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Poi gli auguri si ripetono e si ribadiscono, a cominciare dai primi giorni di dicembre, per le scale, nei sottoscala, sugli ascensori. L'iniziativa è sempre degli inferiori di grado. Essi si chinano un po' in avanti e a testa bassa cominciano a recitare lentamente: “A lei e famiglia i miei più umili e devoti eccetera…”. La risposta dei capi è sempre eguale: “Grazie, grazie, auguri per i bambini” (citano solo i bambini, con una pietà nella voce che lascia intendere chiaramente “quei poveri bambini, quei sottosviluppati!”).

Prima della battaglia degli auguri, c'è la spietata caccia all'agendina. Si elemosinano con toni strazianti a rappresentanti, piazzisti e terziari francescani agendine di ogni tipo. In genere queste poi si regalano alla moglie o ai figli, non dicendo naturalmente mai che sono state strappate con le lacrime agli occhi o barattate con un collega. Con fierezza si dice: “Tieni! Me l'hanno regalata in ufficio!”.

Sabato scorso correva l'ultimo sabato dell'anno. I piccoli erano tutti a casa, gli uffici vuoti. Solo in alto, dietro una porta imbottita, si brindava ancora con whisky al 1971. Fantozzi era per caso ancora in ufficio a riordinare le sue carte quando si fece silenziosamente sulla porta un piccolissimo, il ragionier Bellocchio dell'ufficio cabale. Questi assunse la posizione “auguri natalizi” (testa bassa) e cominciò tristemente la formula: “A lei e famiglia i miei più devoti e umili…”. “Grazie,” dice Fantozzi interrompendolo “ma ce li siamo già fatti gli auguri, no?” “vero,” risponde quello “ma vede, io dovrei chiederle un favore. Domani, domenica, mi fanno lavorare. Mi creda, non è per la festa, ma è che domani operano mio figlio… Il dottore dice che ormai ci sono poche speranze. Io vorrei andare in ospedale da lui.” “Cioè vuole un permesso per domani?” “Sì. Io non oso entrare perché sono tutti su in riunione dal megapresidente, ci vadi lei che ci ha la parlantina sciolta, lo facci per il mio bambino!”

Fantozzi saliva le scale mentre il ragionier Bellocchio ripeteva ancora le ultime raccomandazioni: “Ci dica che non ho mai fatto una giornata di malattia in venti anni di servizio, che non ho mai chiesto un permesso e che non vorrei…”.

Si fermarono di fronte alla porta imbottita. Fantozzi bussò sull'imbottitura, ma non faceva alcun rumore. Tentò sulla listarella di legno fra lo stipite e l'imbottitura. Invano; poi, vista l'espressione triste di Bellocchio, afferrò decisamente la maniglia ed entrò. Lo guardarono tutti, si era fatto un silenzio gelido, lui un po' affannato chiese il permesso, rivolgendosi al megapresidente, e rifece tutta la storia del bimbo. Sapeva che erano tutti uomini illuminati da grande spirito democratico natalizio. Lo lasciarono finire, poi il direttore rivolto al megapresidente urlacchiò: “Va bene, accordato questo benedetto permesso, ma solo perché è la fine dell'anno. Però questo Bellocchio comincia proprio a rompere i coglioni!..”.

Il ragionier Bellocchio dell'ufficio cabale andò così all'ospedale col panettone regalatogli dalla società. Domenica suo figlio non se la sentì più di vivere come suo padre. Al ragioniere spettavano tre giorni di ferie per lutto stretto in famiglia ma lunedì mattina 30 dicembre Bellocchio si è presentato al lavoro con gli occhi vuoti e quando c'era lui i colleghi non osavano neppure dirsi: “Buon Anno”.

FANTOZZI FA GLI ACQUISTI DI NATALE

Appena ricevuta la tredicesima, Fantozzi si è messo in movimento per le compere natalizie.

Aveva infilato nella tasca interna della giacca la busta, s'era messo in testa il suo tragico basco e aveva dato il braccio alla signora Pina: meta, i grandi magazzini.

Aveva scelto con cura l'ora: le 13,30. Fantozzi si mise al volante della sua utilitaria e disse alla moglie: “Vedi che abbiamo scelto l'ora giusta… le strade sono desert…”. Non finì la frase perché fu travolto da una paurosa onda di piena di utilitarie dirette ai grandi magazzini.

Fu subito un inferno di clacson, lampeggiamenti, ululati. Si erano stabiliti fra gli automobilisti, in quel dolce clima natalizio, dei rapporti di violenza tribale: cedere di un metro era un trauma psicologico e così ci si batteva ferocemente per guadagnare dieci centimetri sul “nemico”, il tutto a piccoli maligni balzi, con i motori imballati, guardandosi negli occhi con odio.

Si sentivano le bestemmie e le qualifiche più orrende sulle professioni delle rispettive madri: di fondo il ruggito dei motori. I semafori non si rispettavano più e al grande incrocio col Corso le utilitarie avevano formato una croce uncinata bloccandosi completamente.

Fantozzi al centro dell'incrocio se ne stava pallido, pervaso da un leggero tremito, con le mani sudate strette al volante. Rimase bloccato quasi due ore: la signora Pina lo guardava turbata. Gli si affiancò minacciosamente, fino quasi a toccarlo, una grossa cilindrata. A Fantozzi cedettero i nervi: balzò a terra, si avventò verso il guidatore dell'altra auto e gli urlò in faccia: “Gran cornuto!”. Era il suo direttore generale!

Alla quarta ora di ingorgo gli automobilisti della croce uncinata decisero di abbandonare le vetture. Percorsero incolonnati sotto la neve quasi un chilometro a piedi. Appena Fantozzi entrò nell'atrio accogliente e riscaldato dei grandi magazzini, l'altoparlante annunciò: “Signori, si chiude”. I commessi in un lampo coprirono i banchi con dei teli, lui fece appena in tempo a scaraventarsi fuori: tanto grande era stata la velocità dei commessi che alcuni clienti erano rimasti addirittura imprigionati sotto i cancelli.

Fantozzi andò allora ai mercati generali. “Vieni” disse alla moglie. “Quest'anno voglio comperare l'albero.”

Si perdettero quasi subito. Fantozzi ritrovò la moglie che veniva incoraggiata da alcune venditrici sconosciute: quando sopraggiunse le donne erano ormai arrivate alla amara conclusione che “gli uomini sono tutti uguali…”.

Andarono verso il settore degli alberi natalizi. Ne avanzava uno solo, tutto pendente da una parte, Fantozzi lo comperò ugualmente, intaccando finalmente la preziosissima busta.

“Ora voglio il tacchino!” disse Fantozzi più allegro e reggendo con le braccia il vaso dell'albero di Natale storto si diressero verso un chiosco illuminato, pieno di tacchini e di polli appesi. “Voglio questo” disse Fantozzi indicando un tacchino congelato. “Quant'è?” “Dodicimila!” disse il pollivendolo. La signora Pina lo guardò spaventata ma lui disse: “sì… in fondo Natale viene una volta sola all'anno”.

Poggiò il vaso dell'albero storto per terra e si mise la mano nella tasca esterna del cappotto, dove aveva spostato la busta. Impallidì, cercò nelle altre tasche, si tolse il cappotto, si tolse la giacca, si mise in mutande, cercò sotto le ascelle. Il pollivendolo, che aveva gente, si spazientì: “si faccia più in là lei, per favore, non vede che li intralcia?… se non vuol comperare il tacchino non è necessario che faccia la commedia”.

Fantozzi non rispose: in mutande, col basco in testa e reggendo sempre l'albero di Natale storto, rifece il percorso all'interno del mercato fino al venditore di alberi. Lo seguiva la moglie con i suoi vestiti. Lui domandava con lo sguardo allucinato a tutti: “Ha visto una busta gialla, per favore?”. Pochi gli rispondevano, i più lo scambiarono per un pazzo. All'uscita un gruppo di signore impellicciate, che stavano per salire su di una macchina bianca piena di fanali, vedendolo scoppiarono a ridere.