La notizia si sparse per incantamento in tutto il palazzo: “Prende un tram al volo… prende un tram al volo… il rag. Fantozzi si rischia un tram al volo!..”. E su su, per ignoti canali di comunicazione, arrivò fino all'ultimo abbaino. Tutti alla finestra, allora, come in un teatro elisabettiano. Fantozzi sbucò in strada alle 14 e 31 e si piazzò davanti al portone attendendo a piè fermo il tram 23.
Alzò gli occhi e vide le tribune complete. Salutò con un ampio e sereno gesto del braccio la moglie. Dalle tribune parti un brevissimo applauso di incoraggiamento. Decise di accendersi una sigaretta. Ne tirò fuori una con calma dal pacchetto, prese un fiammifero, lo accese e se lo infilò in bocca gettando lontano la sigaretta. Non urlò per orgoglio, ma dalle tribune si capi che la situazione era grave. Una voce isolata dagli abbaini lo raggiunse: “Coraggio!” e lui capi che ormai non si poteva ritirare.
Dal fondo della curva ecco il 23. Occhi fiammeggianti, avanzava sferragliando minacciosissimo come un tirannosauro. Il manovratore intuì le intenzioni dell'uomo e mise l'8, cioè “avanti tutta”. Quando il 23 arrivò sotto casa le tribune erano piombate in un silenzio terribile. Fantozzi che era già in posizione di salto non tentò subito, ma parti al galoppo. Fece un 200 metri, che il CONI non gli ha poi mai omologato perché in favore di vento, poi ai 250 tentò il tutto per tutto e spiccò il salto. Mancò la maniglia clamorosamente, andò a battere con il mento sul predellino e rimbalzando planò ad angelo sul carretto di un venditore ambulante di bibite, al quale causò danni valutati in 70 mila lire. Fu portato al pronto soccorso.
Tornò a casa alle 4 del pomeriggio completamente fasciato e prima che sua moglie aprisse bocca le disse: “Chi dice qualcosa ci spacco la faccia!”.
La signora Pina non replicò e lo condusse amorevolmente per mano alla sua poltrona d'ordinanza. Gliela indicò col capo come per dirgli “siediti, ché sei un po' stanco” Una vicina in quel preciso istante gliela spostò per sedersi a vedere un nuovo programma televisivo. Fantozzi si schiantò a pavimento.
Quando la vicina gli versò in gola un caffé a 6.000 gradi si sentì un rumore curioso come di ferro rovente immerso in acqua. Lui si alzò da terra e cercò di buttare la donna giù dalla finestra. Ma fallì nell'impresa.
FANTOZZI AL RISTORANTE
Domenica scorsa Fantozzi portò sua moglie a colazione al ristorante.
Quella di andare una domenica a colazione fuori era un'antica promessa che, per colpa della signora Pina, sua moglie, non aveva mai potuto mantenere. C'era la figlia da guardare, aveva dei dubbi sull'abito da mettere o aveva invitato i suoceri a passare il pomeriggio con loro. Ma questa volta, sistemata la figlia dai nonni, la signora Pina non aveva scuse e Fantozzi mantenne finalmente una promessa che aveva fatto da una quindicina d'anni.
Aveva domandato in ufficio, da più settimane, consiglio su dove andare per mangiare bene senza farsi uccidere da prezzi assassini e Fracchia, che “sapeva sempre tutto”, gli consigliò “da Enzo il pescatore”: avrebbe mangiato pesce freschissimo e a buon prezzo.
Si erano vestiti per uscire. Lei aveva un abitino di tela verde, borsa rossa, non si era lavata i capelli e si sentiva a disagio. Fantozzi, che non aveva mai accettato il concetto dell'abito da mezza stagione, aveva un pesantissimo spigato siberiano grigio di confezione, cravattone con nodo sbagliato (la parte stretta gli arrivava oltre la cintura e la parte larga solo un palmo sotto il mento) e scarpe nuove strettissime che gli provocavano un curioso cerchio alla testa.
Fantozzi e la signora Pina entrarono “da Enzo il pescatore” alle undici e trenta di domenica mattina. Stavano pulendo ancora per terra. Un cameriere gli spiegò duramente che fino alle dodici e trenta non davano da mangiare.
Fantozzi ebbe l'idea di fare due passi sul lungomare. L'autunno è una stagione pazza: ci sono giornate polari e giornate con sole terrificante. Era una giornata di sole. Fantozzi era come immerso, col suo spigato siberiano, in un pentolone d'acqua calda, ma non osava togliersi la giacca perché sapeva di un tragico rammendo sotto la manica destra della camicia che gli era “partita” in ufficio con un sinistro lamento, e poi aveva le bretelle e il dramma della cravatta. Passeggiarono e a Fantozzi si piagarono i piedi per le scarpe nuove e dopo un quarto d'ora si trascinava carponi. Conquistarono una panchina al sole sotto un muraglione; un forno! Fantozzi era già quasi pronto per essere servito “al cartoccio”. Si tolse le scarpe e aspettarono le dodici e trenta.
La signora Pina con una voce molto triste ruppe il silenzio: “Sono quasi le dodici e trenta!”. Fantozzi cercò di rientrare nelle scarpe. Fu una lotta feroce e senza speranza. Si frantumò quasi l'indice che cercava di usare come calzascarpe, divenne cianotico, bestemmiò: i piedi erano quasi raddoppiati di volume. Le scarpe avevano un'espressione umana.
Entrò “da Enzo il pescatore” in calze: con la destra aveva spinto la porta galantemente per fare entrare la signora Pina, e con la sinistra reggeva le scarpe maledette.
Ma mentre teneva la porta aperta prima di loro entrarono anche quattrocentoventi enalisti di Monte Alto sul Serchio. Fantozzi perse subito una scarpa e passò la prima ora sotto i tavoli: era una scarpa nuova, e persa una si rovinava il servizio.
Gli enalisti avevano cominciato, attendendo il primo piatto, col vino, e si stavano denudando. Ci furono prima le barzellette di quello “spiritosissimo”, poi erano passati ai canti di montagna e adesso volavano già i panini.
Uno centrò violentemente Fantozzi in fronte mentre stava riemergendo sconsolato: aveva abbandonato le ricerche e dava ormai la scarpa come dispersa.
Aspettarono fino alle due senza poter avere un cameriere neppure a portata di voce e la signora Pina stava quasi svenendo dalla fame. Fantozzi che aveva sete si era versato e bevuto con avidità un bicchierone di aceto: ora aveva le labbra bianche.
Quando alle quattro si sentì, accolto da grandi risate, il primo rutto, la signora Pina cominciò a piangere silenziosamente mentre il marito le accarezzava la nuca color topo.
Alle quattro e mezzo inciampò un cameriere con una pentola di stracotto alla toscana col sugo: incappucciò Fantozzi. Lo stracotto era così buono che gli enalisti si avventarono a intingere pezzi di pane su quello “spigato alla toscana”.
“Io me ne vado!” sbottò timidamente Fantozzi, e gli portarono subito un conto pauroso: mezzo stipendio!
Pagò senza protestare e si ritrovarono sul lungomare al tramonto. Lui aveva una scarpa in mano, era in calze bucate e sembrava una grande porzione di stracotto. “Guarda che tramonto!” disse lei.
“È vero,” rispose Fantozzi “è una giornata meravigliosa.”
FANTOZZI SI DÀ AL TENNIS
Solo ora, all'inizio di un tragico declino fisico, Fantozzi sta realizzando di non essere mai stato uno sportivo.
In fondo aveva solo giocato al pallone per qualche anno e senza grandi risultati: solo un po' di calcio che a distanza di molti anni ricorda ancora con amore ostinato, ma aveva sempre corso il rischio di non essere incluso nella squadra della IV istituto tecnico che partecipava a una specie di torneo tra le classi della sua scuola. Ma questo vent'anni fa.
Bisognava correre assolutamente ai ripari, e Fracchia lo travolse in una avventura umiliante: cominciare a giocare a tennis. “L'unico sport che si può praticare alla nostra età” gli disse Fracchia. “divertente e poco dispendioso… Fisserò il campo per domenica mattina.”
Quando Fantozzi lo disse alla signora Pina ne nacque una calma lite tipica di un ménage rassegnato. “Ma lo sai che poi non avrai la costanza per continuare,” lo ammonì la moglie “butterai via inutilmente degli altri soldi!” Quest'ultima frase lo aveva fatto uscir di senno. Cominciò a urlacchiare che era tutta una vita che risparmiava e che non si meritava frasi simili. Accusò anche la moglie di avidità e di egoismo, e concluse che allora lei voleva vederlo morto d'infarto prematuramente. Non si parlarono più dopo questa lite, sabato sera. Ma quando la signora Pina lo vide che si alzava alle quattro di domenica mattina per andare a giocare a uno sport per lui misterioso, lui che la domenica era solito poltrire a letto fino alle 11, si sentì tutta intenerire.