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Ritirò, dopo averla minuziosamente passata tutta a pollice per difendersi da eventuali sorprese, la “sua” Forrestal. Era una lancetta di tre metri con un motore maligno di tre cavalli. Al traino della sua fida utilitaria se la portò al circolo nautico.

Dopo due ore, con il collega Fracchia, le due “signore mogli” e i quattro figli (una di Fantozzi e rimanenza Fracchia) uscivano fuori dal molo: le “nuvole” li accompagnavano implacabili.

Si erano attrezzati da ammiragli. Fracchia sembrava il grande ammiraglio Rader: non aveva le medaglie e gli alamari però aveva il berretto, il binocolo d'alto mare e guanti neri. Fantozzi, che forse aveva esagerato, sembrava Nelson a Trafalgar: feluca, sciabola e tanto era entrato in parte che sembrava senza un braccio. Solo più tardi si capì che il tutto era dovuto alle misure un po' abbondanti del giubbotto da marina.

Doppiando il molo Fantozzi guardò col binocolo alcuni dopolavoristi che soffrivano stoicamente nei loro quadrati di grandine, li salutò principescamente col braccio: nessuno rispose! Allora il motorino fece ciuf… ciuf… un paio di volte e si fermò. Fece ancora una finta: un altro ciuf isolato che accese di speranza il volto dell'ammiraglio Nelson, poi si bloccò decisamente.

I dopolavoristi guardavano ora incuriositi la scena. l'ammiraglio Nelson disse alla moglie: “Pina spostati!”; tirò violentemente la cordicella e centrò col gomito in pieno naso l'ammiraglio Rader che volò fuori bordo. I dopolavoristi cominciarono a far arrivare delle risate tristi. L'ammiraglio Nelson cominciava a diventare cianotico.

Alla mezz'ora gli rimase in mano la cordicella d'avviamento e sparò un bestemmione pauroso. I dopolavoristi si ammutolirono.

Alla terza ora Nelson e Rader cominciarono a smontare il motore: volevano “vedere” dov'era il guasto.

Alla quinta ora erano distrutti, unti di catrame e grasso fino alle orecchie.

Alla sesta ora Fantozzi decise di staccare il motore: svitò la prima vite-farfalla… la seconda… sfilò il motore dai cardini e disse a Fracchia: “Mi dia una mano… non stia lì impala…”. Non finì la frase, un movimento impercettibile della barca gli fece perdere l'equilibrio e volò in mare scomparendo col motore. Quando riemerse, Fracchia gli domandò: “Lo tiene sempre ben stretto?”. Sentito quello che Fantozzi disse in quest'occasione, i dopolavoristi lasciarono precipitosamente la posizione con la loro nuvola facendosi il segno della croce.

Fantozzi disse imperiosamente: “Ai remi, signori si torna!”. I remi non li avevano portati. Fracchia decise di legarsi una fune alla cintura e di trainare la barca nuotando: si tuffò di testa centrando l'unico scoglio semiaffiorante che c'era nel raggio di 120 chilometri.

Quando raggiunsero il molo era già notte. Fantozzi disse a Fracchia: “Tenga ferma la barca, io salto e poi vi aiuto a salire“. Si sentì il tonfo nell'acqua nera di catrame.

Si accorsero quando erano ormai all'utilitaria che mancava un figlio di Fracchia, ma decisero che ormai era così sporco che non si sarebbe mai più potuto smacchiare, e partirono.

II lunedì mattina Fantozzi entrò in ufficio in una splendida giornata di sole. Un collega gli domandò: “Come è andata la sua prima gita in barca?”. Lui non rispose. Nella semioscurità del sottoscala, due grosse lacrime piene di dignità gli colavano lentamente sulle guance. Nessuno fece più domande e lo lasciarono solo.

FANTOZZI VA AI BAGNI

Fantozzi è andato domenica pomeriggio ai bagni Flora con la signorina Silvani.

Fantozzi nella sua tragica timidezza era sempre stato spigoloso con le donne e giustificava questa sua posizione con la riuscita del suo matrimonio con la signora Pina. Ma in verità per la moglie, capelli opachi color topo, naso alla Dante, e rassegnata a una vita squallida, Fantozzi covava un cupo rancore e un grande desiderio, quello di squartarla e di servirla alla “cacciatora” in un gran banchetto coi colleghi d'ufficio. La signorina Silvani invece, dell'ufficio cabale, gli era decisamente simpatica e, a modo suo, le faceva da sei anni la corte.

Ogni anno, nel mese di agosto, sua moglie andava in campagna. Campagna si fa per dire, era una casetta di contadini, a un'ora di utilitaria dal centro, dove mancavano la luce e l'acqua, e la toilette era una di quelle alla “turca”. Ma la signora Pina aveva così l'impressione di essere in villeggiatura.

Fantozzi “in campagna” ci andava raramente, anche perché aveva avuto un curioso incidente che l'aveva scioccato. La prima volta che c'era andato si era avventurato alla toilette perché in grave difficoltà: aveva la fronte imperlata da goccioline gelate e dei dolori tipo parto. La porta rimaneva chiusa solo se ci si aggrappava con le mani alle maniglie. Al quarto minuto si schiodò di colpo la maniglia di destra e lui, con una sforbiciata all'indietro e un urlo orrendo, si infilò quasi in coppa. La signora Pina accorse premurosa e poi chiese: “Desideri qualcosa?”. Lui rispose con una bestemmia da competizione: 36 minuti!

Venerdì sera la signorina Silvani gli mandò il cuore in gola: “Perché domenica, se è solo, non mi accompagna al mare?”. Il sabato pomeriggio Fantozzi andò dal parrucchiere, alla sera all'ora di cena le telefonò, come d'accordo, per ricordarle il loro appuntamento. Al telefono era stato particolarmente brillante e verbosissimo anche se aveva la salivazione azzerata. Dopo una tremenda “inchiodatura” di un'ora la signorina Silvani lo pregò di lasciarla andare a dormire. “A domani alle 10” era stata la frase di commiato, e lui, buttato giù il telefono, fu pervaso da una contentezza irrefrenabile. Andò in bagno cantando a squarciagola, ma fu subito zittito severamente dai vicini. Quando fu seduto sul letto disse: “La vita è bella” e si buttò all'indietro dando una craniata pazzesca contro lo schienale di legno e svenne.

Passò dallo svenimento al sonno senza accorgersene e alle 8,30 dell'indomani, dopo un sonno nel quale aveva sognato come sempre di squartare sua moglie, si svegliò e cominciò i preparativi. Zoccoli, pantaloni di tela blu di una larghezza sensazionale perché di vecchia foggia, camicione di flanella invernale caldissimo, foulard annodato al collo come aveva visto in una foto di Gigi Rizzi a St. Tropez (ma il suo era gigantesco e i lembi gli toccavano le ginocchia). Cuffia da bagno bianca in testa e asciugamano gettato con noncuranza sulle spalle. Scendendo la scala di casa con gli zoccoli scivolò al primo gradino della rampa e venne giù a valanga. Si arrestò dopo un volo di quasi settantadue metri, di fronte agli occhi allibiti del portinaio che lo salutò con grande stupore. Lui da terra rispose con uno strano sorriso.

La signorina Silvani lo aspettava in un abitino rosa, sotto casa: aveva una borsa di plastica con del ghiaccio e delle birre.

“Non avremo sete” disse alzando la borsa e sali in macchina. La 500 era un forno e c'era un traffico apocalittico; arrivati ai bagni Flora girarono quasi quarantasei minuti per trovare un parcheggio. Erano stati imprevidenti: c'era gente che era arrivata alle quattro del mattino per conquistare un posto all'ombra. Altri avevano coperto le auto con frasche e teli. C'era un clima di tensione tremenda. Quasi trecentoventi macchine si muovevano in circolo coi guidatori che fingevano di gironzolare distrattamente, in realtà aspettando coi nervi a pezzi che si aprisse un varco.

Di fronte a Fantozzi quasi un miraggio: se ne andava una grossa cilindrata. Lui si fermò di colpo. Attese come un giaguaro e quando la macchina parti nel varco si scontrarono, formando un tremendo ammasso di lamiere contorte, quasi diciotto macchine. Ne seguì una guerriglia sulle alture che durò fino alle tre del pomeriggio. Fantozzi ricorda di avere anche sentito diversi colpi di rivoltella.

Entrarono al ristorante dei bagni Flora e attesero un'ora gli spaghetti. Poi Fantozzi uscì allo scoperto. Pelle bianco-latte, cuffia in testa, asciugamano sulle spalle, costume di lana rossa con cintura bianca che gli arrivava fin sotto le ascelle, gli zoccoli li aveva lasciati in cabina perché aveva i piedi tutti piagati. Sulla spiaggia non c'era posto neppure in piedi. C'erano ovunque avanzi di un'orgia di frittate e panini. Molti dormivano al sole con le bocche aperte piene di sabbia e di mosche.