«È venuta Sandy Konkel oggi,» disse. «Ha conosciuto suo marito su una strada bianca. Entrambi si trovavano là per caso. Per caso. Non era nemmeno il suo solito itinerario. Come per il verme. Tib è semplicemente passata di lì, in modo assolutamente inconsapevole, ma il verme era troppo vicino al bordo, è caduto di sotto ed è affogato.» Cominciò a piangere. Le lacrime le scendevano fredde lungo le guance. «È affogato.»
«Che avete fatto con Sandy Konkel? Tirato fuori lo sherry da cucina e ripensato ai vecchi tempi?»
«Già,» disse. «I vecchi tempi.»
La mattina dopo Elizabeth riportò indietro il modulo per la trattenuta dei fondi pensione. Aveva piovuto tutta la notte in modo intermittente, e il tempo si era fatto più freddo. C’erano lastre di ghiaccio sul viale centrale.
«Avevo quasi finito di riempirlo quando mi sono resa conto di che cos’era,» disse alla ragazza. Quando Elizabeth era entrata, c’era un ragazzo con una casacca a bottoni e pantaloni color cachi che se ne stava appoggiato al bancone. La ragazza volgeva la schiena al bancone, impegnata a sistemare dei documenti.
«Non capisco cosa ci sia da prendersela così tanto.» aveva detto il ragazzo, dopodiché si era interrotto e aveva visto Elizabeth. «C’è una cliente,» aveva detto, e si era allontanato dal bancone.
«Sono tutti uguali questi stupidi moduli,» disse la ragazza, consegnando la richiesta a Elizabeth. Raccolse un mucchio di libri. «Ho lezione. Serve nient’altro?»
Elizabeth fece di no con la testa e lasciò passare il ragazzo che non aveva ancora finito di parlare, ma la ragazza non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Infilò i libri nello zaino, se lo mise in spalla e attraversò la porta.
«Ehi, aspetta un attimo.» disse il ragazzo, e le andò dietro. Quando Elizabeth fu uscita, avevano già percorso metà del viale. Elizabeth udì il ragazzo che diceva: «Va bene, sono uscito con lei un paio di volte. È forse un delitto?»
La ragazza diede uno strattone allo zaino per liberarsi della sua presa e puntò verso il vecchio dormitorio di Elizabeth. Lì davanti c’era una ragazza con l’impermeabile giallo che parlava con un’altra ragazza dai capelli corti e biondi pettinati all’indietro. La ragazza con l’impermeabile si voltò all’improvviso e si incamminò verso il viale.
Un ragazzo passò accanto a Elizabeth in bici, urtandole un gomito e facendole cadere di mano il modulo di richiesta. Tentò di afferrarlo e vi riuscì prima che cadesse per terra.
«Scusi,» le disse senza nemmeno voltarsi. Aveva indosso una giacca jeans. Le maniche erano troppo corte, e i polsi ossuti sporgevano all’infuori. Guidava la bicicletta con una mano e teneva con l’altra una grande busta di plastica piena di scatole verdi e rosa. Era con quello che l’aveva colpita.
«Tupper,» disse, e fece per corrergli dietro.
Era in terra sul ghiaccio prima ancora di capire che sarebbe caduta, con le mani allargate sul marciapiede e un piede che si era piegato sotto il suo peso. «Tutto bene, signora?» chiese il ragazzo con la casacca a bottoni. Si inginocchiò davanti a lei coprendole la vista sul resto del viale.
Anche Tupper mi avrebbe chiamata “signora”, pensò. Non mi riconoscerebbe nemmeno.
«Dovrebbe stare attenta a correre sul marciapiede. È più scivoloso della cacca.»
«Mi sembrava di aver visto qualcuno che conoscevo.»
Si girò, mantenendo l’equilibrio con il palmo di una mano, e lanciò uno sguardo al viale. In quel momento era deserto. «Com’era questa persona? Forse riesco ancora a raggiungerla.»
«No,» disse Elizabeth. «Se ne è andato da parecchio.»
La ragazza si avvicinò. «Devo chiamare l’ambulanza o qualcosa del genere?» domandò.
«Non so,» le rispose, poi si voltò verso Elizabeth. «Ce la fa a stare in piedi?» chiese lui, e le mise la mano sotto il braccio per aiutarla. Lei provò a raddrizzare il piede che era ancora storto, ma non ci riuscì. Lui fece un altro tentativo, da dietro, e le mise entrambe le mani sotto le braccia, la sollevò, dopodiché la tenne in piedi a forza e le girò intorno in modo da poterla sostenere dal lato in cui si era fatta male. Lei gli si appoggiò contro senza vergogna, tutta tremante.
«Se ce la fai a portare i miei libri e anche la borsa della signora, penso di poterla accompagnare in infermeria,» disse. «Crede che ce la farà a percorrere tutta questa strada?»
«Sì,» rispose Elizabeth, e gli mise il braccio intorno al collo. La ragazza raccolse la borsetta della signora e il suo modulo di richiesta per il lavoro.
«Andavo a scuola qui. Il viale centrale era riscaldato a quel tempo.» Non riusciva ad appoggiarsi nemmeno un po’ sul piede. «È rimasto tutto uguale. Anche gli studenti. Le ragazze portano gonne e maglioni proprio come facevamo noi e anche quelle scarpette col tacco basso che non ti si infilano mai ai piedi, e i ragazzi indossano casacche a bottoni e giacche jeans, e assomigliano proprio a quelli che conoscevo io quando andavo a scuola, e non è giusto. Mi pare sempre di vedere gente che conoscevo.»
«Lo immagino.» disse il ragazzo educatamente. Si spostò, sollevandola in modo che il braccio di lei si appoggiasse più saldamente sulla spalla.
«Forse potrei farle avere una sedia a rotelle. Penso proprio che me ne presteranno una,» disse la ragazza, con voce ansiosa.
«Lo sai che non possono essere loro, ma sembra proprio che lo siano, solo che non li rivedrai mai più, mai. E non saprai nemmeno che ne è stato di loro.» Aveva pensato che sarebbe diventata isterica, e invece la sua voce si fece sempre più tenue finché le parole sembrarono scomparire nel nulla. Non era nemmeno sicura di averle effettivamente pronunciate ad alta voce.
Il ragazzo l’aiutò a salire le scale fino all’infermeria.
«Non si dovrebbe lasciarli andare via,» disse.
«Già.» rispose il ragazzo, e l’aiutò a sdraiarsi sul divano. «Credo proprio che non dovremmo farlo.»
«È scivolata sul ghiaccio nel viale centrale,» spiegò la ragazza alla segretaria. «Mi sa che si è rotta una caviglia. Le fa molto male.» Andò da Elizabeth.
«Rimango io con lei,» disse il ragazzo. «So che hai lezione.»
Lei guardò l’orologio. «Sì. Psicologia educativa. È sicura che non le servirà altro?» chiese a Elizabeth.
«Va bene così. Grazie molte per l’aiuto, a tutti e due.»
«E come farà a tornare a casa?» domandò il ragazzo.
«Chiamo mio marito e mi faccio venire a prendere. Davvero, non è necessario che rimaniate. Sto bene. Davvero.»
«Va bene,» disse lui. Si alzò in piedi. «Dài,» disse alla ragazza. «Ti accompagno a lezione e spiego al vecchio Harrigan che hai fatto l’angelo della misericordia.» Le prese il braccio e lei gli sorrise.
Se ne andarono, e la segretaria consegnò a Elizabeth un portablocco con dei moduli sopra. «Stavano litigando,» disse Elizabeth.
«Be’, qualunque cosa fosse, direi che adesso è finita.»
«Sì,» disse Elizabeth. Grazie a me. Perché sono scivolata sul ghiaccio.
«Una volta vivevo in questo dormitorio,» affermò Elizabeth. «Questo era il salone.»
«Oh,» fece la segretaria. «Scommetto che è cambiato moltissimo da allora.»
«No,» ribatté Elizabeth. «È sempre quello.»
Nel punto in cui trovava il bancone della segretaria c’era stato un tavolo con un telefono sopra, dove gli studenti si registravano entrando e uscendo dal dormitorio, e lungo il muro dalla parte opposta c’era stato il divano dove lei e Tib si erano sedute alla riunione Tupperware. Tupper ci si era già seduto sopra con lo smoking indosso quando lei scese giù per andare in biblioteca.
La segretaria la guardava. «Immagino che faccia male,» disse.
«Sì,» replicò Elizabeth.
Aveva previsto di trovarsi già in biblioteca prima dell’arrivo di Tupper, ma lui era in anticipo di mezz’ora. Si alzò quando la vide sulle scale e disse: «Ho provato a telefonarti oggi pomeriggio. Mi chiedevo se volevi andare a studiare in biblioteca, domani.» Aveva portato un corpetto dentro una scatola bianca per Tib. Si avvicinò e rimase in fondo alle scale con la scatola sulle mani.