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“Venga,” il direttore si alzò dandogli una tremenda manata sulle spalle, che gli fece ingoiare l'ultima capsula d'oro, “andiamo a farci la partita di bocce.”

Fantozzi non aveva osato dirlo al conte Mughini, ma non aveva mai preso una boccia in mano in vita sua. Quando venne il suo turno si fece un grande silenzio nella valle, le tribune si riempirono di spettatori. “Venga adagio qui sul pallino!” gli ordinò il conte. Fantozzi giocò così debolmente che la boccia fece solo due giri e si fermò a dieci centimetri dalla linea di partenza.

Fantozzi era nervoso e gli sudavano le mani. “Cosa fa, dorme?” gli urlò il conte facendolo sobbalzare. “Tocca a lei, sa, giochi le sue bocce!” Questa volta Fantozzi giocò con grande violenza e colpì netto una tibia di un giocatore, che lasciò la partita ululando. Per farsi coraggio, tracannò una bicchierata di vino che lo travolse, e partì. Veniva giù dalle colline in un silenzio orrendo. Quando fu a un chilometro dal campo inciampò in un arbusto, e fece un volo di dodici metri in un cespuglio spinato. Si distrusse completamente l'abito della domenica (era una pesantissima “grisaglia” che nei suoi piani gli doveva durare quindici anni). Lacero e sanguinante si alzò, il vino stava facendo il suo effetto. Entrò ansimando e con la vista annebbiata in campo e da quattro metri sparò una cannonata terrificante: la pesantissima boccia di metallo di 42 chili centrò in piena nuca il suo direttore, che aveva accostato alle labbra in quel momento un bicchiere di vino ristoratore.

Fantozzi non si fermò neppure a chiedere scusa ma si diede alla macchia sulle montagne. Cominciò allora una delle più feroci cacce all'uomo degli ultimi centovent'anni. Parteciparono alla ricerca cani-poliziotto e feroci molossi napoletani, mescolati ai quali c'erano moltissimi impiegati ruffiani che si erano offerti come cani da riporto per segnalarsi presso la direzione sperando in un aumento. Dopo tre giorni e tre notti di drammatica caccia tra gli acquitrini, Fantozzi fu circondato da un gruppo di colleghi abbaianti, tenuti al guinzaglio da alcuni feroci dirigenti. Ora si trova nel canile municipale di Montezemolo in attesa di processo. I molossi napoletani lo guardano con disprezzo.

FANTOZZI VA ALLA FESTA DELLA CONTESSA

La contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ha inaugurato la sua nuova casa di via Fleming, giovedì sera.

Aveva così evitato la banalità di un party al sabato. Anche cosi la contessa aveva saputo distinguersi, dando, se era ancora necessario, un'altra prova di essere una delle più degne rappresentanti del jet-set della sua città.

Anche Fantozzi fu invitato alla serata. La contessa aveva una fortissima partecipazione azionaria nella ditta per la quale lui lavorava e con ambiguo spirito democratico invitava sempre molti dipendenti di basso grado per stupirli con il lusso di questi grossi avvenimenti mondani.

Ci saranno stati circa 300 invitati: esponenti del mondo dell'industria, del teatro, del cinema, della televisione, giocatori di calcio e belle donne. Fantozzi si presentò in un tragico tre bottoni blu scuro di lana pesantissimo. Aveva bevuto sconsideratamente in apertura di serata tre cocktail che poi si rivelarono tre pozioni per aumentare la temperatura corporea. Sudava come una bestia e non riusciva a stringere la mano di un invitato senza che questa gli schizzasse via come una trota.

Quando fu pronta la cena in piedi, la casa venne invasa da camerieri avventizi di ogni taglia che servivano un risotto fumante e riempivano bicchieri di vino con viscidi sorrisi. C'era una tavola imbandita in maniera teatrale, che rivelava la megalomania di fondo della contessa: frutti di ananas interi, un pavone e una porchetta arrosto e un grosso dentice bollito, con limone in bocca, che somigliava incredibilmente alla padrona di casa.

Tutti gli invitati mangiucchiarono un po' di risotto distrattamente, non degnarono di un'occhiata la tavola imbandita: ma, divisi in piccoli gruppi, parlavano con aria divertita e distaccata di libri, vacanze e amori. Fantozzi invece non rifiutò mai il vino che gli offrivano i vischiosi avventizi, mangiò due piatti di risotto, un cosciotto di porchetta, una trancia di dentice, insalata e frutta. Aveva una fetta di arrosto sulla camicia ed un'antenna di aragosta tra i capelli: ed era, naturalmente, ubriaco.

Cominciò poi una discussione tra giovani sulla contestazione studentesca e l'intervento americano in Vietnam. Fantozzi credeva di essere nel covo della reazione: ma con suo grande stupore si accorse che più quei gran signori erano bardati con orologi Cartier e brillanti (con uno solo dei quali lui avrebbe vissuto senza patemi il resto dei suoi giorni) più erano su posizioni maoiste. La maggior parte, giudicò Fantozzi, era a sinistra del partito comunista cinese.

Si avvicinò al tavolo della porchetta per bere, completamente disorientato, alzò il bicchiere all'indirizzo del severissimo e vecchio mattre in giacca nera e gridò: “Viva Mao!”.

Il mattre lo guardò con tale disprezzo da incenerirlo. “Ma lei come la pensa?” domandò allora Fantozzi che era nel pallone più completo. “Liberale” rispose il servo con fierezza. “Sono in lista nel partito liberale! Perché, se cambiano le cose qui, mi dice lei come faccio a vivere?” Fantozzi uscì un attimo sul poggiolo a prendere un po' d'aria. Quando rientrò non c'era più nessuno, erano usciti tutti improvvisamente: andavano a cena in ristoranti costosissimi.

Era uscita anche la padrona di casa e gli avventizi stavano sbranando la porchetta. Fantozzi si preparò due panini con l'arrosto, da portare a casa a sua moglie, bevve un ultimo bicchiere di vino e scese in strada senza salutare nessuno. l'indomani mattina lui “timbrava” alle 8: pensando a quei giovani sovversivi che si sarebbero svegliati a mezzogiorno, gli si confondevano le idee.

FANTOZZI E FRACCHIA AL BALLO MASCHERATO

Il capufficio conte Gavazzeni, prima di estendere a Fantozzi e Fracchia, l'invito al gran ballo in maschera della contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, li fece soffrire dolorosamente fino all'ultima ora: poi improvvisamente li invitò entrambi.

Era il conte un uomo maligno, non brutto, però con le mani sempre sudaticce e grande mangiatore di gelati anche in pieno inverno, ma soprattutto bugiardissimo, la qual cosa molto disorientava i suoi subalterni che lo odiavano decisamente.

“E ricordate” disse il Gavazzeni “che la festa è fissata per sabato alle ventuno precise nella villa in collina della contessa.” Per Fantozzi l'emozione fu sconvolgente. Per tutto il giorno in cui gli fu comunicato l'invito non riuscì a concentrarsi nel lavoro. Andrò al ballo della contessa! Andrò al ballo della contessa! pensava, e per tutta la giornata non combinò un accidente. Fracchia di fronte a lui, da tre ore immobile, con lo sguardo vetrizzato forse era già al ballo mascherato perché lo portarono via rigido le donne delle pulizie. Tutto questo accadde giovedì: la festa sabato. Il tema era “la pittura preraffaellita inglese dell'800”.

Sull'argomento i due non si consultarono neppure, ma quando la signora Pina domandò a Fantozzi consiglio lui prima domandò tempo, poi si dichiarò disperato. Telefonarono a Fracchia in casa del quale stavano consultando una vecchia enciclopedia per ragazzi, ma con scarsi risultati. Chiedere direttamente al conte Gavazzeni? Era troppo bugiardo e diffidavano. Fantozzi domandò allora lumi ad un rappresentante di vernici col quale aveva avuto degli sporadici incontri al bar e questi li fece orientare sulla pittura fosforescente.“Roba da fantascienza” disse Fantozzi riattaccando la cornetta del telefono. “Ci vestiremo da astronauti, però, con delle vernici speciali.”

L'ingresso alla festa delle due coppie fu allucinante. La gente non rideva neppure perché capiva che non era uno scherzo, ma una tragedia dovuta alla mancanza della Treccani in casa di Fracchia.