i fatti suoi. — Dici sul serio? — aggiunsi con aria idiota.
— Perché dovrei scherzare? Voglio fare il pilota spaziale… o, almeno, intendo provarci.
— Non vedo perché non dovresti riuscirci — disse subito Carl. Aveva ragione, anzi adesso so che aveva ragione da vendere. Carmen era piccola e minuta, con un’ottima salute fisica e riflessi perfetti, campionessa di tuffi e bravissima in matematica. Io me l’ero cavata con un sette in algebra e un sei in matematica finanziaria; lei aveva frequentato tutti i corsi di matematica che la nostra scuola offriva e, oltre a quelli obbligatori, aveva seguito corsi di perfezionamento. Ma non mi era mai venuto in mente di chiedermi perché lo facesse. La verità era che Carmencita era così bella che nessuno pensava potesse anche avere un cervello.
— Anche noi… cioè, anch’io sono qui per arruolarmi — disse Carl.
— Lo stesso vale per me — dissi io. In realtà, non avevo ancora deciso, ma la mia bocca parlò per conto suo.
— Magnifico!
— Chiederò anch’io di diventare pilota spaziale — proseguii in tono fiero. Carmencita non si mise a ridere. Disse invece con grande serietà: — Che bellezza! Magari durante l’addestramento incapperemo uno nell’altro. Lo spero.
— Alludi a un’eventuale collisione? — disse Carl. — Non sarebbe il modo migliore di diventare pilota.
— Non essere sciocco, Carl. Parlavo di un incontro a terra. Anche tu vuoi diventare pilota?
— Io? No — disse Carl. — Non ho la stoffa del camionista. Opterei per la Ricerca e sviluppo in campo astronomico, se mi accettano. Vorrei occuparmi di elettronica.
— Capirai! Così magari ti spediscono a congelare su Plutone. Sto scherzando. Ti dico invece “in bocca al lupo”. Allora, ci decidiamo a entrare?
Il centro di reclutamento era nell’atrio, una specie di chiosco, separato dalla sala da una ringhiera. Alla scrivania sedeva un sergente con una vistosissima uniforme da parata e il petto ricoperto di nastrini che per me non significavano niente. Il braccio destro gli era stato portato via talmente di netto che la giacca era stata confezionata senza manica. Inoltre, avvicinandosi alla ringhiera, si poteva vedere che non aveva le gambe.
La cosa non pareva avvilirlo. Carl disse: — Buongiorno. Voglio arruolarmi.
— Anch’io — feci eco.
Lui ci ignorò. Dalla sua sedia accennò una specie di inchino e disse: — Buongiorno, signorina. In che cosa posso esserle utile?
— Voglio arruolarmi anch’io.
Lui sorrise. — Brava ragazza. Vada nella stanza due zero uno e chieda del maggiore Rojos. Si occuperà di lei. — La guardò dalla testa ai piedi. — Pilota? — chiese.
— Se è possibile…
— Ne ha tutte le caratteristiche. Bene, vada dalla signorina Rojos.
Con un ringraziamento al sergente e un arrivederci a noi, Carmencita se ne andò. L’uomo riportò la sua attenzione su di noi e ci studiò senza nemmeno l’ombra dell’interesse che aveva dimostrato per Carmencita. — Allora — chiese — dove volete arruolarvi? In salmeria?
— Oh, no! — protestai. — Voglio fare il pilota.
Mi fissò, poi distolse lo sguardo senza fare commenti. — E tu? — chiese a Carl.
— Vorrei entrare nel corpo di Ricerca e sviluppo — rispose Carl con aria seria. — Specializzazione elettronica, possibilmente. Mi risulta che le probabilità di essere ammessi sono abbastanza buone.
— Sono buone, se superi l’esame — ribatté severo il sergente. — Ma bisogna avere i numeri, sia come capacità sia come preparazione. Sentite, ragazzi, avete idea del perché mi tengono dietro questo tavolo?
Io non capii la domanda. Carl chiese: — Perché?
— Perché il governo se ne infischia che voi vi arruoliate o no. Perché è diventata una moda, per certa, troppa, gente, fare una ferma, guadagnarsi il diritto di voto e appiccicarsi un nastrino all’occhiello per darsi le arie del veterano, magari senza avere mai partecipato a un combattimento. Ma se voi siete decisi ad arruolarvi e io non riesco a dissuadervi, allora dobbiamo prendervi, perché è un vostro diritto costituzionale. Tutti, maschi e femmine, hanno diritto per nascita a servire il governo e ad assumere la piena cittadinanza, ma la verità è che non sappiamo più come utilizzare i volontari in servizi che siano veramente utili. Non tutti possono essere dei veri militari e a noi non servono molti uomini. Inoltre, quelli che si presentano, nella maggior parte dei casi, non sono esattamente materiale di prima scelta. Avete idea di quello che occorre per essere un buon soldato?