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Mentre si svolgeva questa interessante conversazione, il mattre si mise a preparare delle crèpes-suzette alla fiamma. Armeggiò un po', poi accese definitivamente il fornello, versò del cognac nella padella e subito si alzò una gran vampata. Fantozzi, che era a un passo, scattò in piedi, prese il secchio del ghiaccio e spense l'incendio con piglio eroico. Il mattre, grondando acqua, lo guardò con grande disprezzo.

L'indomani arrivò il conte Serbelloni, riuscito capitano d'industria, per il quale Fracchia nutriva una grande ammirazione. Il Serbelloni nascondeva, con un basco, una calotta d'argento, conseguenza di ferite riportate durante la guerra in un bombardamento aereo. Va detto che questa calotta comportava un inconveniente: tutte le volte che il conte, sovrappensiero, si picchiettava la testa con le dita, subito urlava: “Avanti, chi ha bussato? Fantozzi, per cortesia, vada a vedere”. E Fantozzi, rassegnato, andava alla porta, apriva e tornava. Il conte: “Chi era?”. “Nessuno” rispondeva Fantozzi. E il conte lo guardava ogni volta con diffidenza.

Salparono all'alba del giorno dopo. Fantozzi disse a Fracchia: “Sarà una vacanza meravigliosa e vorrei… ” non finì la frase. Preceduto dal fischio del nostromo, apparve il conte Serbelloni, vestito da ammiraglio. Lo accompagnava un applauso registrato (il conte era un megalomane), a cui seguirono pochi comandi secchi: “Attenti! Front a dest… Front”. Sistemò Fantozzi e Fracchia: alle macchine.

Fantozzi e Fracchia fecero tutta la navigazione fino in Sardegna nella sala macchine, in un caldo infernale, senza fumare e senza vedere il sole.

Arrivarono a Porto Cervo verso sera. Il conte comandò: “Fracchia alle gomene, il mozzo a prora”. Fantozzi scattò a prora. Fracchia, aveva fatto, con le corde, un groviglione pauroso, nel quale si dibattevano lui, il conte e il nostromo.

Fantozzi si preparava nervoso con l'ancora in mano. “Mozzo, butta l'ancora” ordinò il conte. L'ancora volò in mare: e dietro a essa volò Fantozzi, che aveva la corda attorcigliata a una caviglia. “Ragioniere, ma perché ha fatto il bagno di notte?” domandò la contessa. E aggiunse in tono ammirativo: “Com'è temerario lei, come si sta in acqua?”. l'acqua scura doveva essere vicina allo zero. Fantozzi rispose: “Si sta d'incanto. Cosa aspettate a buttarvi anche voi?”. Fracchia precedette la contessa e partì di scatto. Prese una rincorsa di sei metri, batté i piedi e fece “oplà”, buttandosi ad angelo. Non si sentì il tonfo, ma solo un colpo di gong: aveva centrato in pieno una boa di metallo. Cercò di barare battendo un disperato crawl sulla lamiera, poi si demoralizzò completamente e sparò una terribile bestemmia. Si dice che sia stato lui, due giorni dopo, mentre erano in alto mare, a gettare il conte fuori bordo nella notte. Costui, ripescato dopo una settimana dalla Giulio Cesare in rotta per il Sud America, fu portato a Buenos Aires. Sulle rive del Maldonado trovò lavoro e si ambientò facilmente perché sapeva lo spagnolo. Ivi visse cent'anni felice e contento.

IL RAG. MARLOCCHIO HA CHIUSO LE OLIMPIADI

Domenica Fantozzi è andato a passeggiare con la famiglia: un pomeriggio con un solicello invernale basso sull'orizzonte, e senza vento.

Due ore gli sono bastate per capire che le “Olimpiadi private” sono finite; ha visto molti partecipanti ormai rassegnati, gonfi, con le pance che sembravano ruote di scorta sotto le giacche, trascinarsi desolatamente carponi da panchina a panchina seguendo l'ultimo raggio di sole.

Ogni quattro anni gli italiani fanno le loro Olimpiadi private parallelamente a quelle ufficiali. Nell'autunno del '68 sono state particolarmente importanti perché contemporanee a quelle di MEXICO, che sono state precedute da un battage pubblicitario veramente straordinario, improvvisato nella piazza delle Tre Culture fra studenti e “granaderos”.

La televisione ha tenuti tutti alzati alle volte fino alle 3 di notte. Arrivavano alla “timbratura cartellini” del mattino con gli occhi un po' arrossati per la veglia, ma a ben guardare c'era una maschia determinazione nel salire l'ultima rampa di scale e un fuoco nuovo negli occhi: ognuno viveva la sua Olimpiade privata.

Al mattino gli autobus, gli uffici erano pieni di esperti di atletica; si incrociano giudizi sulla preparazione degli atleti, sui regimi dietetici da seguire nei periodi di surménage fisico. Si parla di “acclimatazione all'altura”, di vantaggi degli atleti degli altipiani, si citano i record dall'Olimpiade di Londra del '48 in poi con un tono di quasi attendibilità, e si può stupire il ragazzo del bar confrontando i tempi incredibilmente alti delle Olimpiadi di Los Angeles del lontano '32, ma il merito si dice è della rarefazione dell'aria o della maggiore penetrabilità, “soprattutto” della famosissima pista in tartan. Fantozzi si lamenta: “… grazie tante… anch'io se avessi il pavimento del mio ufficio in tartan avrei un maggiore rendimento sul lavoro!”

Poi si è scatenata anche la stampa. Il medagliere dell'Italia è una specie di Caporetto, e allora tutti addosso al CONI che non costruisce i campi. Le statistiche sono demoralizzanti: pare che in Italia ci sia una pista in terra battuta (non certo il magico tartan) ogni 100.000 abitanti. Anche i giornali di fiducia fanno scoprire cose incredibili.

La Calabria e la Lucania non sono assolutamente attrezzate per qualsivoglia attività sportiva! E molti le pensavano piene di piscine e di prati verdi all'inglese, pullulanti di golf club elegantissimi, campi da polo e tennis tra gli uliveti! Si dice che la più delusa sia stata una certa contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare che, sbarcata dal suo bellissimo panfilo Lotta continua sulla spiaggia di Locri in Calabria, pare abbia esclamato alla vista di quella pietraia terrificante sotto il sole: “Però, d'accordo, non ci sono i campi da polo, ma qui aria da respirare ne hanno fin che ne vogliono!”.

Comunque tutti decisero che era meglio trascurare i problemi della scuola e fregarsene degli argini nel Biellese per costruire delle piste in tartan per ragionieri; quello che conta in quei brucianti momenti della sconfitta è il medagliere di Monaco '72.

Tutti fanno buoni propositi di ricominciare un po' col nuoto o con qualche corsetta con due maglioni sulle alture.

Si è capito che era iniziata l'atletica quando un mattino si è visto con occhi esterrefatti il ragioner Marlocchio, che abita vicino a casa, uscire corricchiando verso l'ufficio e saltare un cancelletto di 20 cm. con lo stile di Frinolli.

Il rag. Marlocchio, resosi conto che per motivi di sicurezza non lo avrebbero mai lasciato allenare ai 1.500 metri piani nei corridoi del suo ufficio, decise d'allenarsi all'alba.

Si svegliò alle 5 e mezzo. La moglie gli chiese: “Non puoi dormire?”. Lui non rispondeva ma si infilava una serie di pesanti maglioni. La “sua signora” lo guardava. “Ma cosa fai?” chiese con un tremito nella voce. “Niente, niente,” rispose lui brusco “esco un attimo… per una commissione.” Aprì la porta dell'ascensore con grande prudenza, e si incontrò faccia a faccia col portinaio: aveva indosso 4 maglioni, guanti di lana, passamontagna, i calzoni “brutti” e scarpe da tennis. Marlocchio decise di non salutare perché sarebbe stato troppo lungo spiegare che era cominciata la sua serie di allenamenti sui 1.500 piani, e che tutta quella spaventosa attrezzatura di lana gli serviva per buttar giù del peso.