Fantozzi intanto “andò in nuca”.
Andare in nuca significa mettersi ad ammirare la propria nuca perché questa è l'unica occasione che avete di vederla: dal sarto!
Ad un tratto il Gólam fissò una manica di quell'abito rosso a foggia strana che gli stavano approntando e si levò una voce tremenda — non che non fosse dolce, ma perché carica di minaccia —: “Chi ha fatto quella manica?”.
“Il numero sei, Sire!” rispose un valletto.
Il Gólam fece un gesto per dire “chiamatelo qui”. Si sentì una serie di voci che scendeva dalla scala di marmo fino giù, nei profondi sotterranei del castello dove c'erano i laboratori… “Il sei… il sei… il sei… il seiiii… ”
Arrivò il sei. Era vestito da lavorante, mani guantate e grembiulone di cuoio. Teneva la testa bassa. Il Gólam gli chiese con grande dolcezza: “Secondo te questa manica è ben fatta?”. Il sei scosse la testa in segno di diniego. Il Gólam fece un gesto. I valletti legarono il sei ad una specie di trapezio di avorio e si misero da parte. Fantozzi guardava incuriosito. Il Gólam avanzò con una frusta di cuoio rosso e cominciò a percuotere ferocemente il lavorante mentre tutti i valletti ridevano ritmicamente.
Il sei tornò in laboratorio umiliatissimo.
Appena la prova ricominciò il Gólam si distrasse e guardò la finestra ancora rossa per il tramonto e bevve liquore verde. A un tratto si udì la sua voce: “Chi ha fatto quel colletto?”. E un valletto: “Il sei”… Cenno del Gólam. “Il sei… il sei… il sei” e il numero sei fu richiamato dai laboratori sotterranei. Entrò e si legò da solo al trapezio di avorio e il Gólam questa volta lo frustò con urla e rincorsa.
Il sei venne riportato nei laboratori a braccia.
Il Gólam lasciò cadere la frusta e triste si mise sul divano di broccato a bere liquore verde verso il tramonto.
Un inserviente distratto, intanto, andò in nuca. Vale a dire cominciò a guardarsi la nuca nella grande specchiera. Aveva una giacca di confezione dei grandi magazzini di Pec. Il Gólam alzò gli occhi, vide quella mostruosità ed equivocando, pensando che fosse l'abito in prova strappò la manica con un urlo selvaggio.
I valletti si ritirarono in silenzio. Il Gólam disse: “Signor Fantozzi, la sua prova oggi è finita. Ci rivedremo venerdì prossimo al crepuscolo”.
Fantozzi ritornò a Pec e andò a ballare in una birreria. Conobbe molta gente nuova. C'era anche un certo Virremann di Vienna. Lo trovò molto simpatico e gli venne una grande idea: gli disse che volendo poteva accompagnarlo dal suo sarto il prossimo venerdì. Lui sulle prime disse che non se la sentiva e che aveva dei timori, poi accettò serenamente. Ma dopo la prova era diventato tristissimo. La mattina dopo Fantozzi lasciò di nascosto Pec, che odorava di mandorli in fiore. Alle porte della città incrociò il calesse di Virremann che saliva al castello.
FANTOZZI E IL CAMPEGGIO
Fantozzi per sfuggire alle tagliole dell'organizzazione ha pensato di vivere una libera vacanza in campeggio a contatto con la natura, lontano da alberghi e itinerari consigliati. Si è comperato allora una tenda.
Mai una decisione fu più tragica.
Dopo una settimana di “allenamento” nel giardino del collega Fracchia i due, sentendosi ormai maturi per un campeggio regolare, partirono. Nel sedile posteriore dell'utilitaria di Fantozzi la tenda era un pacchettino piccolo e meraviglioso. I due la guardavano con orgoglio e quando pensavano ai poveretti che sarebbero caduti nella trappola di un “giro organizzato alberghi compresi” ridevano forte, nonostante la pioggia implacabile delle loro due “nuvole da impiegati” che batteva sui vetri della macchina. Incrociarono molte corriere di impiegati inseguite da temporali isolati e anche potenti cilindrate di megapresidenti che volavano in riquadri di sole. Fantozzi per un sorpasso in curva fu frustato in un autogrill da due agenti della stradale, di fronte a una folla spaventata. A causa di questo umiliante contrattempo, i due arrivarono a un camping pieno di turisti tedeschi a notte fonda.
Aprirono il pacchettino e cominciarono fischiettando i lavori. Furono severamente ammoniti dal guardiano che fece loro presente che il sonno degli altri campeggiatori andava rispettato. Si sentiva solo il picchiettio del martello di Fracchia che piantava i pioli reggitenda. Era un rumore metallico e ritmico che nei campeggi era tollerato. Tinn… tinn… faceva il martello e i due si sentivano inseriti nel novero dei campeggiatori professionisti.
Tup! fece il martello centrando il pollice di Fantozzi che reggeva i pioli mentre Fracchia maneggiava abilmente il martello. Fantozzi si ricordò che non erano ammessi rumori e si avventò per un chilometro nella boscaglia e solo quando fu fuori portata di voce squarciò la notte con un ululato preistorico. Tornò dopo mezz'ora con un pollice da “marina” e sussurrò a Fracchia: “Stia attento, porca miseria, mi ha smontato la mano”. E nel buio gli offrì una sigaretta per fargli intendere che non gli serbava rancore.
“Tenga” bisbigliò.
Fracchia pensò che gli passasse un altro piolo da piantare e lo centrò con un'altra tremenda martellata sulle nocche. Fantozzi si avventò nuovamente nella boscaglia. Tornò all'alba e alzarono la tenda. Dormirono male nei lettini da campeggio, ì quali hanno la sinistra caratteristica, durante la notte, di stringersi e accorciarsi, stringersi e accorciarsi fino a diventare delle sottili listarelle nelle quali si devono compiere miracoli di equilibrio. Alle otto del mattino la tenda lentamente si afflosciò. I nostri si dibatterono per 20 minuti sotto gli occhi esterrefatti degli abilissimi campeggiatori tedeschi, come Laocoonte i figli e i serpenti nel groviglio della tenda, poi cominciarono a gridare “Aiuto… aiutooo…”; i tedeschi li salvarono da sicura morte per asfissia.
La sera dopo la tenda si afflosciò alle due di notte e cominciarono subito a gridare.
Nel montare la tenda Fracchia aveva anche centrato Fantozzi nella nuca scambiandolo per un piolo.
La terza sera dormirono in un albergo con un gruppo che faceva un itinerario consigliato. Senza consultarsi decisero allora di tornare. La tenda occupava ora tutto l'abitacolo dell'utilitaria e Fracchia fece il viaggio di ritorno legato al tetto con le valigie. Fantozzi era distrutto e guidava a fatica. In autostrada ebbe degli incubi orrendi perché la tenda continuava a crescere fino a soffocarlo e ogni tanto urlava “Aiuto!”. Quando fu immerso nella tenda cominciò a guidare col radar: vale a dire Fracchia dal tetto gli indicava le curve con dei gridolini sinistri. Sotto casa di Fracchia fecero un frontale contro un palo della luce. Fantozzi uscì dai rottami col volante in mano, era l'unica parte dell'utilitaria, che aveva appena finito di pagare, sopravvissuta. Si avvicinò al palo e gli domandò tragicamente: “Scusi, è assicurato lei?”.
FANTOZZI E LA GITA IN BARCA
Da tempo circola la convinzione che, dato il sovraffollamento delle spiagge, “solo se hai la barca” si possono spendere delle valide vacanze al mare. Questa diceria, un tempo esclusivamente dominio delle classi abbienti, sta guadagnando terreno anche negli strati impiegatizi. Va da sé che per “barca” gli impiegati intendono una barca a remi che certuni osano (dico osano dati i tragici stipendi) attrezzare con ansimanti motorini, mentre nelle classi alte chiamano “barca” anche la Forrestal!
Fantozzi ha osato, firmando nove chili di cambiali che lo perseguiteranno fino al marzo del 1979, comperare una barchetta con motorino.
Per lunghi mesi aveva turbato i sonni dei colleghi d'ufficio dicendo che avrebbe fatto il gran passo e descrivendo il tipo di barca, la potenza del motore e come, dove e perché l'avrebbe usata.
Fantozzi andò finalmente con la “sua signora” dai capelli color topo a ritirare la barca un sabato mattina di giugno. Aveva sopra la testa la sua “nuvola da impiegato” che gli scaricava in nuca il suo abituale quadrato di grandine. Tutto intorno sole splendente e una temperatura africana: nel quadrato c'erano due gradi sotto zero.