Tra gli ammogliati si batteva come un leone, senza toccar palla, un certo Filini. Quarantasei anni, 99 cm di statura, esordiente, completamente calvo. La palla, pesantissima perché intrisa d'acqua, viene respinta da un terzino avversario. Si alza a campanile a 190 m. e ripiomba. Sorprende Filini in una zona sguarnita del campo. Lo sventurato tenta la respinta di testa. Si pianta come un chiodo nel fango fino alla cintura e poi ha immediatamente delle strane visioni: fiori, la casa dove era sfollato durante la guerra, il fratello in un prato verde. Si risveglia all'Ospedale Maggiore.
La fatica dei contendenti è tremenda per due motivi: primo, si passa da zone erbose tipo giungla vicino alle bandierine degli angoli a zone asfaltate in ferro-cemento nelle aree di porta; secondo il campo è in discesa. Gli ammogliati, che giocano in salita, sono svantaggiati. Vicino al campo c'è un tremendo vallone, una specie di canyon, e ogni qualvolta la palla rotola in fondo bisogna aspettare mezz'ora perché l'infelice che l'ha toccata per ultimo la vada a recuperare. In quella mezz'ora tutti si sdraiano per terra a recuperare. Molti prendono sonno.
Al 36', calcio di rigore. Si incarica del tiro Fracchia, emozionatissimo. Prende la rincorsa da dietro le colline e viene giù al galoppo. Nel campo si era fatto un grande silenzio. Fracchia entrò dalla porta del palio. Giunto all'altezza del dischetto gli partì la scarpa dopo aver mancato decisamente il pallone. La scarpa centrò in pieno il portiere sgranandogli tutti i denti. Il portiere (che era sceso in campo, su consiglio di alcuni politicanti, in completo grigio, chiavi incrociate agli occhielli, berretto gallonato e guanti bianchi) rimase un attimo ondeggiante e poi andò a cemento. L'arbitro che vide la scarpa rotolare in porta, fischiò la prima rete. Il punteggio, che fino a questo momento era rimasto bloccato sullo zero a zero, degenerò decisamente: 5 a 8, 11 a 20 e poi 38 a 24. Erravano per il campo dei calciatori miopi, ormai quasi ciechi, avendo perso gli occhiali nelle mischie, che colpivano sempre i compagni di squadra in nuca, credendo di respingere la palla. Scoppiarono quindi delle risse feroci. Bulbem, un mostro dell'ufficio sinistri, staccò netta un'orecchia, con un morso, a Fantozzi. Il capo del personale se la mise in tasca e la portò a casa per farla trapiantare su un suo cugino che aveva un udito irregolare. La partita fu sospesa per oscurità al calar della notte.
FANTOZZI A PARIGI
Anche Fantozzi ha trascorso un fine settimana a Parigi.
Era apparso, vicino agli orologi di timbratura della società nella quale lavorava un manifesto con il programma di un week-end a Parigi, viaggio andata e ritorno in aereo, vitto e alloggio: 20.000 lire. Un viaggio a Parigi per lui impiegato, topo di una grande azienda, è sempre un momento luminoso di una oscura esistenza. Parigi, c'è tutta una letteratura in materia, è una città molto importante per una vacanza: così affermava anche un dépliant turistico. Fantozzi andò subito all'ufficio personale e si iscrisse. Con sole 10.000 lire in contanti e dieci rate da 1.000 lire prenotò un posto per “due giorni di gioia nella città più bella del mondo”.
Venne il giorno della partenza. Infernale: una nebbia terrificante, come in città non si aveva da 380 anni esatti. Il gruppo dei gitanti si sobbarcò a un trasferimento di quattro ore di pullman fino al più vicino aeroporto ancora aperto al traffico. La mattinata in pullman fu comunque allietata da un clima di gioioso cameratismo. Alle 10,30 cominciarono gli spuntini (panini al salame di dieci chili) e spuntò qualche fiasco. La comitiva, guidata da Fantozzi, che era il capogruppo (e anche il più insidiato dal vino), prese posto in un terrificante trimotore Savoia-Marchetti in tela cerata. Unico inconveniente: Fantozzi aveva perso i biglietti dell'intero gruppo. Ma il pilota era così preoccupato per il decollo (risultò poi che l'aereo era fermo da una trentina d'anni) che non vi diede gran peso e li accettò sulla fiducia. Dopo circa un'ora di volo riatterrarono tutti all'aeroporto di partenza: una decisione inevitabile dopo che Fantozzi aveva confessato, piangendo, di aver dimenticato sul pullman anche tutti i passaporti della comitiva.
Si fermarono fino alle 5 del pomeriggio, per cambiare motore all'aereo. Sostarono nella sala d'aspetto dell'aeroporto. Quando l'altoparlante invitò a prendere posto sull'apparecchio successe un episodio singolare. Tutti avevano ormai capito l'importanza strategica dei posti vicino ai finestrini, solo dai quali si poteva vedere qualcosa. Fingevano di chiacchierare tutti negligentemente percorrendo lentamente i trecento metri di pista che li separavano dall'aereo. Quando, all'improvviso, il ragionier Filini della contabilità generale, accelerò in maniera impercettibile ci fu subito un curioso aumento del ritmo di tutti… il ritmo aumentò ancora.
Fantozzi urlò: “Non correte!”. Il gruppo partì sfrenatamente come avesse sentito la pistola di uno starter. Fecero 150 metri al galoppo più sfrenato. Poi a Filini, che era in testa, si aprì di colpo una valigia. Filini inciampò e su di lui andarono ad ammucchiarsi tutti gli altri formando una piramide ansimante, proprio ai piedi della scaletta dell'aereo. Dall'alto, il capitano guardava la scena con molto disprezzo. Partirono. Il pilota diede alcune notizie sul volo: “Alla nostra destra la città di Ivrea”. Tutti si spostarono sulla destra e l'aereo si inclinò paurosamente. Il comandante decise di farli legare ai sedili. Il gruppo era così stanco che durante la traversata delle Alpi tutti furono travolti da un sonno incontenibile.
Il capitano li svegliò a Parigi con un atterraggio mostruoso, del quale poi si scusò moltissimo. Erano le 8 di sera. Dall'aeroporto Le Bourget a Parigi impiegarono due ore di pullman, per un traffico immondo. Ed ecco Parigi. Ma, per un feroce temporale che si stava abbattendo sulla città, la “Ville Lumière” era al buio più completo.
La prima serata parigina, la passarono alla pensione del Pantheon al lume di candela. La seconda serata, tornata infine la luce, fu dedicata dai gitanti, divisi in piccoli gruppi, alla ricerca del colore locale. Filini cenò in un ristorante bulgaro con la moglie. Carne cotta con lo yogurt, insalata allo yogurt, e mela cotta con yogurt. Domandò alla fine: “Si può avere uno yogurt, per favore?”. “Non ne abbiamo signore” fu la tagliente risposta. Il conto in compenso fu tragico.
L'errore più clamoroso lo fece Fantozzi, che comperò un fiasco di Chianti da due litri, pagandolo ben 12 mila franchi. “Ti sembra caro?” domandò ad un collega con molto terrore e una briciola di speranza negli occhi. “Hai fatto un grosso affare. Tanto più che le scritte sono in francese!” rispose quello. Lui abbracciò la moglie, felice: la moglie lo guardò con ammirazione. Per il ritorno si imbarcarono al mattino presto, dopo una corsa tremenda ai finestrini, anche questa volta con caduta generale. Era caduto Fantozzi, col suo fiasco di Chianti.
Il comandante, dopo aver consultato un manuale, che teneva sotto il cruscotto, dal curioso titolo Come si pilota un aereo, fece un decollo terrificante, che si protrasse per quasi 13 km. Tutti stavano muti mentre lui assicurava “ora si alza, ora si alza, lo giuro, dovrebbe!..” Quando al 13° km., in piena campagna, l'aereo s'alzò, il pilota urlò: “Non lo avrei mai creduto!”. Subito dopo l'atterraggio, l'aereo (che era vecchissimo) si ruppe e fu sepolto vicino alla pista di volo con gli onori magistrali. Alla dogana italiana, sotto una pioggia battente, Fantozzi confessò, piangendo, di aver lasciato sull'aereo (ormai sepolto) i passaporti di tutti. I doganieri chiusero un occhio.
E qui avvenne il fatto penoso del geometra Leone. I doganieri fecero aprire tutte le valigie. Nella valigia di Filini trovarono dei giornali francesi un po' spinti. Filini si vergognò a tal punto di essere stato smascherato di fronte ai colleghi che scappò ululando. Leone intanto, con il rag. Fulzi, commentava il fatto con toni di distaccata pietà: “Pover'uomo, per due giornaletti, guarda che figura! Alle volte,” aggiunse “io la gente non la capisco. Con tutto quello che c'era da vedere e da comperare a Parigi: il Louvre, il pàté de foie, i quadri di Matisse, quello ti va a comperare quella roba là… io mi domando…”. Non finì la frase che un doganiere gli disse: “Apra la valigia, lei!”. Il geometra Leone si sbiancò in volto, aprì la valigia e fu arrestato e processato per direttissima. Portava in Italia 120 chili di diapositive pornografiche, una lanterna magica, una sella, dei frustini e altro materiale erotico. L'indomani, tutti in ufficio in una splendida giornata di sole.