Il campo purtroppo era stato fissato per l'unica ora libera: dalle 6 alle 7 del mattino. Tutte le altre ore erano già impegnate da tempo e più ci si avvicinava alle ore calde e comode intorno a mezzogiorno più aumentava il rango e il grado dei direttori generali e direttori naturali, ereditieri, cardinali o figli di tutti questi potenti.
In autunno, a quell'ora del mattino, in Italia c'è un clima siberiano (è una realtà che neppure la propaganda fascista era riuscita ad abbattere con lo slogan: “Italia il giardino d'Europa”). Quando Fantozzi uscì si trovò immerso in un nebbione terrificante, come da anni non vedeva. Avanzò a braccia tese, barcollando, alla ricerca della sua macchina. I numeri di targa non se li ricordava ormai più (e pensare che un tempo si ricordava i numeri anche di tutte le auto dei suoi amici e quelli del telefono!), ma la macchina la riconobbe dall'odore perché la sera prima aveva portato del gorgonzola a casa.
Un fantasma tra la nebbia lo aspettava ai cancelli del “Park tennis”: era Fracchia. Entrare nello spogliatoio era come entrare nel frigo di una grande macelleria. A causa della temperatura polare, tre giocatori entrati la sera prima erano rimasti (uno in piedi nell'atto di infilarsi un golf, un altro seduto su di un panchetto e il terzo mentre faceva le mosse per uscire) in istato di ibernazione. Avevano le facce sorridenti e immobili, ma anche molto assenti.
Fantozzi e Fracchia li salutarono molto imbarazzati, senza ottenere risposta. Si cambiarono per la partita. Per Fantozzi doveva essere la prima ed ultima partita della sua vita.
Uscirono nella nebbia. Fracchia aveva visiera parasole, un gonnellino pantalone bianco, di una sua zia ricca, maglietta Lacoste pure bianca, scarpe da passeggio di cuoio grasso con calze nere e giarrettiere e una monumentale racchettona da tennis modello 1913. Era questa un cimelio di famiglia che, per la sonorità delle sue corde, veniva scambiata da alcuni parenti per una chitarra e usata come tale.
Fantozzi era in canottiera, mutande aperte sul davanti e chiuse pietosamente con uno spillo da balia, racchetta da ping-pong in tela gommata e sughero, grande visiera verde con la scritta: “Casinò municipale di St. Vincent”, piedi nudi.
In campo, per la nebbia, i due giocatori non si vedevano. Alla prima tremenda battuta Fracchia infranse con una “cannonata” la grande vetrata del salone di soggiorno del “Park tennis”. Si senti solo lo schianto lontano nella nebbia.
Alla seconda battuta, effettuata con estrema violenza, Fracchia andò a terra con un gemito dopo aver mancato clamorosamente la palla. Fantozzi che sentiva rumori e lamenti, si avvicinò sospettosamente, avanzando nel nebbione sempre a braccia tese in avanti. E qui Fracchia “sparò” la terza terrificante cannonata centrando Fantozzi nel bulbo oculare destro mentre il racchettone-chitarra si perdeva lontano. Fantozzi si accasciò senza un grido.
Fracchia stabilì che aveva vinto la partita e alla moda dei “prof” australiani della troupe di Kramer corse verso l'avversario cercando di saltare la rete a piè pari. Volò a faccia in giù, incraniandosi vicino alla racchetta da ping-pong del suo rivale. Rimasero semisvenuti fino a quando, diradatasi la nebbia, furono portati negli spogliatoi da alcuni inservienti.
Cercarono di fare la doccia, ma fu un'impresa disperata. Le docce sono congegni infernali che non si possono regolare. Prima scese dai tubi una granita di acqua ghiacciata e quando tentarono di regolarla furono centrati da un getto di acqua fumante a 300 gradi. Allora ulularono saltando fuori portata con ustioni guaribili in 2 o 3 giorni. Lasciarono la posizione disperati.
Il giorno dopo arrivò a Fantozzi il conto della vetrata. La signora Pina, pietosamente, non fece commenti.
Ma per tre notti sognò di ricevere la coppa Davis dalle mani di Alessandra di Kent in una splendida giornata di sole.
LA SFIDA CALCISTICA FRA QUARANTENNI
C'è sempre in ogni agglomerato umano l'“organizzatore di sfide calcistiche”. Mentre godono fama di organizzatori, questi elementi sono in realtà solo dei criminali pericolosi e la loro monomania porta periodicamente dei padri di famiglia sull'orlo della tomba.
Nella società in cui Fantozzi presta tragicamente servizio da sempre, l'“organizzatore” è Fracchia, ovviamente dell'ufficio sinistri. Erano due mesi che il cervello malato di quest'ultimo stava perfezionando una sciagurata idea: una sfida calcistica. Aveva cominciato con l'interpellare (o meglio violentare) i colleghi più timidi per metterli in squadra; aveva impiegato lunghe ore di ufficio per varare le due formazioni, aveva prenotato il campo, insomma aveva con la sua mente organizzativa allestito un quasi genocidio preterintenzionale. Per dare allo scontro un pizzico di interesse aveva lanciato un cartello di sfida: scapoli contro ammogliati.
Agli orologi timbratura c'era già da quindici giorni un cartello “spiritosissimo” con le formazioni, due disegni a pastello e l'avviso: “Scapoli contro ammogliati”, ore 6,30 di domenica 24 novembre, al Campaccio. Molti commentarono che le 6,30 era un'ora un po' tragica per un giorno festivo, ma si sa in Italia i campi da gioco sono pochini e la colpa non era certo dell'“organizzazione”.
Gli spogliatoi sembravano gelide catacombe e molti, quando si videro nudi alle 6,30 del mattino a battere i denti con una umidità tale che Fracchia si trovò una trota sotto il braccio, cominciarono a maledire gli eventi che li avevano gettati in quell'avventura.
Alle 7, quando l'arbitro signor Mughini decise di dare egualmente inizio allo scontro, mancavano ancora quattordici giocatori. C'era, limitato al rettangolo di gioco, un temporale come dai tempi di Noè non si vedeva.
Parlare di scelta del campo in quel pantano terrificante sarebbe stato ridicolo: e si cominciò. Da una parte erano schierati tre ammogliati, dall'altra cinque scapoli. In partite di questo tipo in Svezia si presentano 22 giocatori tutti alti, tutti biondi, tutti belli. Questi erano di taglia mediterranea. C'era un giocatore sui 112 chilogrammi alto 99 cm, altri invece erano alti sull'1,90 ma pesavano 23 chili, purtroppo abbondavano i calvi, che nelle giornate di pioggia non riescono a colpire la palla di testa perché scivola via. A volte anzi, trattandosi di un vecchio pallone, li scotenna ferocemente quando colpiscono dalla parte della stringatura, che l'usura ha affilato come un rasoio.
Viene incaricato del calcio d'inizio simbolico il direttore magistrale superiore. Questi parte con breve rincorsa e colpisce una grossa pietra scambiandola per la palla e va a pozzanghera ululando tra lo scoramento generale. Poi il fischio d'inizio. Una frazione di secondo e c'è subito uno scontro a 8, si sente un rumore tremendo di tibie e di ossaglia, qualche lamento, degli scricchiolìi. e la partita viene subito interrotta. Arrivano intanto alla spicciolata i giocatori ritardatari. L'arbitro rimette in gioco la palla scodellandola con la mano mentre arriva in ritardo Fantozzi. Entra in campo a bomba e come la palla sta per toccare terra, e quindi non è ancora in gioco, la colpisce col collo del piede al volo con una violenza straordinaria e come mai gli era capitato. Il pallone centra in pieno naso l'arbitro signor Mughini, suo direttore. l'arbitro lo espelle, ma poi si ravvede e lo va a richiamare negli spogliatoi ormai piangente. Dopo la prima corsetta i giocatori sono tutti a pezzi: annebbiamenti alla vista, miraggi, palpitazioni e manie di persecuzione. Fracchia, dopo dodici minuti di gara vide addirittura san Crisostomo che gli sorrideva da sopra la traversa avversaria.