Domenica hanno avuto luogo i funerali. È stata una cerimonia di grande rilievo mondano. Tutti i notabili della città vi hanno partecipato con cordoglio teatrale.
Fracchia, collega di sottoscala di Fantozzi, era già stato consigliato a intervenire dal conte Balboni Virelli Bocca (veramente questi non era conte nel modo più assoluto, ma ci teneva tanto al titolo e soprattutto era così decisamente capufficio che Fantozzi alle volte lo chiamava “sire”). Fantozzi, invece, non aveva ancora ricevuto istruzioni. Finalmente sabato giunse l'invito ufficiale: anche a lui veniva consigliato di presentarsi alla cerimonia al Cimitero Maggiore.
Lo spettacolo cominciò alle 9 del mattino. Fantozzi e Fracchia sbagliarono subito funerale. Se ne accorsero per pura combinazione all'orazione funebre. Parlava un “funeraliere” professionista truccato da affranto dal dolore. “Tu,” diceva l'oratore “sei scomparso lasciandomi un gran vuoto qui” e si indicò la giacca all'altezza del cuore. Fantozzi domandò a un signore in elegantissimo completo da funerale: “Gli voleva molto bene?”. E quello: “Macchè, gli doveva un sacco di soldi”. L'oratore intanto: “Tu sei scomparso improvvisamente, dopo una vita interamente passata all'ombra della famiglia”. E qui Fracchia, che cominciava a subodorare l'errore, domandò a un congiunto che si stava addormentando: “Mi scusi, ma di che cosa è morto?”. E quello: “Insolazione!”.
Fracchia e Fantozzi capirono l'errore e cominciarono a cercare il funerale giusto. Lo trovarono quando già si era arrivati all'orazione funebre. Venne avanti a parlare il professor Zingales, grande amico dello scomparso, titolare di letteratura italiana all'università di Perugia e membro dell'accademia della Crusca: “Vorrei spendere due parole…”; dal gruppo una voce: “Tre!”; altra voce: “Quattro”; e il professor Zingales: “E siamo a quattro, c'è qualcuno che offre di più?”; voci isolate: “Cinque!.. Cinque e mezzo!..”; dal fondo, inaspettatamente: “Dodici!”; era il professor Bellotti-Bon!
Grandi mormorii di stupore nel gruppo per tanta audacia. “Commemorazione assegnata al professor Bellotti-Bon con dodici parole” fece il banditore e gli cedette la parola. Il Bellotti-Bon: “Vorrei spendere undici par…”. Dal fondo: “Non cominciamo a fregare. Lei si è impegnato per dodici!”. Riparte il Bellotti-Bon: “Tu che eri noto col curioso nomignolo di uomo del '48”. Fantozzi domandò a un gruppetto: “Eroe del Risorgimento?”. “No, no” rispose il gruppo decisamente. “Casinista pauroso!”
Bellotti-Bon: “Tu che raggiungi in cielo il tuo indimenticabile collega professor Mannaroni Turri, scomparso nel labirinto dei giardini di Boboli a Firenze, durante l'annuale gioco “Liberi tutti” che si teneva con i colleghi della facoltà di Pisa…”. Interrompe uno dal fondo: “Scuola normale?”. “Non molto,” rispose Bellotti-Bon “vista la natura dei giochi!” E riprese: “Se noi ora fuuu…” e qui si bloccò. Si era trovato di fronte alla tragica barriera di un congiuntivo. Dall'angolo della bocca gli usciva solo quel curioso sibilo “fuuu…”. Un collega gli si avvicinò vedendolo in difficoltà e gli chiese: “Professore, cosa diavolo le succede? Ha forato?”. E lui: “No, mi trovo in spaventosa difficoltà con un congiuntivo” Il collega lucidissimo: “Quale?”. Il Bellotti: “Congiuntivo imperfetto prima persona plurale… vado per tentativi?”. E il collega: “Vadi!”.
Riparte il Bellotti con rincorsa: “Se noi, fff… frassino…”. E il collega lì vicino: “l'albero?”. “No, sono nel pallone” fece il professore e ripartì: “Se noi ff… Firenze!”. Voci sparse: “La città?”. “Prato!” tentò disperato Bellotti. Voci di protesta: “Ma non comincia neppure per effe!”. E Bellotti, speranzoso: “Si, ma è cosi vicina a Firenze!”.
“Mi vorrei ritirare” disse a questo punto il Bellotti-Bon. Coro di voci sghignazzanti: “Ah! Ah! Si ritira eh? Non ha più congiuntivi!”. “No,” fece il Bellotti “ne ho ancora uno, ma vorrei tenermelo per la notte. Non si sa mai. Un congiuntivo “da notte” può sempre venir comodo per ogni evenienza.” E si ritirò tra i fischi dei funeralanti.
Fantozzi allibito si voltò verso Fracchia e gli disse: “Sono veramente deluso, questi professori han ben poco da spendere e poi crollano tutti tragicamente sui verbi”. “Ha ragione,” ribadì Fracchia “torniamo a casa. Venghi!”
FANTOZZI VA A TEATRO CON I BIGLIETTI OMAGGIO
Domenica scorsa Fantozzi è andato a teatro. Un suo feroce e sagace cugino gli aveva regalato due biglietti omaggio per lo spettacolo “familiare” della domenica pomeriggio.
Fantozzi del mondo dello spettacolo aveva sempre avuto notizie di seconda mano e non aveva ancora ben chiaro il confine fra teatro tradizionale e spettacolo di varietà o rivista all'italiana.
Questo per il passato. Poi era successo un fatto curioso. La radio aveva iniziato un bombardamento a tappeto di musica leggera, la televisione aveva continuato questo orientamento con una nutrita serie di fortunati varietà musicali. Negli spettacoli di musica leggera si cominciarono poi a bersagliare con strali acutissimi gli spettacoli di musica leggera, consolidando così il sistema. “È quello che la gente vuole” si scusavano i megapresidenti del mondo dello spettacolo e della stampa telecanora. In realtà Fantozzi voleva solo quello perché pensava che fosse ormai l'unica realtà.
Quando Fantozzi disse alla moglie che domenica l'avrebbe portata a teatro, la signora Pina lo guardò esterrefatta. “A teatro, come?” disse. “A teatro a vedere uno spettacolo teatrale. Ma non so quale” chiarì Fantozzi. La sua signora lo guardava come si guarda un marito che dopo 20 anni di sereno ménage matrimoniale dichiara improvvisamente di essersi innamorato di un artificiere del genio.
Il collega Fracchia l'aveva sommariamente istruito mettendolo in guardia contro grosse sorprese. In tutti quegli anni di telecanzoni, gli aveva detto, il teatro aveva subìto una evoluzione che in alcuni casi (e qui aveva citato il “Living Theatre”) l'aveva reso irriconoscibile.
Un po' preoccupato, lasciato basco e cappotto al guardaroba, Fantozzi entrò nel teatro “Tommaso Salvini” con i biglietti omaggio, il suo tragico spigato siberiano e la sua signora alle 2 e 30 di domenica pomeriggio: lo spettacolo cominciava alle 16 e stavano facendo ancora le pulizie. Messo in guardia e reso più che mai sospettoso dall'esperienza di Fracchia, sussurrò alla moglie di stare composta e di seguire la vicenda perché forse erano entrati a spettacolo già cominciato.
Alle 16 il teatro era quasi pieno e il sipario si alzò con gran spavento di Fantozzi: si rappresentava una pièce del teatro studio di un giovane autore esordiente. Fantozzi era un po' nel pallone e perché erano finiti in quart'ultima fila dietro l'unica colonna della sala e perché in prima fila aveva riconosciuto il capo dell'ufficio vendite.
Per i primi 20 minuti gli attori, tutti in nero, rimasero in silenzio in una assoluta immobilità Fantozzi aveva spiegato alla signora Pina, rifacendosi alla sua esperienza calcistica, che forse si trattava di un minuto di silenzio per la morte di qualche grande attore, ma questa teoria venne presto accantonata.
Per il caldo dovuto allo spigato siberiano e per la colonna, al ventesimo minuto di silenzio Fantozzi era a disagio. Improvvisamente alle loro spalle balzò su con un urlo selvaggio un attore gigantesco con giaccotto senza maniche di pelle di pecora, capelli radi ma lunghissimi e basette paurose. Mentre Fantozzi andava a pavimento l'attore corse urlando verso un'uscita laterale: brandiva un cartello contro l'intervento americano in Vietnam. Così finì il primo tempo.